Stiamo assistendo alla normalizzazione della estrema destra al potere. E non battiamo ciglio.

Se vent’anni fa ci avessero detto che un giorno avremmo avuto al potere un partito neofascista con la fiamma tricolore nel simbolo, avremmo stentato a crederci. Eppure non solo è successo, ma con il governo Meloni molte posizioni di estrema destra passano sempre più come lecite e condivisibili, pur non essendolo. Lo sbaglio sta alla radice: l’aver lasciato che si diffondessero pensieri fascisti, razzisti e omofobi considerandoli opinioni legittime.

“La grande abbuffata” è ancora la metafora nauseante del consumismo corrotto della nostra società

“La grande abbuffata”, film del 1973 di Marco Ferreri, ha profetizzato con cinquant’anni d’anticipo lo scenario a cui assistiamo oggi, in un mondo dove la democratizzazione dell’abbondanza non ha portato alla redistribuzione di ricchezza e di qualità; ma alla diffusione di una cultura del consumo immediato e perenne.

No, l’agorafobia non è la paura di stare nei luoghi affollati. Quasi il contrario.

Anche se siamo soliti identificare l’agorafobia con la paura degli spazi affollati, questo disturbo rappresenta in realtà qualcosa di più stratificato e soprattutto di molto difficile da riconoscere se non si guarda attentamente ai propri comportamenti. Chi ha sintomi connessi all’agorafobia tende infatti a temere i luoghi in cui è difficile scappare in caso di pericolo o ricevere soccorso, in particolare quindi quelli isolati e difficili da raggiungere.

Il consenso sembra il perfetto discrimine tra bene e male ma la realtà è ben più complessa di così

Negli ultimi anni, il tema del consenso è diventato centrale quando si parla di violenza di genere, tanto che “ormai ci appare come il perfetto criterio di discrimine fra il bene e il male, fra ‘buon’ sesso e stupro”, diventando una sorta di panacea di tutti i mali. Eppure questo approccio ha i suoi limiti.

La Biennale è la traccia politica e culturale di come l’identità di Venezia si è plasmata nel tempo

La Biennale di Venezia rappresenta un’Istituzione unica al mondo, così com’è unico lo spazio dei Giardini che tanto a lungo l’ha identificata, assumendo le fattezze dei pensieri e delle forze creative, immaginifiche e politiche che la attraversavano, e dando spazio a ciascuna di esse per farle coesistere nella diversità. Questa manifestazione testimonia dunque un fenomeno raro, che ha trovato un terreno fertile in cui attecchire e che affida all’Architettura il suo più alto valore simbolico ed esistenziale, in una città che al di là del perimetro dell’evento stesso è rimasta pressoché immutata, pur lasciandosi influenzare dalle sue spinte e dai suoi movimenti.

La crisi climatica è innegabile. Chi la contesta è in mala fede e ne è consapevole.

L’origine antropica dei cambiamenti climatici è ormai cosa nota da decenni a livello scientifico, tanto che aprire una discussione sul tema sembra qualcosa di anacronistico. Questo dato sembra però non essere così scontato se si guarda alle dichiarazioni di molti dei politici al governo, che continuano a sostenere le loro posizioni negazioniste anche a fronte delle manifestazioni più evidenti e distruttive della crisi climatica.

Il governo Meloni ci sta consegnando al collasso climatico

Non ci si dovrebbe sorprendere delle posizioni del governo rispetto alla crisi climatica, dato che già le premesse della campagna elettorale non erano buone, con Fratelli d’Italia in particolare che considerava l’ambiente solo come territorio nazionale e confini da difendere. Il problema, però, sorge quando affermazioni come quelle pronunciate dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, che non si limitano a negare la crisi climatica ma sono definibili come vero e proprio negazionismo scientifico, si traducono in leggi e provvedimenti concreti, che rischiano di consegnare il Paese al collasso ambientale.

Il digital detox nella nostra società può solo essere un palliativo. Anche un bel po’ ingenuo.

Sebbene il fenomeno della dipendenza da tecnologia non sia mai stato riconosciuto ufficialmente dalla comunità scientifica, negli ultimi anni il numero di persone che ha un rapporto problematico con internet o con i propri dispositivi elettronici ha continuato a crescere. Così, una volta divenute evidenti le sue conseguenze sul benessere individuale – quali maggior senso solitudine, un’autostima più bassa e, spesso, disturbi del sonno – è andata diffondendosi anche la promozione di una presunta soluzione: il cosiddetto digital detox, che non è altro che un palliativo momentaneo. Per emanciparsi da questa dipendenza non bastano infatti dei periodi limitati di estraniamento, ma servirebbe una rivalutazione delle priorità di ogni individuo e ancor più dei meccanismi che regolano la nostra società.

In una società che ha accelerato a dismisura e vuole tutto, abbiamo perso l’enorme valore dell’attesa

Nonostante l’attesa sia parte integrante della nostra vità, come fatto biologico ancor prima che come stato mentale – basta pensare a molti dei fenomeni che riguardano il nostro corpo, come la gravidanza o il ritmo sonno veglia –, il nostro sistema ci ha dato l’illusione di poterla eliminare dalla nostra esperienza, per evitare di sprecare il poco tempo che ci è rimasto a causa dei suoi ritmi in costante accelerazione. L’attesa, però, ha in realtà un valore fondamentale per la nostra emotività, perché ci permette di coltivare i sentimenti che proviamo nei confronti di un evento futuro, conferendogli un particolare significato, in modo da non far crollare la nostra esistenza in un limbo dove tutto sembra equivalente e irrilevante.

Fa troppo caldo per lavorare

L’ondata di caldo a cui stiamo assistendo probabilmente non sarà l’ultima del 2023 e sicuramente non lo sarà dei prossimi anni. L’effetto di queste temperature continuerà a riversare le sue conseguenze su tutti gli aspetti della nostra vita, compreso il lavoro, che non potrà fare a meno di adattarsi, magari distribuendo diversamente gli orari lavorativi nel corso della giornata e dell’anno, aumentando la durata della pausa e riducendo gli orari di lavoro, oltre a pensare a divise e accessori diversi e puntare su impianti di raffreddamento. La crisi climatica è, in ogni caso, uno degli aspetti che influirà maggiormente sulla nostra stessa organizzazione sociale, e l’adattamento non basterà se non ci impegniamo a contrastarla.

Dobbiamo tornare a scoprire il valore umano delle piazze, intese come agorà greche

In una realtà dove sembra sempre più difficile riuscire a essere ottimisti, a causa degli eventi impattanti che continuano a susseguirsi e delle loro potenziali conseguenze sul nostro futuro, non dobbiamo dimenticare che solo un atteggiamento positivo nei confronti della vita può riverberare in modo altrettanto produttivo nel mondo. È quindi fondamentale darsi la possibilità di godere a pieno di ogni cosa capace di darci tregua, riscoprendo l’importanza di approfondire i nostri legami con gli altri attraverso momenti d’incontro e scambio in spazi aperti e pubblici come avveniva nelle agorà greche; ricordandoci che la nostra individualità prospera quando inserita in una comunità positiva.

