Qualche mese fa, per puro caso, mi sono trovato a seguire un webinar della Sant’Anna di Pisa dal titolo Youth and elections: enhancing participation throughout the electoral cycle. In particolare mi ha incuriosito il pubblico, in gran parte composto da osservatori elettorali africani, e il fatto che a loro venissero di fatto spiegati tutti i passaggi di un processo elettorale. In primis, come e perché votare, soprattutto nei Paesi con democrazie ancora acerbe, più deboli o pericolosamente vicine a forme di autocrazia, ma anche come accedere alle informazioni sulle elezioni nell’epoca dei social, come riconoscere le fake news durante le campagne elettorali e, in generale, come coinvolgere i giovani nelle elezioni attraverso la consapevolezza del voto per superare gli impedimenti che contrastano la loro partecipazione. Questi osservatori elettorali ponevano poi domande tecniche dettagliatissime, che dimostravano le loro grandi attenzione e competenza, unite al desiderio di far tesoro delle nozioni apprese per metterle in pratica durante le elezioni nei loro Paesi. Questo ricordo mi è tornato in mente quando oggi, dunque, con le elezioni europee alle porte, in me si è insinuato un dubbio. Mi chiedo infatti se un elettore italiano sia più consapevole rispetto a un elettore di uno Stato approdato solo di recente a forme di governo democratiche, dato che in realtà spesso non si conoscono alcune nozioni basilari e da anni sentiamo frasi grottesche sui “governi non eletti dal popolo”.
In questi anni c’è chi ha tentato di mettere in discussione il suffragio universale, ottenuto in Italia solo nel 1946, portando avanti proposte su fantomatici esami per poter votare o patentini dell’elettore di vario genere. Personalmente non sono per niente d’accordo con queste idee, in quanto il diritto di voto in uno Stato democratico è sacro e non può subire limitazioni o forme di elitismo. È però vero che una fetta sostanziosa dell’elettorato vota senza nemmeno sapere cosa sia una democrazia rappresentativa, cosa siano le liste e i collegi plurinominali o tutti gli altri meccanismi necessari per comprendere la funzione stessa del voto. Inoltre, la scelta viene spesso fatta senza nemmeno leggere i programmi elettorali dei partiti e lasciandosi influenzare in campagna elettorale da promesse che non possono essere mantenute in quanto anticostituzionali. La soluzione però non è restringere la cerchia degli elettori, anche perché la scrematura in Italia sarebbe netta, avendo secondo l’OCSE una percentuale di analfabeti funzionali intorno al 27%, tra le più alte d’Europa. Il dovere dello Stato è quello di dare ai cittadini tutti i mezzi necessari per svolgere le proprie funzioni all’interno della cosa pubblica in maniera limpida e informata. Credo dunque che sia giusto, nel 2024, iniziare a considerare l’ipotesi di inserire l’Educazione elettorale come materia scolastica.
Sì, già Educazione civica – quando e se viene svolta in modo corretto – prevede una minima infarinatura su certi temi, ma non basta. Spesso però è limitata allo studio dei principali articoli della Costituzione, e di elezioni si parla poco. Molti italiani votano senza nemmeno conoscere la legge elettorale in vigore. Qualcuno potrebbe controbattere dicendo che il problema è rappresentato più dalle altre generazioni che dai neo-maggiorenni prossimi al voto o dai giovani che voteranno in futuro. È corretto, ma impostare una funzione educativa vuol dire partire dalla base, dalla scuola, per poter formare nuove generazioni più consapevoli e meno manipolabili. Anche perché il rischio è accorgersi di aver votato male soltanto a elezioni già avvenute. Nel Regno Unito, per quanto riguarda il tema Brexit, diversi sondaggi hanno spiegato come i cittadini abbiano votato senza rendersi conto delle reali conseguenze, dichiarandosi poi pentiti della scelta perché “non erano abbastanza informati”. Il tradimento degli eletti non è di certo qualcosa di raro, ma qui il problema non è scegliere il cavallo sbagliato, o fidarsi di Tizio o Caio, bensì non avere i mezzi per poter capire ciò che il voto comporta. Se un politico promette qualcosa di realizzabile e poi non mantiene la promessa è un conto; se invece dichiara di voler realizzare qualcosa che è inattuabile per la Costituzione o per le leggi che vigono nel proprio Paese, allora il problema si estende a un’ignoranza politica che lo stesso Stato, e in teoria anche i media, dovrebbero arginare.
Per esempio, subito dopo l’elezione di Giorgia Meloni come presidente del Consiglio, diversi elettori di destra, soprattutto i filoputiniani confluiti dalla Lega, sono rimasti stupiti per il suo sostegno all’Ucraina. Eppure nel programma elettorale di Fratelli d’Italia era presente il passaggio sull’atlantismo e l’aiuto economico e militare alla popolazione ucraina. In questo caso l’elettore deluso non è stato tradito: è stato lui stesso a non informarsi. Discorso diverso per quanto riguarda le promesse sul blocco navale o altre misure non realizzate: lì è stato il partito ad aver tradito l’elettore, che comunque doveva premurarsi di verificare l’attuabilità dell’azione – e, in questo caso, giustamente il blocco navale non poteva essere messo in pratica. Queste dinamiche danno vita a due fenomeni: l’ignoranza razionale e l’apatia politica.
