Ridiamo su video di persone in difficoltà per sentirci migliori ma siamo solo incapaci di empatia - THE VISION

Il video della signora che urla, in mezzo alla strada, “Le fettine di vitello non ti vanno bene?”, qualche mese fa è letteralmente finito sul telefono di chiunque, suscitando una fitta produzione di contenuti sul web. Giusto per ricapitolare l’episodio: una signora è stata filmata da un palazzo mentre sta per attraversare la strada. Appoggia a terra le buste della spesa e parla al telefono. Più che parlare, però urla, impreca, bestemmia contro qualcuno, in un momento di sfinimento nervoso. Vedere una persona che grida a squarciagola in mezzo alla strada rappresenta naturalmente qualcosa di anomalo, motivo per cui il filmato è diventato virale nel giro di pochissimo tempo. La signora di questo video, in pochi giorni, si è trasformata in un tormentone del web, oggetto di battute e protagonista di meme prodotti e condivisi da moltissime pagine social. Il tutto, naturalmente, senza sapere chi fosse davvero questa donna e per quale ragione potesse avere avuto un cedimento psicologico tanto evidente. Qualcuno si è dissociato da tanta superficialità nell’utilizzo di immagini che ritraggono una persona all’interno di un momento senza dubbio molto delicato della sua vita. Tuttavia, “la signora delle fettine di vitello” è finita per aggiungersi alla schiera di “fenomeni del web” che da anni foraggiano pagine e pagine dedicate alla condivisione dei video più bizzarri di internet.

Nel corso degli ultimi anni sono state parecchie le persone in difficoltà che sono state trasformate in vere e proprie icone del web. Il punto in comune tra tutti sembra essere l’estrema superficialità con cui le loro situazioni sono state trattate dagli utenti. Accade da sempre: erano gli albori del mondo online, addirittura il 2009, quando Enzo che, come riporta Il Tempo, era un uomo senza fissa dimora con disturbi mentali sotto tutela del Comune di Roma, veniva deriso all’interno di alcuni video. Una parte furono pubblicati con un titolo che lo denominava “Enzo il barbone”: titolo che tra l’altro è ancora presente su YouTube. Il giornale romano, nell’articolo citato, spiegava che un ragazzo della Capitale era stato accusato di diffamazione per aver pubblicato i video in questione. Il Tempo pubblicava le sue affermazioni, in cui sosteneva che i filmati non erano finalizzati a deriderlo, ma avrebbero aiutato a sensibilizzare le persone verso di lui, come avrebbe dovuto dimostrare anche il fatto che pure il calciatore Daniele De Rossi si era offerto di donargli una sua maglietta. Un gesto, però, che sicuramente non avrebbe restituito a Enzo una condizione di serenità, né avrebbe compensato quanto aveva subito a causa della diffusione del video. Di certo è difficile sostenere che quei filmati abbiano stimolato l’empatia degli utenti del web, che trasformarono Enzo in un vero e proprio fenomeno virale. 

Come non pensare poi a Gabriella Nardini, più conosciuta come Kissy di Teramo, diventata  celebre alcuni anni più tardi per il video in cui urlava le parole “Centodiciotto, chiamate il centodiciotto” in mezzo alla città, infastidita dal ragazzo che la stava filmando. Il suo modo di vestire un po’ stravagante, l’uso di un linguaggio volgare e i suoi modi eccentrici la resero protagonista di molti video che circolavano sul web. Nei quali, spesso, veniva derisa e presa in giro sia da chi produceva i filmati, sia dagli utenti che poi li diffondevano. Scorrendoli su YouTube, sembra che alcune persone facessero davvero una sorta di caccia al personaggio, come se in molti la rincorressero sperando di riuscire a registrare qualche frase scomposta da postare online. Nessuno spazio per l’empatia, per la comprensione di una situazione sicuramente difficile dall’altro lato: chi fosse veramente questa donna non lo poteva di certo sapere chi rideva delle sue stravaganze. Lo stesso discorso vale per il periodo in cui molti utenti rimanevano impalati di fronte ai video di Andrea Dipré, che fino a pochi anni fa inondava il web con innumerevoli interviste a personaggi singolari. Video in cui aveva portato in scena anche persone con difficoltà e problemi psicologici, come nel caso di Sara Tommasi. Ma l’elenco di personaggi che avevano contribuito alla notorietà di Dipré potrebbe estendersi a un lungo elenco di figure bizzarre, colte in momenti spesso paradossali al fine di incrementare le visualizzazioni. Filmati che, naturalmente, lo spettatore poteva limitarsi a osservare divertito, senza chiedersi cosa ci fosse dietro a ognuna di quelle grottesche situazioni. Il fenomeno della viralità online, del resto, deriva soprattutto dall’approccio con cui gli utenti si interfacciano alla rete. La continua fame di contenuti poco impegnativi spinge alla ricerca di situazioni bizzarre da mostrare e condividere; la cui comicità, però, si trova essenzialmente nel momento in cui l’utente ha il primo impatto con queste situazioni. E a quel primo contatto bisogna fermarsi, perché se si andasse più a fondo l’elemento comico svanirebbe. 

