I trapper italiani vogliono imitare il gangsta rap degli Stati Uniti, e non solo nella musica - THE VISION

I passaggi generazionali sono cambiamenti che non seguono un percorso lineare, ma vengono attraversati da momenti di rielaborazione del passato, che permetteranno alla nuova generazione di costruire un immaginario proprio aggiungendo elementi inediti rispetto ai simboli e ai riferimenti della precedente. Sono queste qualità originali le componenti distintive che segnano l’avvenuta transizione, in forza della loro capacità di creare alcune intraducibilità e incomprensioni, come il classico smarrimento di un padre nato negli anni Sessanta, che ascoltando insieme al figlio una canzone di Thasup, non capisce bene di cosa si stia parlando quando vengono evocati gli imperdonabili tradimenti degli “snitch” o il fascino di luoghi come “Swishland”

Queste variazioni non sono mai solo linguistiche, ma riguardano anche gli schemi di auto-rappresentazione. Basti pensare, nell’ambito delle relazioni affettive, alla fine del mito della velina che sposa il calciatore – naufragato definitivamente dopo la rottura del matrimonio di Ilary e Totti – sostituito da un nuovo modello di coppia perfetta, ovvero quella composta dall’influencer e dal rapper. Così, la relazione da sogno fatta di villoni, vacanze a Formentera e ospitate a Verissimo, ha lasciato spazio ad amori tormentati e imprevedibili, come il tira e molla fra Gaia Bianchi e Rondo da Sosa – TikToker da quasi tre milioni di follower lei, trapper acclamato dalla scena internazionale lui – giocatosi a colpi di Instagram stories. Se il modello di coppia precedente sembrava tanto desiderabile per l’idea di ricchezza, lusso, ma anche di affidabilità – nonostante questa fosse spesso ricreata per esigenze di scena – che emanava, le relazioni fra influencer e rapper aggiungono all’equazione del romanticismo il fascino dell’incontro-scontro fra personalità ribelli, dannate, custodi di un lato oscuro che intreccia conflitto e passione nel microcosmo del loro legame. Ragionando per similitudini, dove la velina e il calciatore puntavano alla stessa intramontabilità di Albano e Romina, la star dei social e il trapper vorrebbero impersonare i Bonnie e Clyde contemporanei.

Rondo nel video di SHAWTY (2021)

La figura del rapper, in pochi anni, si è imposta come esempio indiscutibile di successo e di coolness anche grazie a questo fascino maledetto, che va oltre la musica, perché recupera valori strettamente connessi all’immaginario criminale che ha accompagnato tutta l’evoluzione di questo genere quale espressione musicale del movimento Hip Hop, di cui la trap e la drill – che si sono mangiate le classifiche italiane negli ultimi anni – rappresentano le più recenti rielaborazioni.  Nato nel Bronx di New York e poi diffusosi in tutti i quartieri segnati da povertà ed emarginazione degli Stati Uniti, il rap per le minoranze afroamericane e latinoamericane era un modo di affermare la dignità delle loro comunità e il forte desiderio di riscatto che le animava. Il nemico, in questo caso, era rappresentato dalla società statunitense dei bianchi privilegiati, il cui atteggiamento estremamente discriminatorio veniva contrastato dalle gang dei primi rapper attraverso una protesta fatta di rime e beat, che prendeva vita durante i cosiddetti “block party”, ma anche con azioni ai limiti della legalità.

La consacrazione dell’immaginario criminale come cultura fondante di questo genere musicale, però, è avvenuta tra gli anni Ottanta e Novanta, con l’affermazione del gangsta rap negli Stati Uniti. Questa nuova declinazione del rap non si limita all’espressione di un’urgenza, alla denuncia dei problemi che affliggono chi vive in una condizione di profondo disagio sociale, ma diventa una “cronaca del ghetto”. Dischi come Straight Outta Compton del gruppo N. W. A. (Niggaz Wit Attitudes), The Chronic di Dr. Dre o All Eyez on Me di Tupac sono celebrazioni delle sparatorie, dello spaccio, della prostituzione e di tutte le attività criminali tipiche delle gang, comprese le guerre civili tra fazioni che in quegli anni hanno decimato la scena rap statunitense. Tra esse, la rivalità più famosa è senz’altro quella tra la East Coast di New York, e la West Coast di Los Angeles, che si concluse con l’uccisione di due dei maggiori talenti della storia del rap: Tupac Shakur prima, The Notorius B.I.G. poi. Una tragedia che ha scolpito queste due figure nella leggenda, dando vita a un vero e proprio culto legato a tutto ciò che i due rapper hanno rappresentato.