Acque francesi, il Principe, tre barche di Pariolini e due spari

Il 17 agosto 1978, tre barche con a bordo una numerosa compagnia di pariolini in vacanza salpano da Porto Rotondo. Sono pronti a esplorare l’Isola di Cavallo, che possono intravedere a occhio nudo dal bagnasciuga sardo, come un pungolo di sabbia e scogli che li spinge a fantasticare sulle vacanze della famiglia Savoia, abituata a trascorrerle lì. Con loro c’è anche Dirk Hamer, il diciannovenne tedesco che quella notte rimarrà ferito da un proiettile per mano del principe Vittorio Emanuele. La sua morte e la vicenda giudiziaria che ne è scaturita viene ancora ricordata come uno dei casi più impattanti della storia italiana recente.

Il calcio femminile va valorizzato al pari di quello maschile. Vittorie e successi ne sono conferma.

A partire dagli ultimi Mondiali di calcio femminile, questa disciplina ha acquisito sempre più successo e visibilità mediatica, soprattutto per l’abilità che le atlete hanno dimostrato nel veicolare tematiche fondamentali dal punto di vista politico e sociale, rendendole parte integrante della performance sportiva, dell’adrenalina, dello spettacolo di cui erano protagoniste. Giocando esattamente come i loro colleghi uomini, le calciatrici hanno unito la qualità agonistica alla componente di attivismo propria dello sport, contribuendo a disinnescare gli stereotipi di genere e avvicinando il pubblico alle loro rivendicazioni.

Spinti dalla pretesa di avere ragione, rinunciamo al confronto per imporci sugli altri

Il sentimento che innesca il voler avere sempre ragione è molto simile a quello del fallimento e del suo rifiuto. Ma come per imparare a fare bene qualcosa devi averla provata a fare molte volte, e per forza di cose molte volte male, o anche malissimo; anche per avere ragione bisogna aver avuto torto molte, molte volte – e averlo riconosciuto e accettato.

Un Paese di ipocriti, dove tutti salgono sul carro del vincitore, per rinnegarlo poi appena fallisce

Per i tempi che stiamo vivendo sembra che la tendenza a voler sempre salire sul carro del vincitore, e al tempo stesso lapidare chi perde, sia diventata una caratteristica della nostra società. Per spirito di emulazione si segue la massa osannando una figura di spicco quando è in ascesa, per poi godere allo stesso modo – e tutti insieme – di un suo eventuale fallimento. Può essere una forma di invidia sociale, una via traversa per un riscatto basato unicamente sulla caduta altrui, o anche una semplice adesione passiva, ma ciò che questa tendenza rivela, con la sua diffusione, è l’evidente frattura interna al nostro contesto sociale, che ci porta a mitigare il dispiacere per i nostri fallimenti sulle spalle degli altri.

Rambo, ricordato come vuota celebrazione della potenza USA, va in realtà ampiamente rivalutato

Anche se negli anni la saga di “Rambo” è stata identificata come il simbolo dell’America reaganiana – militarista, muscolare e ossessionata dall’invincibilità –, a ben guardare “First blood”, il primo capitolo diretto da Ted Kotcheff, è qualcosa di molto diverso dall’americanata per antonomasia, dal prodotto consunto di un sistema sempre uguale a sé stesso, che sarebbe poi stato tanto bistrattato negli anni a seguire dalla critica cinematografica europea. Il film, infatti, ruota attorno a una rabbia bruciante, a un turbamento esistenziale che si fa veicolo di temi tutt’altro che banali o inconsistenti, come la solitudine dei reduci, l’incomunicabilità di un trauma, il tentativo di una nazione di rielaborare la sua stessa storia.

I violenti scontri in Francia mostrano come ghettizzare invece di integrare porti solo odio

Quel che colpisce maggiormente della reazione dei francesi all’omicidio del diciassettenne franco-algerino Nahel Merzouk e alle proteste che ha generato, è la spirale di discriminazione e violenza alimentata dall’estrema destra che ne è scaturita. Il sostegno dimostrato al poliziotto responsabile dell’uccisione, e non alla vittima, le azioni di gruppi neofascisti che sono state segnalate in tutto il Paese, e in generale il sentimento di odio crescente nei confronti delle comunità straniere, dimostrano quanto la mancata integrazione non possa che sfociare in un clima di divisione sociale, frutto di anni di colonialismo e ghettizzazione degli immigrati, le cui conseguenze sono ancora tangibili nella società francese.

Il proibizionismo è la peggiore risposta alle droghe, favorisce narcotraffico e tossicodipendenza

Le politiche proibizioniste, a prescindere da ciò che pensa e dice Meloni, sono sempre state motivate nella storia da dinamiche di dominio sociale, le stesse che oggi ci fanno combattere guerre retoriche e legali sul filo dell’ideologia, e ancora una volta a scapito dei nostri diritti e della nostra salute. Un fenomeno sociale come quello dell’uso e dell’abuso di droghe, infatti, non si risolve certo con il divieto al consumo o con una stretta autoritaria – che non fanno altro che aumentare le tossicodipendenze e il narcotraffico – ma dando alle persone gli strumenti per informarsi sui diversi effetti, positivi o negativi, che queste possono avere sul nostro corpo.

Il grande inganno della società è aver fatto in modo che affidarci agli altri sia un gioco a perdere

A causa della presenza pervasiva e martellante di fattori che ci fanno sentire vulnerabili a ogni tipo d’inganno – dal costante aumento delle truffe online, all’idea di fondo che ci sia sempre qualcuno pronto a “rubarci” il lavoro, l’identità, o altro di ciò che possediamo –, stiamo assistendo a un’erosione progressiva della nostra capacità di riporre fiducia nel mondo, con dirette conseguenze sui legami che stringiamo con gli altri. Gli psicologi, nello specifico, parlano di “suckerofobia”, una fobia sociale che ha la sua origine nella sensazione – spesso non veritiera – che qualcuno stia agendo a nostre spese in modo disonesto, portandoci a diffidare di chi ci circonda, e creando così una coltre di sfiducia collettiva sempre più difficile da lacerare.

Dobbiamo concepire i comportamenti sostenibili non più come rinunce ma unicamente come guadagno

Non servirebbe alcun calcolo o bilancio per prendere coscienza di quanto, di fronte allo scenario che già si sta profilando davanti ai nostri occhi, la scelta di abbracciare un comportamento ecologico rappresenti un’innegabile fonte di guadagno, per noi e per il pianeta. Nei fatti, però, quando parliamo di sostenibilità continuiamo a farlo concentrandoci sulle rinunce, con una narrazione che paradossalmente finisce spesso per dissuaderci dall’adottare comportamenti virtuosi, come se questi interferissero con il nostro benessere. Al contrario, l’effetto positivo che possiamo generare nella realtà a partire dai cambiamenti che interessano la nostra vita, ha estrema rilevanza anche dal punto di vista personale, influendo direttamente sulla nostra felicità.

