È fondamentale interrogarci sul nostro rapporto col tempo per dare una direzione al nostro esistere - THE VISION
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L’essere umano, più di qualsiasi altro animale, è un essere educato, caratterizzato dalla forma che gli viene impressa dalle regole che riceve crescendo, fin dalla nascita. Diversi animali, come per esempio le orche, ma anche diversi tipi di volatili, sviluppano quella che viene chiamata “cultura”, ma sicuramente quella umana è la più sviluppata e radicata di tutte, tanto da farsi legge, e da permettere la nostra rapidissima evoluzione comportamentale. La trasmissione culturale consiste nell’imparare a “utilizzare esperienze compiute da un altro individuo della stessa specie e osservate come spettatori”. Partendo da questo quadro è chiaro allora quanto sia cruciale l’educazione che riceviamo, così come il confronto generazionale.

Si potrebbe poi dire che la cultura stessa presuppone il potere. Proprio perché chi la impartisce parte da una posizione diversa da chi la riceve. E anche al potere bisogna essere educati. In Italia, però, questo non accade quasi mai. Forse, deduco, solo in quelle famiglie che già ne detengono molto. Il potere, in Italia – pur essendo ovunque con le sue dinamiche, più o meno subdole, come in qualsiasi società umana – viene allontanato, ci viene costantemente fatto credere che sia qualcosa di brutto, da cui sia meglio tenersi alla larga, per non esserne contaminati, sporcati. Senz’altro c’è un fondo di verità, il potere corrompe, e sicuramente compromette, nel senso che per essere esercitato necessita di diplomazia e compromesso, appunto. Eppure, senza potere, di qualsiasi forma esso sia, non si può fare quasi nulla. E solo imparandolo a conoscere e a capirne le forme è poi possibile riuscire a maneggiarlo responsabilmente.

Il terzo summit di Tech.Emotion, realtà che avvicina l’innovazione tecnologica all’umanesimo, intitolato quest’anno Frames / Fotogrammi: learnings for future vision, mi ha fatto pensare proprio a questo fenomeno, una sorta di cascata positiva di esperienze passate, considerazioni presenti, e visioni future. Spesso, infatti, tendiamo a convincerci di non aver bisogno di insegnamenti, eppure in un’epoca come questa – per certi aspetti caratterizzata dall’abuso della parola “crisi”, come sostiene in maniera abbastanza provocatoria Alec Ross, imprenditore, scrittore e professore, esperto di politiche tecnologiche e dell’innovazione, cofondatore di Emotion Network – ascoltare persone che per varie ragioni hanno avuto la possibilità di poter raggiungere un orizzonte molto ampio, non può che contribuire ad allargare anche il nostro, o magari a metterne molto più a fuoco determinate prospettive. Come ha sottolineato Karin Fischer – co-fondatrice e board member di Emotion Network – in apertura dell’evento in Triennale, le storie degli altri ci ispirano, così come il dialogo intergenerazionale, e l’intersezione di diverse competenze, anche quando apparentemente molto distanti tra loro. Affinché si crei un terreno fertile è però fondamentale che sia il più inclusivo possibile, o ancora meglio non-esclusivo. Proprio perché la parola “inclusività” sottende l’esistenza di una norma, a cui avvicinarsi, mentre l’idea veramente rivoluzionaria è che il sistema sia in grado di accogliere la diversità, culturale, cognitiva, di genere. Secondo i promotori di Tech.Emotion, infatti, bisogna dar forma a un diverso tipo di capitalismo, informato dai valori delle discipline umanistiche. Un capitalismo più consapevole e rispettoso, che punti alla crescita, certo, ma animato da profondo rispetto e consapevolezza.

Anu Duggal, socia fondatrice di Female Founder Fund, il primo fondo early-stage per imprenditrici, ha lanciato Female Founders Fund nel 2014 per avviare un movimento volto a diversificare il capitale di rischio e indirizzare più fondi alle donne. Dieci anni fa, dichiara, tutto era diverso, in particolare il micro-habitat imprenditoriale. Nel tempo ci sono stati cambiamenti enormi per le donne. Duggal è stata tra le prime a scorgere il potenziale dell’imprenditoria femminile, che nella maggior parte dei Paesi del mondo è tuttora dimenticata e troppo stagnante, e a crederci, riuscendo a raccogliere più di 4 miliardi di seed capital da destinare ad aziende fondate da donne e investendo in alcune aziende leader di categoria come Zola, ELOQUII, Peanut, Real, BentoBox, Tala. Anu è stata inclusa nella lista dei “40 Under 40” di Fortune e nella lista delle “Notable Women in Tech” di Crain, oltre a essere stata inserita nella “Ultimate List of Female Startup Investors” e nella “Top 4 Venture Firms Investing in Women” di Business Insider. Negli Stati Uniti in particolare, ma non solo, sono soprattutto le donne a muovere piccoli capitali. Insomma, sono le donne che spendono, per se stesse e, quando le hanno, per le loro famiglie. Anche grazie alla tecnologia digitale, oggi estremamente accessibile. In particolare le donne stanno molto attente alla salute e al benessere, e vogliono il meglio per se stesse. Risulta quindi assurdo che tuttora non vengano messe al primo posto dal mercato, considerando i bisogni di questa enorme parte della popolazione come nuove possibilità di impresa. È facile tendere a semplificazioni quando si parla di marketing, eppure fare marketing, così come fare impresa, può voler dire anche rispondere a bisogni importanti per le persone, che ne possano migliorare la vita, e le cui spese di accesso non per forza ricadano esclusivamente su di loro. Come sottolinea anche il podcast di Duggal, The 2%, i finanziamenti di venture capital per le donne negli Usa rappresentano un misero 2%, c’è ancora quindi tanto, tantissimo da fare, perché quel 2%, come lei stessa ha avuto modo di testimoniare, ha comunque fatto emergere realtà incredibili, capaci di porsi come modelli positivi e di raggiungere ottimi risultati. Si spera quindi che anche l’Italia, sulla scia di questo impegno, sviluppi realtà a sostegno dell’impresa femminile.

