Nel mondo globalizzato contemporaneo, in cui è ormai chiaro quanto siamo tutti profondamente interconnessi, è fondamentale non perdere di vista la necessità di agire collettivamente per evolverci e progredire (o almeno non regredire), e la consapevolezza di quanto l’accesso al benessere e alle possibilità – in particolare educative – debba essere ampio, inclusivo e democratico, invece che esclusivo e inaccessibile, così come il fatto che i risultati positivi – e le conseguenze che possono avere sulla nostra vita – debbano riverberare a tutti i livelli della società, e non concentrarsi soltanto al vertice. Le grandi innovazioni, infatti, portano a rivoluzioni sociali che cambiano il mondo, e non solo la vita dei pochi che per merito e/o fortuna ne occupano le posizioni apicali.
Per questo fin dai suoi albori – con la serie Tech.Emotion – Empower Human Potential e successivamente con i suoi summit (l’ultimo dei quali organizzato presso la Borsa di Milano dallo scorso 17 al 19 maggio) – Emotion Network ha posto l’accento sull’inclusività e sul potere delle emozioni e quindi dell’empatia, e sulla necessità di uno sviluppo tecnologico che non perda di vista il potenziale e il benessere umano e il valore dei diversi tipi di intelligenza, tra cui quella emotiva e artificiale. In quest’ottica ciò che deve essere chiaro, infatti, è che le macchine, le AI, gli algoritmi, il machine learning non devono sostituire l’essere umano, ma estenderne le capacità, aiutarci a sbloccare il nostro potenziale, farci risparmiare tempo da dedicare al riposo o ad attività che nutrano la nostra mente, ci emozionino, ci interessino, ci divertano, sostengano la nostra salute facendo stare bene anche il nostro corpo – cosa che purtroppo non sta ancora accadendo, e quindi vale sempre la pena ribadirlo.
La visione che spesso si fatica a scorgere è il potenziale – anche economico – della democrazia, ovvero dell’orizzontalità dei diritti e delle possibilità personali, in un’ottica che non perde mai di vista la collettività e quindi la realtà più ampia composta dai vari individui, fondata nel rispetto reciproco delle differenze – di questi tempi sempre più ingiustamente temute. Non a caso – come ricorda spesso Alec Ross, Co-Founder di Emotion Network – anche se molti nostri politici e connazionali non ne hanno ancora capito la portata, il 55% delle startup USA miliardarie è stata fondata da immigrati, e anche il MIT ha rilevato come mediamente la tendenza a fondare nuove aziende sia dell’80% maggiore tra gli immigrati che tra chi è nato negli Stati Uniti, e lo stesso trend si riscontra in Germania. Sembra siano loro che desiderano con più urgenza di poter cambiare le cose, in meglio, anche per chi verrà dopo, anche come forma di riscatto, di rivincita. “L’innovazione parte dal basso,” ha ricordato più volte anche Massimo Ciociola, CEO di Musixmatch al secondo summit TECH.EMOTION – Empower Human Potential. Eppure secondo Ross – ma è un’evidenza sotto gli occhi di tutti, solo che è scomodo ammetterlo – nel nostro Paese si dà troppa importanza al cognome, così non si investe mai su chi si trova al di fuori delle bolle di potere “ereditato”. Non sono infatti concentrate nelle mani di pochi solo le ricchezze, ma anche le stesse opportunità, e ciò – insieme alla nostra assurda e sfiancante burocrazia – distrugge ogni sogno, “è come correre una maratona con uno zaino pieno di sassi”. Spesso, secondo Ross, in Italia si lavora contro l’innovazione, la maggior parte delle volte si gioca in difesa: chi detiene il potere vuole mantenere il proprio status quo ad ogni costo. Invece, bisognerebbe trovare il coraggio di aprirsi al cambiamento. “I grandi poteri diventano grandi perché sanno utilizzare l’innovazione”.
