Siamo così stanchi che ci siamo inventati il turismo del sonno - THE VISION

Secondo l’Associazione Italiana Medicina del Sonno circa 13,4 milioni di italiani soffrono di insonnia e, secondo uno studio del 2019 condotto dall’Istituto Superiore di Sanità, quasi uno su tre dorme troppo poche ore. Oggi, a distanza di qualche anno, probabilmente non va meglio, stando alla tendenza evidenziata da una ricerca del 2022 del comitato scientifico Dorelan ReSearch per il quale il 30% delle persone dorme poco e male, il 25% soffre di stanchezza cronica e il 23% ha difficoltà ad addormentarsi. Distrutti da un intero anno di sonni disturbati e di sveglie che suonano troppo presto, non vediamo l’ora di andare in vacanza per dormire, caricando le due settimane di requie annue di tutte le speranze di recupero.

Eppure, le vacanze, per come si sono evolute negli ultimi decenni, sono spesso dedicate a esplorazioni, visite culturali e divertimenti, attività e giri spesso frenetici: tutto ciò che esce dalla routine insomma. Ma se dovessimo basarci su uno degli ultimi trend delle vacanze di quest’anno, verrebbe da pensare che oggi ciò che esce dalla routine di tutti i giorni sia proprio il riposo. Secondo un sondaggio realizzato dal portale Booking, infatti, il 38% delle persone ha tra i primi obiettivi delle ferie quello di dormire meglio, attività prioritaria delle vacanze di circa il 24% dei viaggiatori italiani anche secondo Skyscanner. E così spopola lo sleep tourism che stando agli esperti sarebbe tra le ultime tendenze per le ferie, con pacchetti vacanze costruiti attorno a questo unico obiettivo: dormire, centrale nel trend wellness che vale già oggi più di 800 miliardi di dollari e sembra destinato a crescere ulteriormente. 

La tendenza è esplosa dallo scorso anno, anche in reazione all’epidemia di insonnia fomentata dai dispositivi che hanno invaso la nostra camera da letto, con la loro luce e i loro stimoli: prima la tv, poi i computer e gli smartphone che, con i social network, sono ormai delle tane del bianconiglio cui ci affacciamo solo per cinque minuti di scrolling per decomprimere la giornata, finendo per ridestarci dopo due ore col pollice intorpidito. Ma non è solo la luce a danneggiare il nostro sonno, anche lo stress che negli anni è cresciuto, perché è ormai difficile stabilire i confini tra lavoro e tempo libero, tra straordinari, smart working e partite iva che un orario lavorativo definito – nel bene e nel male – nemmeno ce l’hanno. Per non ridurre la vita a lavoro e sonno, comprensibilmente non vogliamo rinunciare a qualche serata con gli amici o a una corsa al parco a fine giornata; e siccome le ore della giornata sempre quelle sono, da qualche parte bisogna tagliare e spesso lo facciamo con le ore destinate al sonno, già disturbato dal consumo, a tratti preoccupante, di alcolici – antidoto allo stress quotidiano – e di caffè, il carburante della società della performance. Il risultato è una cronica carenza di sonno, che è connessa, sul lungo periodo, a problemi di salute come patologie cardiache, disturbi metabolici, problemi di salute mentale e, in definitiva, a un aumentato tasso di morte.

Il settore del turismo – di lusso, per lo più – ha colto al balzo un bisogno reale per rilanciare destinazioni e strutture esclusive con l’ennesima trovata di marketing. E così sono sempre di più gli hotel e i resort che propongono programmi specifici che mettono al centro l’igiene del sonno, quell’insieme di caratteristiche della camera da letto – come condizioni ottimali di temperatura, buio e silenzio – e pratiche – a partire dal tenere il cellulare lontano dal letto e abbassare le luci un paio d’ore prima di coricarsi – che favoriscono non solo la durata, ma soprattutto la qualità del riposo. Mentre la scelta dell’alloggio per le ferie si fa sempre di più in base a quanto e come consente di dormire, ancor più che a prezzo e comodità, chi può si rivolge a hotel e ritiri che offrono consulenze con esperti del sonno, attività rilassanti con focus sulla preparazione alla notte – dallo yoga alla meditazione – e trattamenti come aromaterapia e massaggi con olio al cannabidiolo (CBD), il composto chimico dalle proprietà rilassanti (non psicotrope) presente nella cannabis che ultimamente (forse non per caso) va alla grande. E, ancora, le opzioni a disposizione degli ospiti comprendono il menù dei cuscini, le tisane rilassanti, le macchine per produrre rumore bianco e le tende oscuranti. La location, manco a dirlo, deve essere un luogo isolato, possibilmente in mezzo alla natura, per garantire il massimo allontanamento, anche fisico, dallo stress cittadino.