L’ignoranza razionale consiste nel pensiero che informarsi su un determinato argomento non dia abbastanza benefici a livello di conoscenze per prendere una decisione ponderata. Il termine nasce in riferimento a processi economici, ma ben presto è stato legato a quelli elettorali. L’elettore decide scientemente di non informarsi perché pensa che sia uno sforzo inutile, preferendo altre vie per raggiungere la decisione, come la fascinazione per un leader politico, l’odio per il suo sfidante o in generale tutte le logiche legate al populismo e agli slogan che attecchiscono facilmente. L’apatia politica è invece rappresentata dal disinteresse per l’esito di una tornata elettorale o per le stesse azioni di un governo, in quanto “i politici sono tutti uguali”. Se l’ignoranza razionale causa un voto dato in maniera superficiale e basato su conoscenze fallaci, l’apatia politica – che Gustavo Zagrebelsky ha tentato di contrastare scrivendo il suo “decalogo contro l’apatia politica” – ha come conseguenza l’astensionismo e la scelta del cittadino di non partecipare in alcun modo alla vita politica.
Di questi temi ha parlato in modo approfondito il giurista Ilya Somin nel suo libro Democrazia e ignoranza politica. Somin parla dell’importanza per gli elettori di valutare razionalmente le informazioni in loro possesso, ma spiega che c’è una notevole differenza tra ignoranza politica e stupidità: “I livelli di conoscenza politica sono rimasti stazionari per diversi decenni, nonostante il punteggio del Quoziente Intellettivo nello stesso periodo sia aumentato enormemente”. Per Somin, “anche elettori di grande intelligenza possono scegliere razionalmente di dedicare poco o nessuno sforzo all’acquisizione di conoscenza politica”. E questo è un problema più di mentalità e di cultura elettorale che di ignoranza di base. Anche perché, secondo Somin, per l’elettore medio non vale la pena informarsi a livello elettorale perché sostiene che sia “improbabile che ciò possa avere effetti avvertibili sugli esisti della vita politica stessa”. Si presenta quindi alle urne scegliendo più per istinto che per informazioni, e questo comporta un elettorato sempre più fluido. Viene votato X, al suo fallimento si passa a Y, per poi ripiegare su Z. Non a caso, in Italia, secondo i flussi elettorali c’è chi ha votato in successione Berlusconi, Renzi, M5S, Salvini e Meloni. Creature politiche all’apparenza distanti e appartenenti anche a diverse aree ideologiche, ma erano “i nomi del momento”, e ha prevalso più l’effetto branco che lo studio dei singoli programmi e delle proposte dei personaggi in questione.
Forse il primo passo potrebbe essere concepire il voto non soltanto come un diritto, ma anche come un dovere. E per adempiere alle proprie funzioni di cittadino è fondamentale conoscere la materia su cui si mettono le mani. Ovviamente l’Educazione elettorale non dovrebbe spiegarti chi votare, bensì come votare, rimanendo nei margini della neutralità ed educando il cittadino senza imbastire un discorso partitico. Quindi nessun lavaggio del cervello o tentativo di indirizzare il voto: al contrario, si creerebbero i presupposti per presentarsi alle urne sapendo il valore della propria azione per esercitarla con raziocinio. Ciò che ora chiamiamo Educazione elettorale, esiste in forme diverse attraverso campagne portate avanti dalle principali organizzazioni mondiali sotto il nome di voter education. L’ONU, per esempio, le mette in pratica in varie parti del mondo spiegando come siano necessarie per “garantire a tutti gli elettori la comprensione dei propri diritti per capire come votare, e per farlo devono essere sufficientemente informati”. Viene inoltre aggiunto che “le campagne di educazione degli elettori dovrebbero cercare di raggiungere una copertura universale dell’elettorato, tenendo conto anche di fattori quali gli alti tassi di analfabetismo o l’uso di lingue diverse in un Paese. È anche importante raggiungere i gruppi minoritari e quelli emarginati dalla società”.
Come l’Onu, sono tante le organizzazioni che portano avanti progetti di voter education, ma spesso si dà per scontato che nei Paesi occidentali più civilizzati certe cose “si sappiano già”. Purtroppo non è così. È necessaria dunque una misura strutturale, e deve essere lo Stato a istruire i cittadini. Bisogna anche evitare funambolismi classisti per dare la colpa di un esito elettorale a categorie di persone o all’astrattismo della “massa”. Anche perché, come spiegato da Somin, a un individuo intelligente non corrisponde per forza un elettore intelligente; tutto sta nella volontà e soprattutto nei mezzi a disposizione per informarsi. Probabilmente non possiamo costringere sessanta milioni di italiani a riformattare la propria attitudine elettorale. Possiamo però, e forse dobbiamo, garantire agli elettori del futuro una conoscenza più ampia di quella che abbiamo adesso sui temi in questione. Per Aristotele l’uomo è un animale politico, e la politica è tutto ciò che riguarda il cittadino, non soltanto l’azione di chi legifera e i rappresentanti del popolo. Di conseguenza, un elettore migliore diventa un cittadino, e quindi un individuo, migliore. Creare un gruppo di futuri elettori informati vuol dire proteggerci dalla cattiva politica, dando loro gli strumenti per non essere raggirati. Altrimenti continuiamo così, con l’educazione elettorale affidata ai gruppi Telegram dove si parla di governi non eletti dal popolo e di complotti di ogni tipo, con i politici che nel mentre sfruttano a loro vantaggio l’ignoranza elettorale per estorcere voti con la mistificazione. Poi però non lamentiamoci di ogni governo e della classe politica che abbiamo, perché è figlia delle nostre scelte.