Per dar forma a questa rivoluzione culturale è fondamentale riconoscere il valore delle minoranze, dei giovani, delle donne, delle madri, dei cittadini di origini straniere – che tuttora in Italia devono seguire un iter assurdo per essere riconosciuti italiani, con tutti i danni che ne seguono. In Italia, però, secondo i dati raccolti da Manageritalia, nel 2022 solo il 20,5% dei dirigenti era donna e il 31,62% quadro, e il divario di genere nel mondo del lavoro – se non ci estinguiamo prima – a essere positivi col ritmo attuale dovrebbe risolversi tra non meno di 132 anni. Ross, ne Il nostro futuro: Come affrontare il mondo dei prossimi vent’anni, ribadisce che è necessario ridurre le barriere culturali e occupazionali, permettendo la piena partecipazione delle donne all’economia. “Non c’è maggior indicatore di una cultura innovativa della responsabilizzazione delle donne. Integrare e responsabilizzare appieno le donne, in senso economico e politico, è il passo più importante che un paese o un’azienda possano compiere. […] Quelle società che non si liberano delle eredità culturali negative riguardanti il trattamento delle donne annegheranno travolte dalla prossima ondata di innovazione. […] L’innovazione non si verifica in ambienti chiusi, e le imprese innovative continueranno a tenersi alla larga da paesi che mantengono politiche di genere limitanti”. È necessario quindi accelerare, ne va della vita di miliardi di donne e bambine, costrette in molte parti del mondo a interrompere gli studi per aiutare la famiglia, e anche in Italia a lasciare il lavoro per prendersi cura dei figli, a causa di retribuzioni troppo basse, mancanza di servizi di accudimento per i bambini e condizioni lavorative deleterie. Seguire la crescita di un essere umano è un enorme privilegio, ma è anche incredibilmente faticoso, e in Italia – Paese con una delle popolazioni più anziane del mondo insieme al Giappone – sta diventando un vero e proprio lusso per chi lo desidera – anche a causa delle disparità sistemiche e del peso che ricade sulle madri, soprattutto quando non hanno a disposizione una rete di aiuti famigliari.
Nella prefazione all’edizione italiana de I furiosi anni venti Ross scrive: “Dobbiamo cambiare l’idea che abbiamo dei leader. Se chiudete gli occhi e qualcuno dice ‘CEO’, l’immagine che vi viene in mente è probabilmente un archetipo maschile che appare, vive e comanda in un certo modo. Secondo me, dovremmo allargare questa immagine in modo che possa includere le donne e la loro maniera di affrontare la direzione di impresa, che spesso può comportare maggiori livelli di intelligenza emotiva”. Ma le donne hanno un intelligenza emotiva più sviluppata, perché la società le ha spinte – obbligate – a svilupparla, permettendo loro di piangere e di comportarsi “da femminucce”. O forse perché sono state costrette – e a volte lo sono tuttora – ad accudire i figli, o i familiari che ne avevano la necessità, e volenti o nolenti hanno dovuto sviluppare degli strumenti, trasmettendo poi generazione dopo generazione le capacità importantissime – che agli uomini di solito non vengono richieste – scaturite da questa condizione – che agli uomini, tuttora non viene quasi concesso di sperimentare.
In uno studio condotto nel 2016 da Korn Ferry, società di consulenza gestionale fondata nel 1969 con sede a Los Angeles, su un campione di 55mila professionisti selezionati tra 90 Paesi diversi, le donne ottennero punteggi più alti in 11 delle 12 competenze socio-emotive, in particolare per quanto riguardava l’inspirational leadership, coaching e mentoring, adattabilità e capacità organizzativa, e di conseguenza maggior capacità di essere considerate come guide fidate, di influenzare l’ambiente e di gestire i conflitti. L’unica categoria in cui non superarono i colleghi maschi, ma ottennero comunque un pari punteggio, fu quella dell’autocontrollo. Al di là del genere di appartenenza, lo studio sottolineò quindi che i leader più efficaci erano quelli con maggiori qualità legate all’intelligenza socio-emotiva. Eppure, in Italia, ancora troppo spesso, si stenta a riconoscere alle donne queste qualità, facendo invece leva su pregiudizi duri a morire, legati al loro presunto ruolo di angeli del focolare obbligati. L’intelligenza emotiva viene ancora percepita troppo spesso come qualcosa di negativo.
