Nel dibattito politico degli ultimi anni, viene dedicata un’attenzione sempre più grande a posizioni cosiddette “post-ideologiche”, che mirano al superamento delle contrapposizioni concettuali destra/sinistra, fascisti/comunisti e così via, in nome di una politica più pragmatica e votata agli interessi reali dei cittadini: quello che oggi è il mio peggior avversario politico, domani potrebbe essere il mio alleato di governo. In questo scenario, un ruolo sempre più centrale viene giocato dai leader dei vari partiti. La loro vita sembra dipendere più dal volere dei loro capi – e dagli scranni che occupano – piuttosto che dalla reale condivisione di ideali o di una determinata visione del futuro.
A partire dall’epoca del primo Berlusconi, il leader di un determinato partito o schieramento ha rappresentato un elemento sempre più determinante ai fini del voto: da una trentina d’anni a questa parte, non si vota più per appartenenza ideologica, ma in base al carisma del candidato a guida di questa o quella lista. Su queste basi. Beppe Grillo già nel 2010 prendeva nettamente le distanze dagli schieramenti tradizionali di destra e sinistra, definiti come “comitati d’affari”; e a distanza di tre anni ribadiva il concetto sostenendo che il M5S fosse un movimento di natura post-ideologica, lanciando il famoso mantra del “né di destra né di sinistra”; infine, nel 2018 il comico genovese si è spinto ancora oltre, arrivando a sostenere che il movimento da lui fondato fosse “la più grande forza post-ideologica d’Europa”.
Visto il successo in termini di consenso, anche i partiti storicamente schierati a destra, ovvero la Lega e Fratelli d’Italia, hanno deciso di seguire l’esempio della propaganda grillina. Salvini, ad esempio, nel 2015 definì l’antifascismo come “una roba da libri di storia”, dal momento che l’ideologia fascista e quella comunista appartengono al passato e non sono in grado di rappresentare le categorie politiche odierne. Anche Giorgia Meloni non è da meno: da sempre, infatti, la leader di FdI è impegnata nell’opera di normalizzazione e istituzionalizzazione del fascismo, in nome proprio di quella politica post-ideologica che vorrebbe superare posizioni faziose e “da tifoseria”. Perfino il successo elettorale di Trump nel 2016 è in parte dovuto al fatto che sia stato presentato come un leader post-ideologico di un movimento che “trascende le vecchie ideologie”. Infine, la recente crisi di governo nel nostro Paese, dettata più dagli interessi individuali di singoli politici piuttosto che dalla genuina passione per principi etici e politici, sembra essere un’ulteriore conferma della validità delle posizioni post-ideologiche. Infatti, l’agenda politica dei vari leader di partito sembra basarsi sempre più sugli interessi di potere dei singoli, anziché su una visione economica e sociale di ampio respiro per il futuro.
Le ideologie politiche che hanno caratterizzato il Novecento, dunque, sembrano essersi eclissate in maniera definitiva, rimpiazzate dal trasformismo e dall’individualismo. Eppure, il fatto che queste ideologie siano morte non significa che lo siano anche gli ideali, soprattutto fra le nuove generazioni. Mai come oggi si ha da un lato l’impressione che la politica non segua più alcun ideale, ma muti in base all’occorrenza e alla convenienza, dall’altro, però, al di fuori delle stanze del potere, si stanno costruendo e stanno crescendo sempre più delle comunità fondate su ideali molto forti. E nuovi ideali danno vita a nuove ideologie che si adattano ai problemi del nostro tempo, nel tentativo di affrontarli e trovare una soluzione, sulla base di un’etica e una visione del mondo condivise.
Proprio in virtù di questa natura dinamica, non si può affermare che le ideologie siano morte e che siano state definitivamente soppiantate da una sorta di nichilismo etico e di cinico opportunismo. Nel dibattito politico quotidiano il concetto stesso di “ideologia” viene interpretato in maniera superficiale e arbitraria: infatti, quando si accusa qualcuno di avere una posizione ideologica, si intende dire che le sue idee e i suoi discorsi sono astratti, teorici e fondati su pregiudizi. In realtà, però, l’ideologia è tutt’altra cosa: lungi dall’essere un insieme di nozioni fumose e valide solo in ambito teorico, essa consiste precisamente in un sistema di valori e coordinate concrete in base a cui gli esseri umani orientano le proprie azioni nel mondo. L’ideologia è quanto di più tangibile e pragmatico esista, dato che rappresenta una sorta di prontuario a cui tutti noi ci atteniamo più o meno fedelmente – e più o meno consapevolmente. Per dirla con il filosofo francese Althusser, l’ideologia è “un sistema di idee solo in quanto è un sistema di rapporti sociali” e in quanto tale costituisce la linfa vitale di ogni società.