Snoop Dogg e Dr. Dre, New York, 1995
N. W. A. (Niggaz Wit Attitudes)
Notorious B.I.G.

La cultura criminale, in questo senso, è fondamentale per la definizione del genere rap, perché richiamando all’idea di una sorta di giustizia privata, lo veste di un particolare potere seduttivo che passa per il proibito e che non cattura soltanto chi si riconosce nella radicalità dei messaggi di rottura per esperienza diretta, ma anche chi, pur avendo vissuto in un contesto sociale del tutto diverso, percepisce la potenza delle sue rivendicazioni in rima. In Italia, nei primi anni Duemila, è accaduto proprio questo, come racconta Jake La Furia – rapper, produttore ed ex componente dei Club Dogo – a Basement Café by Lavazza durante la masterclass sull’influenza dell’immaginario criminale sul rap tenuta con il giornalista Pablo Trincia. Nel caso di Jake, l’album della svolta, quello per cui ha deciso di iniziare la sua carriera, è stato Ready to Die di The Notorius B.I.G., artista che, come sottolineato dallo stesso rapper, “è stato il primo a trasformare l’immaginario criminale in un immaginario musicale, proponendo il modello del balordo che arriva dalla strada e che ce l’ha fatta” – e proprio per questo può ostentare la sua ricchezza vestendosi come un gangster, con bombetta, bastone e iconiche felpe di Versace.

Tupac Shakur, 1993
Tupac e Biggie Smalls insieme sul palco del Palladium, New York, 1993

Funerali di Biggie, 18 marzo 1997, New York

Se fino a quel momento la scena italiana si era concentrata su una produzione musicale intimista, underground, di nicchia, facendo leva sugli elementi metrici ed espressivi che avvicinano rap e poesia – gli incastri di rime, i ritmi delle parole scanditi dal flow, la capacità di parlare per immagini e atmosfere – come dimostrano capolavori quali Novecinquanta di Fritz da Cat e Turbe giovanili di Fabri Fibra, a partire dagli anni Duemila tutti i temi propri del genere – la rabbia, la fame di successo, il rispetto fra bro e la credibilità all’interno della scena – non vengono filtrati dall’introspezione, ma spettacolarizzati, dando vita a un modo di rimare che eredita dagli Stati Uniti il gusto per lo show. Il rap inizia così ad avere successo perché diventa puro intrattenimento, basato su immagini sensazionali e sullo sdoganamento di tematiche pulp, come se ogni canzone fosse un film di Hollywood diretto da Chief Keef, con una trama costruita su illegalità, denaro, strisce di coca e un cast di rapper che sono anche ottimi attori, ma non hanno niente a che fare con i gangster nella vita reale.

Fabri Fibra

Oggi, con il cambio generazionale nella scena rap italiana si sta assistendo per la prima volta a una situazione opposta, con l’esplosione di un preoccupante fenomeno di criminalità – reale, non più limitata al dissing e allo show – che nasce da una condizione di disagio sociale e sfocia sempre più spesso in scontri fra gang di giovani trapper. La violenza giovanile, purtroppo, non è un fatto nuovo: i racconti dei Teddy Boys e dei Ragazzi di vita di Pasolini descrivevano le stesse scazzottate e scorribande a bordo di auto rubate, ma quella “delinquenza romantica” sembra aver lasciato spazio allo sviluppo di una criminalità di quartiere che ricorda, nelle modalità, le banlieue parigine raccontate nel film L’odio. Le periferie Made in France, infatti, conoscono da tempo la dimensione del ghetto, dove venivano confinati gli immigrati – a partire da quelli provenienti dalle colonie – creando un universo parallelo, lontano dal centro delle città, non solo dal punto di vista delle distanze, ma anche a livello culturale, sociale ed economico.