Spesso, peraltro, le poche donne che riescono a sfondare il soffitto di cristallo ce la fanno proprio perché si comportano come uomini e avanzano le loro stesse istanze, dimenticandosi delle sistematiche ingiustizie e delle disparità normalizzate con cui chi si identifica come donna e le madri in particolar modo devono fare quotidianamente e brutalmente i conti, contribuendo a zittire la voce di tutte le altre che restano sommerse, o che vengono ricacciate in basso. L’avvocata Claudia Parzani, prima donna a presiedere Borsa Italiana, mantiene uno sguardo aperto e ci porta a riflettere sull’importanza di inclusione, collaborazione e soprattutto su una parola che ancora oggi – nonostante ciò che avrebbe dovuto farci capire la pandemia – nel mondo del lavoro si fatica a pronunciare: felicità.
“Abbiamo bisogno di cambiare prospettiva e di imparare a vedere non solo le difficoltà, gli ostacoli, i sacrifici del nostro percorso e della nostra professione ma anche, e soprattutto, le cose più belle, le soddisfazioni ricevute, il piacere e l’arricchimento derivante dai rapporti con le persone. Allo stesso modo deve cambiare il linguaggio. Dobbiamo smettere di pensare che certe parole non possano popolare tutti gli ambienti, abbracciare una narrativa positiva, e dobbiamo farlo soprattutto per i giovani. ‘Felicità’ e ‘inclusione’ sono parole importanti nei luoghi di lavoro, sono connesse a temi di business. A volte quando parlo a una platea di persone mi piace usare delle espressioni come ‘io amo’, ‘io adoro’, e vedo che tra il pubblico ci sono delle persone che si sentono un po’ a disagio. Ma la mia non è solo una provocazione: se faccio un lavoro che amo, io voglio poter dire che lo amo. C’è poi tutta la narrativa negativa legata all’errore e all’insuccesso. Si pensa che l’aver fallito significhi essere dei falliti. Il traguardo mancato, la medaglia non ottenuta portano frustrazione, umiliazione, perdita di fiducia. Anche qui occorre un cambio di prospettiva. Bisogna imparare a dare valore all’opportunità di aver affrontato una sfida e di essersi messi in gioco (e magari di essere stati tra i pochi a farlo, con coraggio), al percorso fatto per arrivare a quella meta, agli ostacoli superati con impegno e passione, agli insegnamenti appresi. E quindi vedere anche in quel traguardo mancato, in quell’insuccesso un’occasione di crescita e miglioramento”.
I bambini sono sempre meno in grado di confrontarsi con i no, i limiti, le frustrazioni, siamo sempre meno capaci di accettare la sconfitta, come se non sapessimo perdere. “Anche qui è necessario cambiare modello. Bisogna evitare di coltivare nei bambini il senso della competizione e imparare a vedere il talento presente in ciascuno. Ognuno ha le sue capacità, il suo diverso tipo di intelligenza, il suo modo di avvicinarsi alle cose, i suoi tempi… ciascuno deve poter arricchire la propria cassetta degli attrezzi, senza la pressione della gara, del confronto continuo. Questo è quello che ho sempre cercato di fare con le mie tre figlie (profondamente diverse tra loro): ho provato a lasciare loro la libertà di gestire i propri spazi e di coltivare le proprie passioni senza pressioni ed evitando il confronto. Noi genitori abbiamo un ruolo importante con il nostro comportamento e il nostro linguaggio così come un ruolo fondamentale è svolto dalla scuola e dagli insegnanti ai quali si deve delegare con fiducia l’educazione e la formazione dei propri figli”.
Statisticamente le donne in questo paese devono tuttora fare il doppio della fatica degli altri per ottenere stipendi più bassi e le cose non migliorano quando scelgono di diventare madri. In molti casi viene data loro poca possibilità di sognare in grande fin da bambine. La tenacia è fondamentale, ma ovviamente servono interventi strutturali. “Io credo che ognuna debba provare a fare ciò che desidera, con consapevolezza. In quanto donne spesso il contesto non ci permette di sviluppare una forte ambizione e autostima. Dobbiamo imparare a capire cos’è importante per noi, e cercare di farlo fuori dalle gabbie e dalle pressioni sociali, in maniera davvero libera, autonoma e personale, con una prospettiva e una visione più ampia. Dobbiamo fare le nostre scelte seguendo ciò che conta per noi, i nostri sogni e le nostre passioni. Occorre poi un profondo cambiamento nella cultura della nostra società: dobbiamo lavorare per superare gli stereotipi di genere, incoraggiando la promozione di nuovi modelli di riferimento maschili e femminili, cambiando la percezione del ruolo della donna nell’economia e nella società”.
