Supercomputer in grado di aumentare le capacità di elaborazione dei dati utilizzando in modo più efficiente l’energia, satelliti per la supervisione degli incendi, sistemi per l’ottimizzazione delle energie rinnovabili, robot che monitorano lo stato di salute delle acque del Mediterraneo o che individuano e raccolgono i rifiuti marini. Sono solo alcuni esempi degli ambiti in cui l’innovazione tecnologica è al servizio del futuro del nostro pianeta. E proprio come è sempre stata una compagna fedele del percorso evolutivo degli esseri umani, così oggi il suo ruolo è e deve essere quello di una fondamentale alleata nel nostro tentativo di dar forma a un futuro migliore, a partire dal piano ambientale, come lo è nel facilitarci la vita di ogni giorno. Nelle interazioni quotidiane con le applicazioni, infatti, che sia al lavoro, nella gestione delle spese, in vacanza e a tavola, abbiamo la tecnologia letteralmente a portata di mano – basti pensare alla naturalezza con cui ricorriamo alle mappe digitali per individuare la strada più rapida per raggiungere una nuova palestra o un locale, ricevendo in tempo reale le notifiche su traffico e autovelox, o con cui usiamo i servizi integrati di AI, ormai un assistente a tutto tondo. Abituati come siamo ad avere a disposizione un algoritmo per ogni esigenza, rischiamo, però, di sottovalutare l’importanza che noi esseri umani abbiamo e dobbiamo continuare ad avere nel rapporto con le innovazioni tecnologiche, per garantire che il futuro che stiamo costruendo con loro sia inclusivo.
Tra i modi in cui la tecnologia ci aiuta ad affrontare le sfide ambientali ci sono la gestione delle risorse naturali, come acqua e minerali – il cui impiego può essere ottimizzato e ridotto – e il miglioramento della produzione di energia rinnovabile, per esempio tramite sistemi di intelligenza artificiale in grado di analizzare grandi quantità di dati e di elaborarli attraverso algoritmi avanzati, incrociandoli con il meteo e con le performance degli strumenti impiegati. Ma il ruolo dell’innovazione tecnologica sta assumendo una crescente rilevanza anche nella produzione alimentare; per esempio, l’agricoltura di precisione – che nei prossimi anni, sempre più segnati dalla siccità, sarà centrale – impiegando big data, immagini aeree e sensori aumenta la produzione e riduce la necessità di acqua e sostanze chimiche; mentre l’AI può aiutare a ridurre gli sprechi alimentari. E, ancora, la tecnologia può contribuire a ripulire l’aria inquinata delle nostre città, assorbendo anidride carbonica in svariati modi, tra cui il discusso Carbon capture and storage (CCS), cioè sequestrandola in siti di stoccaggio permanenti. Anche il trattamento dei rifiuti può beneficiare degli avanzamenti tecnologici, ottimizzando le fasi di riciclo e puntando sulla trasformazione degli scarti in risorse. Le stesse smart city – di cui si vedono esempi in varie parti del mondo, Italia compresa – integrano tutte queste opportunità tecnologiche nelle infrastrutture connesse del tessuto urbano, facendolo diventare più vivibile e rendendo la vita cittadina più semplice e sostenibile.
Il mondo del lavoro è fortemente impattato da tutto questo e dobbiamo approfittare della crescente rilevanza del settore tecnologico nell’ambito occupazionale; da un lato le tecnologie più avanzate e l’intelligenza artificiale sono in grado di liberarci dei compiti più ripetitivi e possono, quindi, lasciarci spazio e tempo per dedicarci ad altri compiti, cosa che fino a questo momento non è stata implementata a sufficienza; dall’altro lato, ci offrono gli strumenti più avanzati per dare concretezza alla transizione ecologica; nel farlo, non devono però essere precluse a nessuno queste opportunità, ma, anzi, abbiamo il dovere di sfruttare le tecnologie per abbattere ogni divario, a partire da quello di genere.
Un rischio è quello di affidarsi esclusivamente alla tecnologia per risolvere i problemi di oggi e di domani, attribuendole un ruolo salvifico; mette, sì, a disposizione strumenti fondamentali per ridurre i danni ambientali e accelerare la transizione ecologica, ma la crisi climatica non può risolversi (solo) con il magico potere della tecnica, avendo, invece, bisogno di cambiamenti radicali nel sistema economico-produttivo, nello stile di vita collettivo e, quindi, della nostra mentalità. Non esiste innovazione tecnologica senza l’essere umano: in fin dei conti, se le macchine sono in grado di compiere azioni complesse, di imparare dagli errori e di svolgere funzioni fino a oggi esclusive dell’intelligenza umana, è solo grazie all’accumulo e alla rielaborazione, da parte degli algoritmi, di input e dati forniti dagli umani. Quindi, se è la direzione che diamo alle innovazioni a determinare il futuro che vogliamo costruire, dobbiamo far sì che anche gli strumenti tecnici che ci aiutano a concretizzare una società più sostenibile siano fondati su basi eque e non discriminatorie, perché non c’è vera sostenibilità senza giustizia per tutti.