“Black Mirror” non ha più ragione di esistere

Nelle prime due stagioni di “Black Mirror”, precedenti all’influenza di Netflix, il suo creatore Charlie Brooker è riuscito in pieno a mostrare la tecnologia come una droga, insieme a tutti i suoi effetti collaterali, in una narrazione che non si riduceva alla semplice distopia e nemmeno a una rappresentazione fantascientifica, ma aveva qualcosa di inedito e rivoluzionario. Oggi però, la società si è adeguata nel bene o nel male alle trasformazioni tecnologiche che la serie descriveva come spaventose e al tempo stesso suggestive, anche se sono state estremamente repentine, tanto da farle perdere la sua potenza perché è stata superata dalla stessa realtà.

“Everybody Talks About The Weather” fonde evocazione e scienza per riflettere sulla crisi climatica

Da ormai qualche anno abbiamo iniziato a fare i conti con i primi e tremendi effetti del cambiamento climatico, tanto che parlare del tempo è diventato tutt’altro che uno spazio neutro e rassicurante, ma anzi, è un tema che ci costringe a interrogarci su una delle sfide più ardue della storia umana. Con la mostra “Everybody Talks About the Weather”, Fondazione Prada ha trovato nel contatto tra arte e scienza il dispositivo d’elezione per condensare e offrire allo spettatore una riflessione sull’attualità dall’inedita potenzialità di sguardo, che affianca opere d’arte e dati, colori e diagrammi, meteorologia e climatologia.

La legge Nordio servirà anche a snellire la burocrazia, ma sembra più uno scudo per molti reati

Per molti aspetti la legge Nordio, che negli ultimi giorni ha diviso nettamente l’opinione delle forze politiche e giudiziarie, segue la scia dell’impunità di massa che il governo sembra voler favorire. Più che un tentativo di snellire la burocrazia italiana, infatti, l’abolizione dell’abuso d’ufficio e le varie modifiche proposte in merito al tema del traffico delle influenze o delle intercettazioni, sembrano rientrare nei condoni – fiscali, edilizi e di qualsiasi altro genere – a cui la destra è avvezza, privando la magistratura di alcuni importanti strumenti di deterrenza nei confronti di certi reati, oltre che di limitazione della corruzione.

Sono diventata mamma senza per questo avere una vita tremenda. È possibile, ma siamo in poche.

In Italia c’è questa idea che non si possa essere genitori ed essere pure cool. Appena diventi mamma sei condannata alla sfiga, alla polvere, al dietro le quinte. Eppure non è così. Al di là degli stereotipi e dei giudizi sul diventare genitore, è possibile essere giovani, essere felici, avere paura, avere la pancia, aspettare un bambino, avere i capelli lunghi, mettersi i tacchi, andare alle feste, sognare, temere, vivere. Essere sempre noi stesse, e aspettare un bambino – che sicuramente è un’esperienza che cambia la vita, ma nonostante le tante difficoltà in meglio. Perché anche se è bene denunciare tutto ciò che non funziona, avere un figlio non ha solo dei risvolti negativi, tutt’altro.

Sebastian Copeland ci mostra che nulla conserva la memoria del mondo come il ghiaccio

Esplorare, nel 2023, significa compiere un’azione sia interna che esterna. Da un lato infatti è un movimento intimo, filosofico, perché il livello di difficoltà esistenziale del raggiungere, sulle proprie gambe, in un luogo impervio, è sempre uguale, a prescindere dalle innovazioni tecniche che possono renderlo un po’ più semplice. Dall’altro, quegli stessi mezzi, in particolare le comunicazioni, lo rendono più tangibile, permettendo di avvicinare un grande pubblico a ecosistemi di cui altrimenti non farebbe mai esperienza, sensibilizzandolo. Lo testimonia la storia di Sebastian Copeland, che oltre a essere uno dei più grandi esploratori polari contemporanei, oggi impegnato in una missione in Groenlandia, è anche con le sue fotografie tra i più importanti testimoni della crisi climatica. Da vent’anni infatti porta l’attenzione mediatica sulle sue conseguenze deleterie, facendo della sensibilizzazione riguardo alla necessità di agire un cambiamento la sua principale vocazione.

Oggi, per lavorare, i giovani non devono solo essere preparati ma anche essere manager di se stessi

Se un tempo si faceva di tutto per perseguire la triade concorso pubblico-postofisso-pensione, oggi per le nuove generazioni questo iter è del tutto irrealistico. Non solo un giovane si ritrova senza i mezzi per ambire a certe posizioni, ma deve anche fare i conti con una realtà che gli impone di imparare un secondo lavoro: quello del manager.

Per evolvere tutti simultaneamente, non solo le risorse ma anche le opportunità vanno redistribuite

Nel mondo globalizzato contemporaneo, in cui è ormai chiaro quanto siamo tutti profondamente interconnessi, è fondamentale non perdere di vista la necessità di agire collettivamente per evolverci e progredire, oltre alla consapevolezza di quanto l’accesso al benessere e alle possibilità debba essere ampio, inclusivo e democratico, invece che esclusivo e inaccessibile.

Berlusconi non solo ha plasmato l’Italia ma la vita di 4 generazioni. Tra cui la mia.

Il flusso delle immagini della televisione di Berlusconi è lo specchio della personalità del presidente, una proiezione della sua mente, dei suoi sogni. Quello specchio – dove si riflettono donne dalle gambe chilometriche, soldi a non finire, opportunità per tutti – è diventato rapidamente anche l’immaginario degli italiani. Per i millennial, cresciuti con “Bim Bum Bam” e abituati a vedere donne sculettare in perizoma mentre cenano durante il game show preserale, Berlusconi è l’incarnazione della propria infanzia, una specie di daimon che si è inserito nelle nostre vite, tanto che la sua morte rappresenta anche la cesura definitiva con una dimensione passata, il tramonto dell’etica e dell’estetica che ne hanno plasmato fantasie, desideri e aspirazioni. 

“Il dubbio”, con Hoffman, è una cruda riflessione sul sistema di omertà della Chiesa cattolica

Il dubbio, dunque, è il teatro di un duplice processo: quello fallace in cui Padre Flynn e Suor Aloysius attaccano l’uno le idee dell’altra, impossibile da concludere; e quello che lo spettatore fa spontaneamente al sistema corrotto dell’istituzione clericale. Ciò che viene percepito come indiscutibilmente condannabile, alla fine del film, è infatti il meccanismo di omertà e coperture che la Chiesa utilizza per proteggere i preti pedofili dalle legge, mirando a tutelare l’istituzione e i suoi poteri invece che le sue possibili vittime.