Non è certo grazie ai social che l’uomo ha scoperto questa dinamica. Quando Luigi Pirandello cercò di dare una definizione del suo modo di intendere la propria poetica, ad esempio, lo fece attraverso un’immagine di una chiarezza eccezionale. Immaginate di trovarvi di fronte a una vecchia signora, scrisse nel saggio L’umorismo del 1908, “Coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata, e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere”. Una situazione chiara: quando vediamo qualcosa che si presenta all’opposto di come ci aspettiamo che sia, ci fa ridere e lo troviamo comico. Ed è esattamente ciò che capita sui social. Tuttavia, se decidessimo di fare un passo successivo, andando oltre quello che Pirandello definisce “l’avvertimento del contrario”, le cose cambierebbero. Infatti, scrive, “Se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e le canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovine di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento”. È qui che al comico subentra l’umorismo pirandelliano: una vera riflessione su quel primo avvertimento del contrario che permette di fare un passo in più, di scomporre la realtà e comprenderne la complessità. Questa intuizione pirandelliana d’altronde fu la base di molte delle sue opere, i cui personaggi erano spesso uomini e donne bizzarri che, però, celavano dietro alle proprie stranezze una profonda complessità. 

L’analisi di Pirandello ci può aiutare a indagare più a fondo il fenomeno della viralità sui social. Online, infatti, ciò che ci manca è proprio fare quel passo in più: lo sforzo di andare sotto la superficie delle cose alla ricerca della comprensione dell’altro. E manca a tutti: a chi pubblica e a chi condivide. Infatti, quando un contenuto si diffonde in modo capillare la responsabilità non può più essere caricata solo sulle spalle di chi per primo lo ha pubblicato, anche chi ne usufruisce, lo condivide oppure lo sfrutta, si addossa una responsabilità etica nei confronti del protagonista del video o della foto. In questa tendenza possiamo ritrovare gli stessi pilastri che, secondo Tommaso Labranca, sostengono la diffusione del fenomeno del trash, in particolare quelli di incongruità e massimalismo. Vedere un tentativo malriuscito di adeguarsi alla realtà, come diceva Pirandello, è qualcosa che ci attira e ci incuriosisce. E forse suscita anche un senso di superiorità: osservare la mediocrità altrui lascia sempre margine allo spettatore per percepirsi su un piano più alto, in una condizione che permette di denigrare e di percepire una propria realizzazione. Da qui nascono i meme e i contenuti digitali che prendono ispirazione da questi personaggi; i quali, di conseguenza, inducono gli utenti a guardare i filmati a loro volta, per non avere l’impressione di essere esclusi.

Tutto ciò che vediamo online viene ridotto a una specie di spettacolo da osservare come semplici spettatori. Imparare a usare il web in modo consapevole, però, significa anche comprendere che dietro a uno schermo ci sono delle persone reali, che vivono situazioni che spesso non conosciamo. Imparare, sforzarsi, ad andare a fondo, a non fermarsi alla superficie immaginando che cosa possa esserci dietro alle difficoltà di una persona che per qualche motivo si mette involontariamente in ridicolo non significa soltanto sviluppare una minima empatia verso gli altri, ma contribuire allo sviluppo di una società civile in cui la diversità non venga ogni volta considerata come una forma di inferiorità di cui prendersi gioco, una specie di intrattenimento.

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