Un altro punto fondamentale rispetto all’orizzontalità del progresso è la necessità di riconoscere come la tecnologia e più in generale tutte le materie STEM debbano essere integrate al pensiero umanista. Alessandro Saba, Director Original Production per The Walt Disney Company Italia, ha ribadito quanto le possibilità che oggi ci offre l’innovazione possano sostenere la ricchezza data dalla diversità e la collaborazione tra diverse menti pensanti e creative: “In un periodo in cui ci interroghiamo sulle opportunità e sui rischi dell’Intelligenza Artificiale, è interessante porre l’attenzione sulla potenza dell’intelligenza collettiva. L’opera audiovisiva e nello specifico l’opera cinematografica sono il frutto della collaborazione di una molteplicità di intelligenze. Un film o una serie Tv sono necessariamente il risultato di tanti professionisti che mettono a sistema le loro competenze specifiche: il regista, gli attori, i produttori, gli sceneggiatori, il direttore della fotografia, il costumista, il compositore, tutti i reparti di una produzione cinematografica devono collaborare e andare nella stessa direzione. […] In questa direzione sta giocando un ruolo fondamentale la tecnologia. Infatti grazie alla facilità di connessione e alla velocità di scambio di informazioni che si stanno raggiungendo, vengono superati i limiti dello spazio e del tempo e diversi tipi di intelligenze possono collaborare in tempo reale da ogni luogo. Si sta così rendendo sempre più concreta ed efficace quella che il sociologo Derrick de Kerckhove ha definito intelligenza connettiva. Un’ulteriore potenzialità che si sta concretizzando grazie alla tecnologia è poi la distribuzione globale di contenuti locali. Su Disney+ abbiamo recentemente lanciato The Good Mothers, la serie italiana vincitrice dell’Orso d’Oro al Festival del Cinema di Berlino. Nel giorno in cui la serie Tv è stata lanciata in Italia è stata contemporaneamente lanciata in tutti i paesi del mondo dove Disney+ è presente, doppiata o sottotitolata in tutte le lingue. Questa è una grande opportunità per i mercati locali e soprattutto per i talenti e i produttori, che possono esportare i nostri contenuti di qualità all’estero. Nei prossimi mesi lanceremo la serie tratta dal libro di Stefania Auci, I leoni di Sicilia; una storia di rivincita sociale, di imprenditoria italiana, la storia di una self-made-family che è partita dal basso e ha raggiunto il successo, ambientata nella splendente terra siciliana del 1800. Pensiamo che abbia un grande valore per il nostro paese esportare un’immagine positiva dell’Italia, anche grazie ai nostri contenuti audiovisivi che aiutano ad accrescere il soft power del nostro paese a livello internazionale. E questo è possibile grazie alla creatività dei talenti italiani, alla qualità dei produttori e alle nuove potenzialità distributive messe in campo dalla tecnologia”.
È assurdo aver paura del potenziale della tecnologia, ma come è stato ribadito più volte nel corso del summit è giusto porsi domande strutturate in merito, in modo da normarne l’uso nella maniera più efficace possibile. A questo proposito Ross ha ricordato la sua esperienza durante la presidenza Obama, in cui per la prima volta si discuteva rispetto alla legislazione legata al volo dei droni e alla cybersecurity, e quanto fosse giusto delegare una responsabilità etica e morale a una macchina. È poi fondamentale che i nostri pregiudizi cognitivi, che restringono la nostra stessa mente, non contaminano anche le dinamiche dell’intelligenza artificiale, proprio per evitare che diffondano bias legati al genere, all’etnia, eccetera. Se le macchine possono imparare e processare un’enorme quantità di informazioni, poi, sono gli esseri umani che hanno una capacità che al momento alla macchina sfugge, quella di fare collegamenti, spesso intuitivi, “emotivi”, nati dal corpo e da una mente fondata su dinamiche estremamente complesse e raffinate, e in gran parte ancora sconosciute. Uno dei prodigi della mente umana peraltro è proprio l’errore, la mente umana sbaglia e spesso trasforma gli errori in occasioni positive.