Jake La Furia e Pablo Trincia durante la Masterclass di Basement Café by Lavazza

Nel 2015, partendo proprio dalla Francia, era stato il duo rap marsigliese PNL a girare un videoclip a Scampia, per sottolineare la propria fascinazione nei confronti della criminalità organizzata del nostro Paese. Oggi, invece, sono i nuovi esponenti della trap italiana a farsi fotografare nel quartiere di Gomorra: un rimando esplicito alla cultura della violenza, delle faide fra gruppi e della vendetta senza scrupoli, immediatamente paragonabile a quella dei gangster americani di Chiraq – il nome dato a Chicago, come ricordano Jake la Furia e Pablo Trincia, durante la guerra del Golfo, quando le vittime della criminalità in città superavano, in numero, quelle del conflitto in atto. La tenuta dell’associazione tra criminalità gangsta e trap italiana è testimoniata dalla provenienza di queste gang, tutte originarie dei quartieri-ghetto di Milano; dalle tensioni che dividono la città – in cui sono implicati alcuni rappresentanti della scena tra cui Paky, Keta e lo stesso Rondo – soprattutto nella zona di San Siro; dalle aggressioni e dagli arresti sempre più frequenti – come quello di Baby gang e Simba La Rue a seguito di una rissa con uso di armi da fuoco risalente a qualche settimana fa –; oltre che dalla crescente preoccupazione da parte del tessuto sociale.

Simba La Rue nel video di Banlieu (2021)

Paky nel video di ROZZI (2019)

Gli elementi originali, propri della nuova generazione del rap italiano, dunque, non sono soltanto l’intimo storytelling di Shiva, la prospettiva libera da ogni stereotipo di Madame o la poetica del fallimento di Massimo Pericolo: tre diverse esibizioni delle fragilità che ognuno di noi custodisce dentro di sé e che avevamo estremo bisogno fossero rappresentate. Accanto a questi, gli esponenti della trap e della drill – tanto nella loro veste di artisti, quanto in quella di aspiranti gangster – sono la manifestazione di una debolezza ancora più radicale, di un malessere che è dato dalla perdita di qualsiasi fiducia nelle istituzioni, nella società, ma soprattutto nel futuro. La rabbia repressa che si traduce in violenza, proprio come nel gangsta rap statunitense, infatti, è il risultato della sensazione di vuoto, di totale assenza di prospettive che rivelano le canzoni, ma soprattutto le azioni di questi artisti. La fenomenologia criminale che sta prendendo piede è la manifestazione di un gusto per l’illecito, di un tentativo compiaciuto di farsi giustizia da soli, perché si pensa di non poterla trovare in nessun altro modo. 

A questo proposito, nel corso della masterclass, Jake la Furia cita la figura di Renato Vallanzasca, leggendario bandito milanese, chiedendosi se “nel bilancio di un uomo valga la pena di delinquere per vivere due anni alla grande e tutti i restanti in galera”. La risposta di Pablo Trincia è particolarmente incisiva, perché il giornalista afferma che probabilmente nemmeno Vallanzasca lo sa: non sa se ne sia valsa la pena, “perché non ha fatto la nostra vita, ha fatto quell’altra”. Trincia parla di “una scelta deviata in origine” che non sarebbe stata la stessa se per esempio “i genitori lo avessero mandato alla Bocconi”, perché anche la storia del famoso bandito comincia con la stessa assenza di prospettive, che sembrano vivere i giovani trapper.

Il fenomeno a cui stiamo assistendo deve far riflettere le istituzioni rispetto a un intervento che parta dalle disuguaglianze sociali, da politiche di integrazione delle minoranze etniche, soprattutto nelle periferie e nei quartieri ai margini delle città, per uscire dalla mentalità discriminatoria del ghetto. La criminalità di strada, inoltre, è solo una delle forme di un disagio giovanile che, purtroppo, diventa sempre più evidente e il cui denominatore è una generalizzata sfiducia delle nuove generazioni nei confronti delle loro possibilità future. Non si tratta più di ragionare su interventi puntuali, ma di costruire nuove prospettive in cui i giovani possano credere, puntando sull’istruzione e su politiche del lavoro più eque per appianare le disparità da cui si origina quel senso di ingiustizia e impotenza che genera il loro malessere. La verità, infatti, è che solo chi è fermamente convinto di non potersi aspettare di meglio pensa di voler morire da leggenda del rap.


Questo articolo è stato realizzato da THE VISION in collaborazione con Basement Café by Lavazza per la prima stagione delle Masterclass, lo spin off dedicato agli approfondimenti di grandi ospiti provenienti da diversi ambiti che, dal mondo giornalistico a quello editoriale, dalla musica all’attualità, parleranno delle loro passioni. Le Masterclass, della durata di unora, sono completamente gratuite. Per partecipare è sufficiente iscriversi sul sito. 

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