Se abbiamo paura di invecchiare, è per i pregiudizi che la società impone alla nostra vita

Gli standard sociali hanno assoggettato le nostre vite a un rigido scadenziario, che le spezza in “obiettivi” – l’ingresso nel mondo del lavoro, il raggiungimento di un titolo di studio, ma anche l’inizio di una relazione stabile – e che tende a farci sentire sempre in ritardo, fuori tempo massimo, con tutta l’angoscia che ne deriva. Questo ha aumentato la nostra paura della vecchiaia, che oggi viviamo come una forma di esclusione trasversale alle generazioni, perché tocca chiunque non si dimostri pronto alla prossima delle deadline che lo riguardano, con il rischio di venire superato, lasciato indietro e poi dimenticato da chi invece riesce ad attenersi alla tabella di marcia.

Ecco perché raccogliendo i filtri di sigaretta gettati su spiagge e pinete salviamo noi stessi

Uno dei segnali più evidenti di noncuranza nei confronti del nostro ambiente e delle persone con cui lo condividiamo è sicuramente abbandonare in giro i nostri rifiuti. Succede con molti prodotti usa e getta e involucri, ma soprattutto con i filtri delle sigarette, che oltre a essere dannosi per il nostro habitat e per le specie che ci vivono, rilasciano sostanze chimiche estremamente nocive. Sensibilizzare i fumatori, ma non solo, nei confronti di questo gesto che spesso viene reiterato come fosse un automatismo, è fondamentale, per comprendere le reali conseguenze di un’abitudine che, come tutte, può essere cambiata.

“L’ultima corvè“, con Nicholson, svela magistralmente la corruttibilità umana di fronte al potere

“L’ultima corvè”, con Jack Nicholson, è un viaggio e al tempo stesso un rito di iniziazione, in cui i protagonisti, muovendosi al di sopra dei meccanismi del potere, scelgono di dare nuove regole al rapporto che li unisce. A compierlo sono due sottoufficiali e una recluta appena arruolata nella marina militare statunitense, che pur avendo ben presente il ruolo assegnato loro dall’esercito, si trovano a viverlo in contraddizione, divisi tra le infinite variabili che attraversano le relazioni umane, e che spesso ci portano a dubitare del nostro codice etico, quando non riconosciamo in chi ci circonda gli stessi principi in cui crediamo.

L’esito delle amministrative non è solo colpa di Schlein, ma la sua azione di contrasto si è arenata

Dopo l’iniziale “effetto Schlein”, con la risalita nei sondaggi del Partito Democratico, i risultati delle amministrative e la vittoria della destra hanno dimostrato quanto la spinta della nuova segretaria si sia raffreddata, avviandosi quasi a un’istituzionalizzazione programmatica in antitesi con gli impeti che l’avevano portata all’ascesa. Al centrosinistra serve un’azione di reale opposizione volta a contrastare l’operato di governo.

Si sta avvicinando la fine del femminismo pop. E potrebbe non essere un male.

Il successo e la diffusione della quarta ondata femminista, che ha avuto il suo apice con il #MeToo nel 2018, si devono alla combinazione favorevole di viralità social e celebrity culture. Senza Beyoncé che si esibisce di fronte a un enorme ledwall con la scritta “Feminist”, probabilmente il femminismo odierno non avrebbe conosciuto la stessa fortuna. Ora che ci affacciamo verso una crisi, se vuole sopravvivere il femminismo ha bisogno di smettere di inseguire l’endorsement delle celebrità e di uscire dal circuito delle giornate istituzionali, abbracciando una stagione di lotte più radicali.

Abbiamo abbandonato la maternità nelle mani della destra. È ora di smetterla.

La maternità, intesa come tema di rilevanza sociale, e concentrando la disamina del problema dal dopoguerra in poi, quando la cultura di sinistra ha emancipato la donna dalle politiche nataliste che contraddistinsero l’Italia fascista, senza però elaborare un nuovo modo di coniugare il tema della genitorialità, è rimasta appannaggio della cultura di destra. Bisogna riappropriarsene.

Smettiamola di etichettare come “bullismo” anche cose che col bullismo non c’entrano nulla

Non tutte le cattiverie diventano automaticamente atti di bullismo: se continuiamo a usare una parola che inquadra una piaga come questa – che oggi devasta la vita di moltissimi giovani – in modo superficiale e generico, anche questa parola finirà, come tante altre inflazionate, per perdere la sua efficacia, essere trattata con approssimazione e, di conseguenza, le persone realmente bullizzate rischieranno di essere sempre più trascurate.

L’egemonia culturale e politica degli Usa appartiene ancora solo a una generazione: i boomer

In sostanza, i presidenti degli Stati Uniti non stanno statisticamente diventando più vecchi. Tuttavia, nel bene e nel male, l’egemonia culturale e politica del Paese appartiene ancora a una generazione specifica, che grazie anche all’aumento dell’aspettativa di vita può vantare oggi un’autorità senza precedenti rispetto a chi è venuto prima di loro. Nonostante quindi l’americano medio sia ormai un millennial, quindi nato negli anni ottanta e novanta, i boomer rimangono, almeno per ora, la generazione più influente.

In una società sempre più interconnessa dobbiamo ibridare umanesimo e innovazione

Il dibattito attorno alla molteplicità delle intelligenze e alla multipotenzialità è diventato fondamentale in un mondo sempre più interconnesso, dove comprendere la complessità dei fenomeni che ci coinvolgono significa fare dialogare diverse discipline, per informare il nostro pensiero e la nostra lettura del presente attingendo dagli ambiti più vari. Acquisire una certa flessibilità e la capacità di orientarci su molti territori, per saper discernere e comprendere linguaggi diversi tra loro, ci permette infatti di rispondere rapidamente agli stimoli e di cogliere possibili occasioni, seguendo un nostro ritmo interiore che finisce per riverberarsi all’esterno.

La Rai deve rappresentare il Paese. Epurare i programmi di opposizione al governo sa di dittatura.

La notizia del passaggio – più un dirottamento forzato – di Fabio Fazio e Luciana Littizzetto a Discovery va in quella direzione in quanto atto politico, allontanamento di elementi, appunto, indesiderabili. Quando si parla di servizio pubblico, e quindi di lottizzazione della Rai, è risaputo che ogni nuovo governo, una volta eletto, tenti di piazzare i suoi uomini nelle posizioni di potere. A volte si giunge a compromessi con figure super partes. No, non è il caso del governo Meloni, che sta muovendo i fili per trasformare la Rai nella versione moderna dell’Istituto Luce.

L’instabilità in cui vivono molti giovani insegnanti è insostenibile. Per loro e per gli studenti.

Tra posizioni precarie, paghe insufficienti e necessità di trasferirsi per svolgere la propria professione – soprattutto dalle regioni del Sud al Nord Italia – gli sforzi che i giovani insegnanti sono costretti a fare per lavorare prosciugano le loro energie e la loro motivazione, ricadendo inevitabilmente sugli studenti. Condizioni psicofisiche così instabili, infatti, rischiano di ripercuotersi sulla loro efficienza e sulla capacità di ascoltare e costruire una relazione con la classe, per far sì che l’evento educativo non si trasformi in mera trasmissione di nozioni. Investire risorse nell’istruzione e stabilizzare i docenti è uno dei passaggi necessari per costruire una scuola realmente utile e formativa per gli adolescenti di oggi e di domani.