Perciò, parlare di epoca post-ideologica significa da un lato avallare un luogo comune che produce solamente cattiva politica (e cattivi politici), e dall’altro utilizzare un metro di giudizio inadeguato a comprendere i tempi in cui viviamo. Non è vero che siccome le ideologie sono morte, allora c’è bisogno di politici post-ideologici e spregiudicati; al contrario, è vero che siccome la classe dirigente italiana non è in grado di rispondere alle esigenze e ai problemi reali del Paese, poiché non ne comprende gli ideali, allora politici, giornalisti e opinionisti vari – in mancanza di argomenti migliori – giustificano tale atteggiamento sulla base di una presunta morte delle vecchie ideologie. Ma sposare un’ideologia non significa necessariamente adottare dei pregiudizi o accontentarsi di una visione pigra o utopica della realtà. Al contrario, spesso è proprio chi è animato da ideali sinceri e da convinzioni etiche solide a realizzare i cambiamenti più significativi in ambito politico e sociale.
La retorica della morte delle ideologie ha come effetto ultimo quello di allontanare i cittadini dalle istituzioni e dai processi decisionali, di fatto accentrando il potere nelle mani dei leader più in voga. Perciò, risulta chiaro come “trascendere le ideologie” o affermarne la fine non significa altro che annientare il senso critico della popolazione prevenendo la reale necessità di un cambiamento dei rapporti sociali. In pratica, se si convincono tutti i cittadini che le ideologie sono dei paraocchi che impediscono di vedere le cose in maniera oggettiva, se non addirittura dei pesi morti di cui liberarsi, si ottiene come risultato sia la creazione di una classe dirigente elitista e incapace di rapportarsi ai cittadini, sia la subordinazione acritica del popolo a quella stessa classe dirigente.
Facendo un parallelo con il pensiero di Gramsci, possiamo dire che è esattamente in questo modo che le classi dominanti costruiscono la loro egemonia. Come ci spiega in maniera chiara ed efficace Alessandro Barbero, una classe diventa dominante quando riesce a far sì che anche le altre classi accettino la sua ideologia, ovvero il suo pensiero e la sua visione del mondo. Perciò, nel caso della situazione odierna, l’ideologia dominante è quella superficiale e propagandistica secondo cui le ideologie sono morte e sepolte, rimpiazzate dallo sprezzante pragmatismo dei politici contemporanei. Tuttavia, è altrettanto vero che quando l’ideologia dominante non corrisponde alla realtà, si apre una frattura tra governanti e governati che diventa sempre più insanabile e porta a inevitabili cambi di rotta nei rapporti sociali.
Gli attuali movimenti politici per le questioni di genere, razziali e ambientali, infatti, non fanno altro che dimostrare quanto questa frattura sia profonda ed evidente, e che continuare a ignorarla in nome della presunta morte degli ideali politici novecenteschi non fa che allontanare ancora di più la politica dalla realtà dei fatti. Non solo tali movimenti mostrano come la narrazione diffusa dell’estinzione delle ideologie sia un semplice strumento propagandistico e ingannevole, ma anche che la costruzione di una società più giusta passi necessariamente per l’istituzione di una nuova ideologia che stravolga i rapporti sociali esistenti, sostituendoli con un nuovo ordine politico ed economico basato su equità, inclusività e sostenibilità.
Ad essere scomparsa dai radar, dunque, non è l’impostazione dell’azione politica sulla base di valori etici, ma la buona politica che di tali valori si dovrebbe nutrire. Soprattutto nelle nuove generazioni, è molto forte l’urgenza di implementare una visione del mondo che si contrapponga a quella del capitalismo neoliberista, ormai in profonda crisi. Infatti, sebbene anche leader politici di primissimo piano come Macron abbiano riconosciuto che il modello capitalista non funziona più, in Italia sembra mancare quasi del tutto una riflessione lucida e realista sulla possibilità di liberarsi dalla propaganda post-ideologica e di creare un modello economico-sociale in grado di dare un futuro alle nuove generazioni e al pianeta. Tale atteggiamento, però, non fa che allontanare la politica e le istituzioni dai cittadini, creando malcontento e aumentando il rischio di derive nazionaliste e neofasciste.
La soluzione, dunque, consiste nell’abbandonare una volta per tutte l’impostazione post-ideologica, che non risponde ad alcuna esigenza reale delle persone e non fa che allargare la forbice tra la piazza e il Palazzo. Per questo, bisogna ridare la giusta importanza alla politica ispirata a sani ideali e valori non negoziabili, smettendola di conferire un valore esclusivamente negativo al concetto di ideologia. Senza ideali fondati su solide basi etiche, infatti, non saremmo neanche in grado di dare un senso al mondo, né di avere una prospettiva per il futuro.