Il terrore degli Stati Uniti per il socialismo condiziona ancora oggi l’intero pianeta - THE VISION
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A noi europei probabilmente risulta difficile comprendere fino in fondo la politica statunitense. Altrimenti non ci stupiremmo di fronte a una corsa presidenziale tra un uomo che è, sentenze alla mano, ufficialmente un pregiudicato, e un altro che mostra i segni di intervenute difficoltà mentali – per l’età o per altre eventuali problematiche ancora ignote. Sono gli stessi due personaggi, Trump e Biden, che si sfidarono nel 2020, e ciò che di quella campagna elettorale mi è rimasto più impresso è un comizio di Trump a pochi mesi dal voto. Sul prato della Casa Bianca, l’allora presidente parlò alla popolazione dicendo: “Dovete decidere tra il sogno americano e il socialismo”. Poi continuò spiegando che con lui sarebbero state rispettate le leggi, mentre con Biden avrebbero dato “carta bianca agli anarchici violenti e agli agitatori”.

Donald Trump

Adesso quest’ultima frase finale risulta tragicomica, considerando che è stato Trump a non rispettare le leggi e che gli agitatori sono stati i suoi supporter con un tentato colpo di Stato a Capitol Hill – con tanto di ormai ex presidente indagato per i fatti in questione. Non è possibile però sorvolare sulla prima parte del discorso, ovvero su Biden percepito come un pericoloso socialista. Stiamo infatti parlando di un politico che in Europa avrebbe una collocazione liberale-conservatrice. Un membro del PPE, per intenderci. La logica europea di destra e sinistra negli Stati Uniti è sfasata. La stessa Hillary Clinton aveva poco a che fare con la sinistra per come la  intendiamo culturalmente noi. Eppure, Trump quel giorno tirò fuori dal cilindro proprio la carta del socialismo, e non per stupidità o per un azzardo da guascone: sapeva con esattezza che il suo Paese era ed è antropologicamente allergico alle istanze socialiste. Se la “caccia al comunista” di Berlusconi in Italia sfiorava il grottesco, negli Stati Uniti è tuttora una faccenda serissima che ha cementificato il capitalismo come vera religione di Stato.

Lo scorso anno, la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato una risoluzione di condanna al socialismo. Senza un apparente motivo, ma agli americani andava di rimarcare la loro distanza con quella che nel testo viene definita “un’ideologia che necessita della concentrazione di potere” e che è causa di “regimi comunisti, governi totalitari, dittature brutali, con i peggiori crimini della Storia commessi da ideologi socialisti”. E non si trattava di un capriccio dei Repubblicani: la maggioranza dei Democratici ha votato a favore della risoluzione. Quando dico che dall’esterno non riusciamo a capire certi meccanismi, mi riferisco ai pensieri che più volte in questi anni sono venuti agli elettori di centrosinistra europei, anzi, uno in particolare, che può convergere in una domanda: “Perché i Democratici non hanno mai sostenuto candidati come Bernie Sanders o Alexandria Ocasio-Cortez?”. La risposta è semplice: perché ritenevano che negli Stati Uniti non avrebbero mai vinto.

Capitol Hill, gennaio 2021

Ma il fatto che certe ideologie non abbiamo preso piede negli Stati Uniti, se non marginalmente, ha radici ben profonde. Nel 1906 uscì un saggio del sociologo Werner Sombart intitolato Perché negli Stati Uniti non c’è il socialismo?. Per Sombart, negli Stati Uniti non si era sviluppata una coscienza di classe perché il capitalismo aveva appiattito il tessuto sociale fino a considerare quasi sacrilego un intervento dello Stato su quel concetto di libertà individuale presente implicitamente ed esplicitamente in ogni pagina della loro Costituzione. In qualche modo profetizzò il futuro dell’Europa, lasciando intendere che anche nel vecchio continente prima o poi saremmo arrivati a una società interamente liberale. Non a caso abbiamo avuto la lenta trasformazione dei partiti di matrice socialista prima in un socialismo democratico, poi in una convivenza con le caratteristiche del sistema capitalista, abbandonando la lotta di classe. Eppure, da noi – seppur con declinazioni diverse rispetto ai due secoli precedenti – una parvenza di socialismo continua a resistere. Negli Stati Uniti no, e il principale “colpevole” è il maccartismo.

Alexandria Ocasio-Cortez

Dopo la seconda guerra mondiale, negli Stati Uniti partì una vera e propria caccia alle streghe. Trovandosi contrapposti al blocco sovietico, c’era il terrore che il comunismo, e nel senso più espanso il socialismo, potessero dare vita ad attività considerate antiamericane, sovversive, nemiche degli Stati Uniti. Il termine maccartismo deriva dal senatore Joseph McCarthy, che nei primi anni Cinquanta fu a capo della commissione per reprimere “il pericolo rosso”. Si creò una vera e propria mania di persecuzione di massa: il governo era convinto che qualunque cittadino, dal personaggio noto all’ultimo sconosciuto, potesse essere una spia russa, e gli americani stessi guardavano con sospetto il vicino di casa, il collega di lavoro, fino a preoccuparsi in prima persona di poter inavvertitamente compiere un’azione considerata “sbagliata”. Alla fine lo spionaggio ci fu davvero, ma da parte del governo americano. L’FBI di J.Edgar Hoover teneva sotto controllo i dipendenti statali, i politici di ogni partito, i giornalisti. Furono accusati di antiamericanismo persino Charlie Chaplin e Walt Disney. Quest’ultimo fu convocato a testimoniare a causa di uno sciopero durante la lavorazione di Dumbo, azione che poteva rimandare pericolosamente a modalità socialiste. Furono sorvegliati anche Arthur Miller e Albert Einstein. McCarthy, poi, venne sfiduciato nel 1955 dopo una sua investigazione all’interno dell’esercito americano, ma il maccartismo proseguì e segnò la storia del Novecento americano.