Molte nostre pietanze non sono italiane. La strenua difesa dei conservatori, l’ennesimo paradosso.

I conservatori del cibo se ne facciano una ragione: la cucina italiana è così variegata e ricca proprio grazie alle diverse culture che hanno attraversato il nostro Paese e alla possibilità di integrarle e farle nostre che abbiamo avuto. Osteggiare il progresso, in tutti i campi, è già di per sé un atto di esclusione e in ambito culinario questo è ancora più limitante, dato che le ricette richiedono una creatività e una contaminazione che non possono essere frenate o strumentalizzate per un discorso politico.

“Cere anatomiche”, in Fondazione Prada, varca la nostra tremenda realtà interiore

“Cere anatomiche”, la mostra presentata da Fondazione Prada in collaborazione con La Specola di Firenze e il regista canadese David Cronenberg, appare oggi come un potentissimo dispositivo di indagine antropologica e psicologica della nostra essenza e delle nostre pulsioni, fondendo analisi scientifica ed espressione artistica in un unico sguardo, per scavare nella nostra identità di corpi.

Una scelta strategica decisa può innescare un fenomeno collettivo: è “The Domino Act”

Nonostante siamo portati a pensare all’effetto domino come una serie di eventi negativi in successione, esso è anche il dogma delle Nazioni Unite, che ribadisce come tutto sia interconnesso e quanto questo meccanismo possa valere anche in positivo. L’installazione “The Domino Act”, sviluppata dal designer Gabriele Chiave con il collettivo Controvento per presentare il nuovo prototipo Audi, skysphere concept, associa questa visione in controtendenza al concetto di circolarità che sta alla base dell’idea di progresso abbracciata dall’azienda, sottolineando come una presa di coscienza comune, seguita da scelte decise, possa innescare un fenomeno collettivo.

La bici non inquina ed è economica, ma nelle città serve investire ancora molto in sicurezza

Nonostante l’uso della bicicletta in Italia sia stabile da qualche anno, se ci fossero le condizioni di sicurezza per farlo il numero di persone che la utilizzerebbe per spostamenti brevi aumenterebbe esponenzialmente. Incentivarne l’uso è una scelta fondamentale per migliorare la qualità della vita, soprattutto nelle città, oltre che per contrastare la crisi climatica, incidendo concretamente sul riscaldamento globale.

I film di Nanni Moretti sono una seduta di autoanalisi. Il sol dell’avvenire non fa eccezione.

“Il sol dell’avvenire”, l’ultimo film di Nanni Moretti, è la perfetta sintesi della visione del mondo del regista, una sorta di circo romantico che ne tiene assieme tutte le componenti, e permette così di intercettare ancora una volta il suo sguardo sulla realtà, per scoprire come esso si sia trasformato nel tempo, e in cosa, invece, sia rimasto invariato. Al posto delle sue idiosincrasie personali, Moretti sceglie di raccontarsi attraverso i film che ha amato maggiormente, rendendoli parte di una vera e propria forma di culto, di un’ideologia che è prima intima e poi artistica, e che decide di condividere perché gli appartiene profondamente.

Insieme possiamo essere realmente efficaci e coltivare il nostro grande amore per il pianeta

Come ogni tipo di affetto, anche quello nei confronti del nostro pianeta va seminato, nutrito e coltivato, attraverso stimoli, spunti, atmosfere e connessioni profonde. Conoscere l’ambiente in cui ci muoviamo, ci permette di sviluppare strumenti personali per abitarlo con più sicurezza e sentirci un po’ meno in balia degli eventi, oltre che renderci utili quando facciamo qualcosa in gruppo. Per questo anche contro la crisi climatica dobbiamo impegnarci in un’azione condivisa, che ci permetta di interpretare i valori in cui crediamo attraverso la nostra vita e le nostre scelte, dedicandoci ad esse non come fossero temi ideologici ma gesti di amore.

Abbattere un orso non risolve un nostro grande problema, un rapporto totalmente errato con la natura

Non abbiamo la consapevolezza degli spazi naturali, degli habitat animali, della loro fragilità e anche pericolosità; abbiamo dimenticato che la natura bucolica è in realtà, e prima ancora, l’habitat di un animale spesso schivo, ma potenzialmente pericoloso, soprattutto se spaventato. L’episodio dell’orso in Trentino deve farci riflettere sul nostro rapporto con la natura: uccidere un orso non risolverà il problema.

10 film da vedere a Pasqua su tanti poveri innocenti morti in croce come Cristo

Il racconto evangelico della morte di Cristo restituisce il sacrificio che ha segnato maggiormente la nostra cultura. Le storie di vittime innocenti, schiacciate dalla violenza e dagli abusi di potere, sono state però anche molte altre e molto più vicine a noi. Con capolavori come “Giordano Bruno” e “Sacco e Vanzetti” di Giuliano Montaldo, “Silence” di Martin Scorsese, “Garage Olimpo” di Marco Bechis, “Salvador – 26 anni contro” di Manuel Huerga e “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini, il cinema ha saputo sottrarle all’oblio della Storia: ecco 10 film che secondo noi dovresti vedere questa Pasqua.

Riscoprire “Magnolia”, riflesso perfetto della complessità della nostra vita

“Magnolia”, capolavoro del 1999 diretto da Paul Thomas Anderson è un affastellarsi di dettagli microscopici e improbabili che vengono convertiti in nuove unità di misura, iniettati di rilevanza, nel momento in cui un significato ulteriore sembra fare intrusione tra le loro sovrapposizioni accidentali. Dandoci la possibilità di notare queste particelle aleatorie, il regista le trasforma nei nuclei pulsanti di una vera e propria epica a rovescio, in cui l’unico eroismo possibile è quello di chi accetta la sua impotenza rispetto agli urti violenti del caso, liberandoci così dall’ossessione per i disegni a priori, gli algoritmi e i ritratti totalizzanti della realtà.

Come l’allattamento è diventato l’ennesimo strumento per colpevolizzare le donne

A partire dagli anni Ottanta si è verificato un cambio di tendenza nei confronti dell’allattamento artificiale, che ha portato la comunità scientifica a sostenere i benefici del latte materno rendendo l’approccio a quello in formula sempre più restrittivo. Rispetto alle decadi precedenti, si è infatti adottato un atteggiamento che mira a limitare il più possibile le speculazioni capitalistiche e di affermare a livello globale i benefici ormai scientificamente accertati del latte materno. Eppure, la rigidità delle posizioni del sistema sanitario su questo tema, per quanto necessaria da certi punti di vista, rischia di trasformarsi nell’ennesimo strumento per colpevolizzare le donne.