Un altro punto fondamentale, che il business non può ignorare, perché il business è fatto di persone e di bisogni, e quindi – anche se in Italia abbiamo la brutta abitudine di non pensarci – è indissolubilmente legato all’intera popolazione e alle istituzioni e alle loro politiche, e non solo a determinate élite privilegiate e sconnesse dal mondo reale, è il benessere e la protezione dei diritti dei bambini, e in particolare dei bambini in necessità. L’intervento di Caryl Stern, ex Presidentessa di Unicef USA, a questo proposito è stato particolarmente rappresentativo. Anche Stern ha sottolineato quanto sia importante questo incontro tra intenti e profitti. È necessario infatti sfatare il mito che il guadagno sia per forza di cose distante dall’equità, dal rispetto e dalla solidarietà. Ad alcuni sembrerà incredibile, ma una delle cose più disruptive che sono state dette, è che si può fare impresa volta al bene, senza danneggiare gli altri, men che meno i più deboli. Per farlo, però, è necessario un urgente e repentino cambio di mentalità, capace di indirizzare i mercati globali.

Durante la seconda guerra mondiale sua madre e suo zio, furono mandati per salvare loro la vita a 6 e 4 anni, da soli, negli Stati Uniti. I suoi nonni sapevano che era l’unico modo per salvarli, per permettere loro di avere una vita migliore, anche se ciò significava lasciarli. Erano disperati. Gli Stati Uniti, all’epoca, li accolsero in un orfanotrofio. Oggi, con la crisi dei migranti, per la prima volta dai tempi del secondo conflitto mondiale, ci troviamo davanti a un numero simile di bambini in difficoltà, nelle stesse condizioni. Madri che devono confrontarsi con la stessa scelta terribile. Che non hanno cibo, acqua, medicine, ripari, scuole, servizi sanitari. Dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per aiutare le persone in difficoltà. Ci sono tantissime domande a cui dobbiamo rispondere per evitare che le cose peggiorino sempre di più. E oggi queste cose possiamo farle, ancora una volta, con le imprese, coi progetti, con il capitale, perché volenti o nolenti viviamo in un mondo capitalista, ma non per forza di cose dobbiamo rassegnarci a vivere nel peggior capitalismo possibile.

Riccardo Mulone, Country Head Italy di UBS tra i più grandi Investment Banker al mondo, uno dei pochi ad aver gestito deal per più di 300 miliardi di euro, tra cui l’IPO di Ferrari e la fusione tra FIAT e Chrysler, e a fianco di Sergio Marchionne per una decina d’anni, dice che “I soldi sono come l’ombra, se li insegui scappano, se scappi ti inseguono”. Per Mulone la fase creativa è fondamentale, e va sempre nutrita, curata. Così come i momenti di condivisione. Bisogna essere tirannici col proprio tempo, saper quando delegare e farlo immediatamente. Il tempo non è tanto “denaro”, ma “valore”, il tempo è davvero tutto ciò che abbiamo. Mulone, il cui intervento è stato di grande ispirazione, dice che vive il suo lavoro come in un teatro pirandelliano, non sapendo mai se essere un personaggio o una persona, un attore o uno spettatore. È bello vedere come una persona con così tanta esperienza e responsabilità dica che ha imparato e continua ad imparare da tutti, da persone comuni, da imprenditori, manager, dipendenti. Un suo cliente gli disse: nella vita e nell’amore ogni giorno è il primo giorno. Questa frase lo colpì tantissimo. Da allora nella vita cerca sempre di avere quella disciplina: ogni giorno è il primo giorno, bisogna fare sempre del proprio meglio, con la stessa leggerezza degli inizi, la stessa attenzione.

Il rapporto col tempo, e col modo che abbiamo di viverlo e percepirlo è davvero un punto fondamentale della nostra vita, e della contemporaneità. Così evidente a volte da risultare banale, eppure è fondamentale interrogarci quotidianamente su questo tema per imprimere una direzione alla nostra esistenza, alle nostre energie, ai nostri soldi, alle nostre idee. Viviamo in una realtà che scorre sempre più velocemente, ma ogni fotogramma è determinante, per questo dobbiamo allenare la nostra capacità di messa a fuoco. Non si può dire che questo terzo summit di Tech.Emotion non ci abbia aiutato a farlo, mostrando ancora una volta quanto siano importanti le storie, il condividerle fianco a fianco, le prospettive, ma anche i dettagli, e soprattutto l’intensità che riusciamo a far convogliare nella nostra vita.


Tech.Emotion, summit internazionale dedicato alla valorizzazione del potenziale dell’Italia, è organizzato da Emotion Newtork – la media company fondata a Milano da Mattia Mor, Karin Fischer, Gianluca D’Agostino, Massimo Redaelli, Alec Ross, Claude Finckenberg e Thomas Schneider, con Milano Investment Partners Founding Partner della società – insieme al Corriere della Sera. La terza edizione, “Frames /Fotogrammi: learnings for future vision”, si è tenuto a Milano il 28 e il 29 maggio.

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