Ormai il popolo era indottrinato. Il socialismo veniva indicato come l’antitesi dell’American Dream. Un operaio sottopagato non aderiva empiricamente a nessuna associazione perché lui stesso non si considerava un membro del proletariato vessato, ma, rifacendosi a una frase dello scrittore John Steinbeck, “un milionario temporaneamente in difficoltà”. La cultura del selfmade man, della felicità come concetto costituzionale da raggiungere attraverso la scalata sociale ed economica, ha sempre fatto credere al cittadino americano di potercela fare da solo e, di conseguenza, lo ha portato a rigettare il ruolo dello Stato come era stato teorizzato dai principi socialisti. E pazienza se il sistema sanitario o quello universitario non sono come quelli di gran parte dell’Europa: ognuno per sé, con il capitalismo a rendere la collettività un insieme di singoli individui scollegati socialmente tra loro.

La fortuna del capitalismo americano è sempre stata legata alla presenza di una vastissima classe media, quella che garantiva ai cittadini un benessere basilare ma prometteva indirettamente un’ascesa economica. In pratica era il Purgatorio delle classi sociali, con la promessa costituzionale di “tornare a riveder le stelle”. Anche quando questo effettivamente non avveniva, l’americano medio non incolpava il sistema politico o il capitalismo stesso: credeva di non essere stato abbastanza produttivo, di essere lui il colpevole del mancato salto di categoria. Adesso anche la classe media americana si trova in difficoltà. Sono infatti in aumento gli homeless, termine che rispetto alla nostra concezione di senzatetto si riferisce a persone che hanno un lavoro regolare, ma che non riescono più a mantenere il tenore di vita imposto dal capitalismo. Il sogno americano è in caduta libera perché anche un nucleo famigliare con un reddito di 120mila dollari l’anno rientra tra gli aventi diritto ai sussidi statali. Le grandi città si stanno spopolando, così anche interi Stati come la California, un tempo trainata dal fattore PIL e dalla Silicon Valley e oggi con l’inedita consapevolezza dei cittadini di non poter vivere solo per il lavoro, con un costo della vita elevatissimo. Non a caso il terzo millennio ha segnato l’avvento di nuove correnti socialiste all’interno dei Democratici. I millennial hanno dato un sostegno a queste cause, ma le colonne della società americana hanno continuato a reggere il sistema capitalista escludendo quelli che ancora oggi vengono considerati pericoli esterni, non avendo mai smaltito del tutto il maccartismo.

New York City, 2017

Nonostante le difficoltà del ceto medio, è rimasto infatti immacolato il rifiuto per la redistribuzione della ricchezza, in quanto considerato uno strumento di oppressione della libertà individuale. Dopo la crisi economica del 2008 e la crescita delle disuguaglianze sociali ed economiche, le sirene socialiste sono state comunque tenute fuori dai parametri della ricerca della felicità americana. Eppure, non sono mancati i tentativi di garantire un’alternativa politica. Il testo di riferimento in questo caso è Sfidare il capitalismo, in originale It’s OK To Be Angry About Capitalism, un saggio di Bernie Sanders. Nel libro, Sanders rifiuta la definizione di socialdemocratico moderato e spinge più su un socialismo radicale, chiedendo di sconfessare il capitalismo attraverso una rivoluzione dal basso dei lavoratori. Spiega inoltre come i privilegi dei multimiliardari siano inconcepibili, una spaccatura sociale dove un’élite di pochi detiene una ricchezza spropositata rispetto al reddito della maggioranza degli americani. C’è anche una pesante critica all’identità americana, al fatto di accettare in modo passivo i mali del capitalismo, perché anni di questo sistema hanno generato cittadini incapaci di contestare i privilegi dei ricchi per un semplice motivo: li ammirano per “avercela fatta” e sognano di diventare come loro. Questo anestetizza le loro stesse inquietudini, con Sanders che riassume gli Stati Uniti con una frase che lascia poco spazio a interpretazioni: “La maggioranza degli americani vive una vita di tranquilla disperazione”.

Dato che gli Stati Uniti sono la più grande potenza mondiale, inevitabilmente hanno condizionato con il loro soft power anche le altre democrazie del mondo. Il capitalismo ha varcato da tempo l’oceano, le sinistre arrancano e anche da noi abbiamo avuto la fase in cui il povero non contestava Berlusconi per la sua ricchezza spropositata e per gli episodi di frode fiscale, ma voleva diventare come lui. Il berlusconismo, d’altronde, è la crasi tra maccartismo e capitalismo con una spruzzata di egotismo adesso predominante in Trump. Se gli Stati Uniti avessero conosciuto il socialismo – e non intendo ovviamente la loro trasformazione in una nazione di stampo leninista o in altre distorsioni del socialismo stesso – forse ora il mondo sarebbe un posto diverso. Un luogo dove non è eretico parlare di patrimoniale, di ricchi da tassare e di salari minimi da introdurre. Invece è stato fatto passare il messaggio secondo cui il socialismo avrebbe inevitabilmente portato a dittature comuniste, come quella russa o cinese. Non è così. Ocasio-Cortez non vuole mandare in un gulag Jeff Bezos, gli chiede solo di pagare le giuste tasse e di colmare le disuguaglianze. Eppure, a contendersi il ruolo di presidente sono di nuovo Trump e Biden e il socialismo a stelle e strisce è un granello di sabbia nel deserto dove l’americano ha un sogno ben preciso: essere Jeff Bezos. È il capitalismo, bellezza.

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