Alec Ross ribadisce spesso quanto sia importante sfatare a vari livelli la narrazione che vede nell’errore e nel fallimento una macchia personale, irrimediabile, uno stigma di cui vergognarsi. Dobbiamo impegnarci ad ammorbidire i pesanti giudizi che abbiamo introiettato ed evitare di proiettarli su chi abbiamo intorno, in particolare i bambini e i più giovani, il cui carattere è nel pieno della formazione. È fondamentale non temere di sbagliare, prendersi più rischi, anzi, è proprio sull’errore che si basa il complesso sistema dello sviluppo cognitivo e dell’apprendimento, così come quello scientifico, ha sottolineato durante il suo intervento al summit anche la Rettrice del Politecnico di Milano, Donatella Sciuto, laureata in Ingegneria Elettronica nel 1984 e Professoressa Ordinaria di Sistemi di elaborazione delle informazioni, tra le poche donne che all’epoca decidevano di intraprendere una formazione nell’ambito STEM.
Il discorso sulle digital humanities, ovvero lo studio di come il digitale possa cambiare i modelli di produzione e trasmissione della cultura, è centrale. Ambiti culturali come l’editoria, il cinema, la filosofia, la linguistica, la psicologia, l’architettura, la storia e l’arte, adeguatamente digitalizzati e integrati dalle più recenti innovazioni possano ampiamente sfatare il mito che “Con la cultura non si mangia”, per questo è necessario investire anche in questi ambienti e garantire alle figure professionali di grande valore che li popolano condizioni di lavoro e di vita dignitose. Metodi computazionali e ricerca umanistica sono oggi più convergenti che mai, ed è ora di abbattere il confine tradizionale tra tecnica e cultura, anzi, di ripensare radicalmente il nostro stesso concetto di “cultura”. Alessandra Carra, Amministratrice Delegata di Gruppo Feltrinelli, durante il summit ha detto che “la cultura italiana è a tutti gli effetti un’industria […] i dati lo dimostrano chiaramente. Eppure, ancora oggi nel nostro Paese facciamo molta fatica a considerarla tale e, di conseguenza, a darle il giusto valore. Solo nel 2021 il sistema culturale dava lavoro a 1,5 milioni di persone, producendo ricchezza per oltre 88 miliardi di euro – quasi il 6% dell’intera ricchezza prodotta in Italia – e coinvolgendo circa 270mila imprese e 40mila realtà del terzo settore. Un patrimonio enorme […] che dobbiamo imparare a valorizzare al meglio, partendo in primo luogo dall’investire nei giovani”.
Eppure, molto spesso i giovani nel nostro Paese, soprattutto nell’ambito culturale, in cui è anche molto più difficile trovare un impiego e trovarlo ben remunerato, sembrano tutt’al più carne da stage, andando a ricoprire per pochi spicci anche ruoli che richiedono competenze molto specifiche, per poi essere salutati con una stretta di mano e rimpiazzati da altri volenterosi stagisti. Lo Stato sembra fare ben poco per evitare certe prassi, e a quanto pare a molti imprenditori la cosa fa troppo comodo per trovare la voglia di invertire la rotta nei fatti oltre che nelle parole. È quello che invece sta cercando di fare Emotion Network, contribuendo a creare una rete di imprenditori e imprenditrici illuminate, che hanno la possibilità di influenzare positivamente il mondo che ci circonda, attraverso le realtà che hanno fondato o di cui si occupano, generando capitale e impiego, ma al tempo stesso innovando, sostenendo la ricerca e promuovendo una visione inclusiva della società, capace di valorizzare l’unicità di tutti gli individui che la compongono.
Il secondo summit di Tech.Emotion, appuntamento internazionale dedicato alla valorizzazione del potenziale dell’Italia, è stato organizzato da Emotion Newtork – la media company fondata a Milano da Mattia Mor, Karin Fischer, Gianluca D’Agostino, Massimo Redaelli, Alec Ross, Claude Finckenberg e Thomas Schneider, con Milano Investment Partners Founding Partner della società – insieme al Corriere della Sera dal 17 al 19 maggio a Milano.