L’imporsi attraverso il conflitto bellico e l’omicidio costituisce parte del conflitto, intrinseco alla natura umana; dopotutto, nell’arco di una decina di migliaia di anni troviamo mutati i soli mezzi. La guerra, dunque, sorgerebbe in parallelo alla formazione dei primi villaggi umani, come metodo di appropriazione di risorse altrui e di difesa del gruppo dalle minacce esterne. Ciò che ci si chiede è se si potrà mai raggiungere uno stato caratterizzato dal prevalere della pace su tutti i popoli del mondo.
Si pensava che l’umanità fosse giunta a un grado di consapevolezza per cui, complici anche strutture di politica internazionale molto più coese e complesse di un tempo, si fosse riusciti a imporre l’uso della ratio economica e geopolitica sulle primordiali pulsioni di conquista e annientamento che caratterizzarono gli anni della guerra fredda e non solo. Tutt’ora, però, il conflitto armato è assurdo solo per chi lo vive in prima persona, oppure per chi lo osserva da lontano, non certo per chi lo orchestra. Credere che la rivoluzione liberista e lo sviluppo delle società democratiche abbia costituito un cambio di direzione definitivo verso una società superiore e intrinsecamente pacifica si rivela un ragionamento ingannevole, che tradisce un eccesso di confidenza verso un sistema tutt’altro che infallibile. Per preservare la pace c’è bisogno di un grande sacrificio collettivo, per sprofondare nella guerra è sufficiente la volontà di potenza di una manciata di individui.