Ingigantiamo ogni difficoltà come fosse un “trauma”, così perdiamo la capacità di affrontare la vita

Oggi ogni cosa viene descritta come “traumatica”, senza alcuna gerarchia, contestualizzazione o capacità di porsi nello stato d’animo o nella situazione dell’altra persona. Ciò che stiamo vivendo, non a caso, viene definito “trauma creep”: il fenomeno per cui il linguaggio clinico, o afferente, finisce per riferirsi a un insieme sempre più ampio di esperienze, ampliando – a dismisura – i possibili significati di un termine. Così, oggi, la parola “trauma” sembra indicare qualsiasi cosa ci infastidisca, in ogni modo, a ogni ora.

Franco e Ciccio incarnano la parabola perfetta di quanto talento si può celare in un comico popolare

Oggi, a vent’anni dalla morte di Ciccio Ingrassia e a trentuno da quella di Franco Franchi, possiamo anche concederci il lusso di guardare l’insieme, la grandezza dirompente, fagocitante, a tratti geniale, sicuramente istintiva e popolare amata da un enorme pubblico e che se pochi nel mondo del cinema hanno apprezzato, tutti oggi possiamo riscoprire, anche solo per conoscere un pezzo di storia fondamentale del nostro cinema.

“Un uomo da marciapiede”, con Dustin Hoffman, ha svelato il vero volto dell’American Dream

Diretto da John Schlesinger, Un uomo da marciapiede si basa sull’omonimo romanzo di James Leo Herlihy, pubblicato nel 1965, e il tema portante fu composto da John Barry, autore della colonna sonora de La mia Africa e Balla coi lupi, per dirne due. Il film – mostrando in maniera per certi aspetti neorealista la New York di quegli anni, con le sue enormi disparità economiche, i ghetti etnici (in particolare quello italiano), il mondo dell’arte e la controcultura queer e omosessuale, la prostituzione e l’uso di droghe – ha contirbuito a veicolare i sentimenti confluiti nei movimenti per la liberazione sessuale – esplosi negli anni Sessanta e culminati nel 1968 – e rappresenta il primo passo deciso di un’ondata di prodotti cinematrografici impegnati a trattare tematiche “per adulti” e a scardinare i tabù della cultura perbenista americana.

Il divieto di aborto non mette in pericolo solo chi deve abortire, ma tutte le donne

I divieti di aborto mettono in pericolo tutte le donne, non soltanto quelle che scelgono di abortire. Inoltre, nei Paesi in cui l’aborto è illegale i medici e i ginecologici sono meno preparati e aggiornati. Molti esperti sono convinti che la prossima mossa degli antiabortisti con posizioni più estreme sarà l’attacco alla contraccezione in ogni sua forma.

Avere le mestruazioni non può essere una colpa. Serve una legge sul congedo mestruale.

Pretendere la parità fra i generi non significa negare l’esistenza di qualsiasi differenza biologica individuale, ma smettere di interpretarla in senso svalutativo: un’inversione di paradigma da perseguire anche riconoscendo, a chi soffre di mestruazioni dolorose, il diritto di tutelare la propria salute senza paura, vergogna o inutili sensi di colpa.

Aumentare gli stipendi solo agli insegnanti del Nord servirà solo a svuotare del tutto il Sud

Negli anni, le fantomatiche promesse su un insegnamento “a chilometro zero” si sono infrante davanti allo scoglio insormontabile del dislivello tra alunni del Nord e del Sud e del conseguente vuoto professionale in certe realtà d’Italia. Non basta aumentare lo stipendio solo degli insegnanti del Nord: serve investire nel Meridione.

No, a 40 anni non puoi più considerarti una “giovane promessa”

Secondo i dati di Eurostat l’Italia è il Paese più vecchio dell’Unione Europea. C’è però il paradosso che porta a considerare giovane chiunque non sia anziano, spesso per fini discriminatori. Abbiamo dunque “il giovane scrittore” quarantenne e lo stagista trentenne che è ancora troppo acerbo e con poca esperienza per fare un salto lavorativo. Tra la fobia collettiva della vecchiaia, il paternalismo di chi non vuole cedere il proprio posto e la giustificazione perfetta per affrontare le proprie responsabilità con più leggerezza, finiamo per rimanere ingabbiati nella giovinezza imposta dal linguaggio e dall’atteggiamento comune, che ogni generazione contribuisce a suo modo ad avvallare, senza poter mai diventare davvero adulti.

“Inseparabili” di Cronenberg è una seduta di psicanalisi forzata che scava nelle nostre perversioni

Quello che mi ha sempre affascinato del cinema di Cronenberg è la sua capacità di rendere ogni film una seduta di psicanalisi forzata. Abbandonandosi alle ossessioni personali che lo assillano e mettendole in mostra, infatti, il regista riesce a ribaltare il nostro modo di considerare noi stessi e ad allargare la visione standardizzata a cui siamo abituati. L’ossessione per l’interno dei corpi, per esempio, è qualcosa che condivide con i protagonisti della sua opera del 1988, Inseparabili, i gemelli Elliot e Beverly Mantle, due semidei della ginecologia, entrambi interpretati da Jeremy Irons.

Perché dobbiamo ricordare Rita Atria, che a soli 17 anni svelò a Borsellino i segreti di Cosa Nostra

A pochi giorni dalla morte di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta, la diciassettenne Rita Atria precipita dal settimo piano di casa. Suicidio, dicono. Perché sulle dinamiche della morte di questa giovanissima testimone di giustizia, la “settima vittima” di via D’Amelio, c’è più di un tratto di opacità.

Ecco altri 20 film che, a nostro modesto parere, dovresti assolutamente vedere

Oltre ai 23 capolavori cinematografici già consigliati, altri secondo noi meritano di essere recuperati. Da “Il tempo dei gitani” di Emir Kusturica a “Festen” di Thomas Vinterberg, passando per “Silkwood” di Mike Nichols, “Hannah e le sue sorelle” di Allen e “Brother” di Takeshi Kitano, ecco altri 20 film che dovresti assolutamente vedere.

La vittoria di Schlein deve essere un punto di svolta, non una bandierina piantata nel nulla

Con la vittoria come segretaria del PD, Elly Schlein dovrà fare lavoro di gruppo e tenere insieme correnti antitetiche all’interno dello stesso partito, oltre che fare opposizione. D’altronde non basta un nome nuovo al comando per trasformare un’intera struttura, soprattutto se questa ha le crepe di decenni di incuria e cecità politica. La sua elezione a segretaria deve essere un punto di partenza, un segnale per la svolta e non una bandierina piantata intorno al vuoto.

Rendere il Partito Democratico realmente progressista è un obbligo. Votare Schlein, pure.

Dopo uno stato di catalessi segnato da immobilismo e disparate analisi della sconfitta, il Partito Democratico sembra essersi accorto che son passati cinque mesi dalle elezioni nazionali che hanno portato la destra al potere. Ormai pensavamo che l’attesa del Congresso fosse essa stessa il Congresso, in un canovaccio kafkiano con un segretario che si dimetteva senza dimettersi, promesse di tabula rasa mantenendo la stessa struttura e le stesse facce e, soprattutto, una passività preoccupante di fronte a un governo già attivo nello spostare le lancette dell’orologio indietro di parecchi anni. Adesso siamo giunti alla fase finale delle primarie del partito. Per qualcuno si tratta di un’autoreferenzialità priva di prospettive, dell’elezione del prossimo ex segretario del PD o dell’ultimo rantolo di una creatura già moribonda. Forse c’è qualcosa di vero, ma la scelta in palio è più importante di quanto si possa immaginare.