Proprio per questo bisogna fare attenzione ai dati che si immettono nei sistemi, che possono riflettere le discriminazioni che noi stessi attuiamo. L’intelligenza artificiale, cioè, ha bisogno dell’etica, che è una sensibilità prettamente umana. Una criticità nel delegare alla tecnologia il nostro futuro pensando che – un po’ di manutenzione a parte – possa far da sé, infatti, è rappresentata dai cosiddetti bias, termine che indica le distorsioni delle valutazioni e, quindi, dell’elaborazione di dati, per effetto dei pregiudizi. Come spiega l’esperta di dati e discriminazioni Donata Columbro, un bias si verifica quando i dati utilizzati sono rappresentativi di una realtà parziale o se contengono pregiudizi che portano a risultati distorti; si parla, infatti, di bias di selezione o di rappresentazione per esempio quando i sistemi di sicurezza sulle automobili sono costruiti usando solo dati relativi alla corporatura media degli uomini, causando problemi nei casi in cui a bordo ci siano donne; o, ancora, quando i sistemi di riconoscimento dei pedoni di cui sono dotati i veicoli a guida autonoma sono fondati su dati raccolti a partire da un campione a maggioranza bianca: in tal caso possono esserci rischi seri quando ad attraversare la strada è una persona nera, che il sistema potrebbe non riuscire a individuare. Così, in ambito ambientale, un algoritmo potrebbe individuare dei territori in cui avviare progetti di riforestazione o di protezione dei suoli che si riveleranno discriminatori se non considera le necessità e le abitudini delle popolazioni indigene che vi abitano (e che hanno un ruolo trascurabile nel danno ambientale che quello stesso progetto vuole riparare).
Ecco perché il ruolo umano deve restare centrale: prestare attenzione alla dimensione umana e alle connessioni che è in grado di fare – quelle non basate solo su dati e numeri – è altrettanto importante nella lotta alla crisi climatica, come pure in tanti altri ambiti che concorrono a un futuro migliore per noi e per il pianeta; per modificare i comportamenti, le azioni e le strutture sociali che contribuiscono al cambiamento climatico, per esempio, è importante comprendere come si formano a livello psicologico abitudini e convinzioni, scardinando le quali possiamo adottare stili di vita più sostenibili. Riflettere sui pregiudizi, sul loro significato sociale e sulle loro conseguenze è utile per superarli e coinvolgere le comunità nell’azione climatica, garantire un accesso equo alle risorse e sensibilizzare il pubblico sono tutti aspetti di questo approccio: integrando nei progressi tecnologici le scienze sociali e gli studi umanistici – oggi troppo spesso sottovalutati dal mondo del lavoro – si possono sviluppare strategie più efficaci e più giuste e soluzioni più inclusive e sostenibili. Secondo Abhijit Mitra, ricercatore al Dipartimento di Scienze marine dell’Università di Calcutta, il fattore umano deve fornire la motivazione e il quadro etico in cui attuare un’implementazione tecnologica; gli esseri umani devono, quindi, guidare l’azione e la politica, promuovendo il consumo responsabile, l’attivismo e l’applicazione delle normative ambientali, mentre la tecnologia deve darci gli strumenti per ridurre le emissioni e favorire l’adattamento climatico, proprio perché la crisi ambientale è una sfida complessa e in quanto tale richiede sia la volontà e la consapevolezza umane che l’innovazione tecnica.
Non possiamo abdicare a questo nostro ruolo: dobbiamo prenderci la responsabilità delle nostre azioni passate e delle nostre intenzioni per il futuro; puntare tutto sulla tecnologia, invece, non solo non è una formula magica, ma può anche avere l’effetto collaterale di distogliere fondi e attenzione dalla transizione ecologica. L’idea di poter usare strumenti che risolvano i problemi che noi stessi abbiamo creato, senza imporci di cambiare stile di vita e sistema produttivo, è un’illusione. Al contrario, tutti gli sforzi risulteranno potenziati se nel farli non dimentichiamo mai di rapportarci con le innovazioni tecnologiche, facendole nostre alleate.
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