Abbiamo passato la vita a essere quello che la società voleva, ora vogliamo essere noi stessi

La nuova macro-tendenza culturale in cui ci stiamo inserendo, ormai insofferenti ai miti proiettivi che hanno sempre stimolato i nostri comportamenti sociali, si esprime in un principio di resistenza ai cambiamenti imposti dall’esterno. Stiamo assistendo, infatti, a un crescente rifiuto dei modelli irraggiungibili che ci sono stati propinati senza sosta per decenni, e a una generale sfiducia nella cultura del sacrificio che ha sempre orientato le nostre vite. Alla grande narrazione dell’ascesa individuale, rivelatasi insostenibile, si sta sostituendo un forte desiderio di abitare i propri confini soggettivi, che rivendica il diritto di non dover per forza fare qualcosa per estenderli o abbandonarli.

Le dating app dovevano aiutarci a conoscere nuova gente. Sono diventate frustranti come un lavoro.

Per raccontare l’impressione sempre più diffusa per cui il dating online si sia trasformato nell’ennesimo elemento con cui la vita moderna può far sentire le persone oberate, nel 2020 la giornalista francese Judith Duportail ha parlato di “dating fatigue”. Il lavoro non si concretizza più nell’interazione, ma nei processi di selezione e auto-presentazione, a cui vengono destinate la maggior parte delle energie.

Ci siamo così adattati al modello commerciale da non saper più distinguere le emozioni vere e false

La sociologa Eva Illouz ha parlato di “capitalismo emotivo”, per spiegare il fenomeno sociale che domina la contemporaneità e che porta la sfera emozionale e quella economica a influenzarsi a vicenda, con le nostre emozioni che seguono sempre di più le logiche del mercato. Il meccanismo sotteso a questa dinamica sociale, che sfugge ormai al nostro controllo, può indurci a una riflessione sull’effettivo benessere che riusciamo a ricavare quando sacrifichiamo ciò che realmente proviamo, in virtù di ciò che dovremmo provare per essere quanto più conformi agli altri e alle loro esigenze, tanto utili al mercato del lavoro quanto “spendibili” sui social.

Il 41 bis serve a tagliare i legami mafiosi ma il carcere non deve mai diventare vendetta

L’articolo 41 bis è una sospensione a norma di legge del trattamento penitenziario ordinario. Se però la carcerazione si trasforma nell’annichilimento del corpo e della mente di chi viene considerato nemico, è innegabile che oltre a perseguire la funzione emergenziale di isolamento di soggetti ritenuti pericolosi ed eversivi il 41 bis ne persegua un’altra essenzialmente punitiva.

Con la Brexit, il Regno Unito pensava di tornare a essere un impero e invece è un disastro

Il 31 gennaio, in occasione del terzo anniversario dalla sua entrata in vigore, il Guardian ha definito la Brexit un “doloroso atto di autolesionismo nazionale”, una definizione che ritrae l’estrema insicurezza economica, abitativa e lavorativa che sta attraversando il Paese, con possibili conseguenze sulla salute mentale della popolazione. Lo scenario attuale non è solo il peggiore che si potesse immaginare, ma anche l’unico possibile nel momento in cui, nel Ventunesimo secolo, la Gran Bretagna si era illusa di poter riconquistare lo splendore economico della propria – idealizzata – epoca coloniale, rigettando qualsiasi forma di europeismo in favore del più completo isolamento: una prospettiva di cui i cittadini, al contrario dell’attuale classe dirigente, sembrano aver compreso l’insensatezza.

“The Last of Us” ha sparato in faccia a tutti gli altri film e serie tratte da videogames

“The Last of Us”, la serie tv tratta dall’omonimo videogioco, fa quello che in pochi sono riusciti a fare nel corso del tempo: creare un adattamento che non solo abbia senso, ma sia capace di elevare la storia originale, ampliandola con coraggio. Il suo successo, infatti, come per le storie migliori, non sta tanto in cosa racconta, ma in come lo fa. “The Last of Us”, infatti, è al contempo una storia molto più piccola e più grande del disastro globale in cui esiste: mettendo in scena degli esseri umani che non devono solo sopravvivere ma anche fare i conti con le conseguenze delle proprie azioni, solleva dubbi etici sulle scelte fatte, o sulla loro assenza.

“Belli e dannati” immortala l’estasi di un’epoca che tende all’epilogo, gli anni ’90

“Belli e dannati” film di Gus Van Sant del 1991 è considerato un cult e un simbolo del cinema grunge perché ha saputo vestire i suoi personaggi di quello che è poi diventato il fascino tipico della dannazione anni Novanta, ma anche perché li ha resi i portavoce di una serie di rivendicazioni politiche che ancora oggi sono al centro del dibattito pubblico, come l’emotività maschile, le relazioni omosessuali, la prostituzione e il disagio giovanile.

Il nostro ego si è fatto così grande che negli altri vediamo solo quello che già sappiamo

Negli ultimi anni, il tessuto di interazioni che ci consente di entrare in rapporto con gli altri – conoscendo e arricchendo ciò che siamo attraverso le differenze che ci separano da loro – si è sfibrato sempre di più, modificando drasticamente il nostro modo di fare esperienza del mondo e di darci. Al posto della differenza, abbiamo iniziato a coltivare il culto dell’uguaglianza, che ha reso il nostro ego sempre più ingombrante e che ammette l’esistenza soltanto di ciò che ci piace e che è come noi, escludendo tutti gli elementi portatori di dissonanza e alterità, che tendiamo a leggere come una fonte di conflitto e di dolore, perdendone però la forza vitale e trasformativa.

Non è accettabile che ancora oggi si parli di adolescenti trans come di fenomeni da baraccone

La discussione sui bloccanti della pubertà per gli adolescenti trans spesso va oltre la letteratura scientifica, arroccandosi su prese di posizione ideologiche che finiscono con l’ignorare le esigenze dei minori in questione. Una narrazione mediatica difficile da contrastare, a cui in Italia rischia di aggiungersi anche il supporto del governo.

Gaspar Noé e il fascino ipnotico dell’estremo

Gaspar Noé ha la capacità di raccontare tutto ciò che sconcerta, disgusta, o possiede un insito potere dissacrante seguendo una cosciente ricerca dell’estremo e rivelando un’ostinazione – o forse una forma di arroganza – che spinge il regista sempre oltre nel sondare i limiti dell’eccesso, tracciando sullo schermo i contorni dei pensieri peggiori che la nostra mente può formulare, ma anche quelli delle nostre più grandi fragilità e paure. Il modo in cui i suoi film ci immergono nella parte irrazionale che abbiamo sempre e solo imparato a soffocare, è un invito a conoscerla davvero, non solo per educarla, ma per provare a viverla a pieno in certe sue manifestazioni, anche se ci spaventano.

Per le sale parto e i reparti nascita i padri sono relegati a fantasmi, così le madri restano sole

L’esclusione degli uomini dai momenti prima, durante e dopo il parte nasce da una cultura che mette al centro della cura e delle responsabilità verso i figli la donna. Questa esclusione viene talvolta subita come un’ingiustizia da parte dei genitori, altre considerata come una prassi a cui adattarsi, altre ancora non rappresenta nemmeno una questione su cui fermarsi a riflettere.

Insoddisfatti del presente ci convinciamo che pensare positivo basti ad aver successo. Non è così.

Il principio per cui “essere ottimisti” possa bastare, da solo, ad attirare su dì sé una quantità di energie positive sufficiente per trasformare i propri desideri da speranza a traguardo, sostenuto anche dal trend di TikTok chiamato la “Sindrome della ragazza fortunata”, non è altro che l’ennesimo inganno della società capitalista. Il suo meccanismo, infatti, dà per scontato il desiderio di aspirare sempre a qualcosa di più, escludendo a priori la possibilità di trarre una qualche forma di gratificazione dalle risorse di cui già disponiamo e riproducendo le dinamiche strettamente neoliberiste all’origine del nostro malessere e della nostra insoddisfazione per il presente.

L’acqua contaminata di Fukushima sarà sversata in mare ma i pareri contrari sono ancora tanti

A oltre due anni dalla decisione, il governo giapponese ha annunciato che tra qualche mese, tra primavera ed estate, inizierà lo sversamento in mare di 1,25 milioni di tonnellate di un misto di acqua di falda, acqua marina e acqua usata per raffreddare i reattori di quella che fu la centrale nucleare di Fukushima Daiichi. Il caso mette in luce un aspetto importante: quello del non-coinvolgimento nei processi decisionali e nella condivisione delle informazioni di tutte le parti in causa e delle popolazioni che sono inevitabilmente coinvolte, ma che spesso finiscono per essere considerate delle comparse irrilevanti.

Vogliamo esercitare il nostro potere sugli altri. Per questo siamo sempre più soli.

Che si parli di storie consolidate da tempo o appena intraprese, negarci a una persona a noi cara, che sia un partner, un amico o un parente, sparendo per giorni o settimane, ignorando chiamate e messaggi, bloccandolo su qualunque social e diventando un vero e proprio “fantasma” per l’altra persona sembra essere una consuetudine sempre più consolidata.

“Persona” è così contemporaneo da aver anticipato di 60 anni le tematiche femminili di oggi

Il dramma che Bergman racconta in “Persona”, il suo capolavoro del 1966, è uno dei più radicali e significativi dell’esperienza umana, perché riguarda la difficoltà di ricomprendere nella propria identità personale anche le bassezze, le crudeltà e tutti i pensieri degradanti che attraversano la nostra mente, costringendoci a riconoscerli come qualcosa che ci appartiene, una volta che, avendoli rivelati a qualcun altro, non possiamo più permetterci di negarli.

Se vogliamo lasciare i nostri lavori è anche perché ci sembrano assurdi, frustranti e privi di senso

Sempre più persone stanno lasciando o cambiando lavoro, dopo aver capito che la propria carriera non può essere tutto nella vita. La ragione sta anche nel fatto che molti di noi fanno quelli che l’antropologo americano David Graeber chiama “bullshit jobs”, cioè lavori senza senso: occupazioni sì ben retribuite ma così inutili, superflue o addirittura dannose che anche chi le svolge non riesce a giustificarne l’esistenza, pur sentendosi obbligato a farlo, con conseguenze sulla propria salute mentale.

Che disastro, Bridget Jones! Sì, per le donne.

Siamo tutte un po’ Bridget Jones, frastornate dai compromessi, con l’angoscia del tempo che passa e degli obiettivi raggiunti, con il terrore di essere brutte, di non piacere, e con la paura di non riuscire a intraprendere la carriera che sogniamo; ma dovremmo anche essere tutte consapevoli del fatto che non siamo per forza obbligate a scegliere tra un Daniel Cleaver e un Marc Darcy per dare un senso alla nostra vita.

Per contrastare la crisi climatica dobbiamo costruire ecosistemi virtuosi, imitando la natura

La collaborazione attiva e partecipata che animali e piante mettono in atto all’interno di un ecosistema biologico, agendo su più livelli per far fronte ai continui cambiamenti a cui l’ambiente in cui vivono è sottoposto e li sottopone, offre una prospettiva a cui dovremmo iniziare a guardare per costruire un sistema virtuoso in grado di contrastare la crisi climatica. Per provare a sanare la situazione in cui ci troviamo, infatti, dobbiamo imparare ad adattare il nostro stile di vita, a costruire e ricostruire costantemente le nostre abitudini, proprio come avviene in natura, tenendoci pronti ad abbandonarle quando rischiano di danneggiare chi ci sta attorno.

“Aftersun” mostra i nostri continui tentativi di riconciliare i ricordi con l’assenza di chi amiamo

“Aftersun”, il debutto cinematografico di Charlotte Wells, in un modo contemporaneamente semplice e intenso, si configura come una storia su come i ricordi delle persone che amiamo si evolvono e cambiano forma, in un continuo processo di stratificazione; su quanto impegno impieghiamo nel colmare con l’immaginazione o le supposizioni i dati mancanti; su come finiscano per determinare il modo in cui viviamo il presente.

Ormai etichettiamo ogni comportamento che non condividiamo come “tossico”. Dobbiamo smetterla.

Da quando il linguaggio psicologico è diventato più dominante nel mondo occidentale, siamo sempre più ossessionati dall’idea di dare un senso e trovare una parola per ogni aspetto della nostra emotività. Sui social media, il fenomeno delle persone che attribuiscono diagnosi al comportamento quotidiano, è molto diffuso; con la conseguenza che quando interpretiamo ogni aspetto dei nostri mondi interiori e di quelli altrui come patologico restiamo bloccati in una narrativa limitante.

“Il maratoneta” è una delle più belle performance di Dustin Hoffman. Merita di essere visto.

Correre è una delle azioni più narrative dell’essere umano, perché è qualcosa che ha un inizio e una fine; porta da un punto di partenza a una meta e, nella sua durata, compie qualcosa dentro di noi. Non stupisce, dunque, che questa pratica abbia ispirato la storia di Babe, protagonista del film del 1976 “Il maratoneta” di John Schlesinger interpretato da Dustin Hoffman, un ragazzo ebreo che a seguito di un incidente imprevisto vede cambiare le sorti della sua vita, intraprendendo un percorso di crescita al termine del quale, dopo aver sondato la sottigliezza della linea che divide il bene e il male, capirà di essere diventato adulto e di poter arrestare la sua corsa.