Le destinazioni che vengono proposte per questo tipo di vacanza vanno dai resort esclusivi nella campagna toscana a mete esotiche come Bali o la Tailandia, e le strutture che offrono pacchetti dedicati all’anelato riposo richiedono un soggiorno minimo di tre notti – con prezzi che possono arrivare a 2.300 a testa per il programma base fuori stagione – a sette. Di contro, è più probabile che una famiglia della classe media opti per un campeggio pieno di adolescenti in viaggio di maturità che rientrano brilli alle 4 del mattino, in un hotel che ha visto tempi migliori. Ma se per riposare e, finalmente, godere di un sonno ristoratore bisogna spendere un mese di stipendio, allora il riposo è riservato ai ricchi, mentre a vederlo come un’utopia inavvicinabile sono la maggior parte delle persone e in particolare le donne. Il carico pratico e mentale della gestione famigliare e del caregiving, infatti, ricade ancora in modo sproporzionato su di loro, per le quali andare in vacanza può significare non riposarsi affatto (non a caso il 60% delle persone che soffrono d’insonnia sono donne). 

Le vacanze furono sancite come diritto per la prima volta in Francia con la legge del 1936, che introdusse 15 giorni di ferie pagate e un biglietto del treno per tutti i lavoratori; in Italia bisogna aspettare il 1948, con la Costituzione, che stabilì il diritto irrinunciabile alle ferie retribuite, di cui pure oggi varie categorie di lavoratori – dalle partite iva ai lavoratori a termine – non godono. È con il boom economico che la vacanza diventò mainstream, un momento di fuga dalla città, anche per la classe operaia. In realtà, allora come oggi, il relax è possibile perché le donne si fanno carico della maggior parte del lavoro non retribuito (domestico e di cura), che, con il suo carico mentale e lo stress che ne deriva, è possibile che in vacanza non si fermi, anzi. Come sottolinea Barbara Leda Kenny, se il lavoro di cura non è considerato lavoro, allora non è nemmeno possibile andare in vacanza da esso e infatti, come la maggior parte del tempo libero delle donne è trascorso con la famiglia (con una media di oltre 5 ore al giorno dedicate dalle donne ai lavori domestici non retribuiti, contro le 2 ore e 16 minuti degli uomini), così le vacanze spesso non sono tempo per sé; soprattutto se la sistemazione viene scelta in base al costo – che quest’estate, rispetto al 2023, ha subito rincari fino al 23% nelle località di mare e al 27% in montagna – e non ai servizi disponibili per intrattenere i bambini.

Carenza di sonno e stanchezza cronica, quindi, sono sì trasversali alla società, ma inevitabilmente colpiscono di più proprio le categorie sulle quali ricadono i maggiori pesi socio-economici (e, sovente, anche psicologici) della quotidianità. Le vacanze dovrebbero alleviare questi pesi, ma spesso si parte già stanchi e talvolta si torna ancora più stanchi di quando si è partiti, soprattutto se ci si è fatti prendere dall’ansia di vivere, fare, vedere il più possibile in quei dieci giorni in cui si esce, finalmente, dalla routine; e, soprattutto, se si parte con i figli. Se il turismo è nato come una via di fuga dai ritmi imposti dalla società capitalista, oggi, paradossalmente, il settore è funzionale a quella stessa spinta all’eccellenza e alla produttività. In questo senso, la nuova industria dello sleep tourism vuole presentarsi come una soluzione al “logorio della vita moderna”, mentre forse il suo scopo è solo quello di farci tornare in ufficio efficienti, come promettono i pacchetti vacanze dedicati ai manager; e, invece, questa tendenza andrebbe forse considerata innanzitutto il sintomo di una stanchezza fisica e psicologica ormai intollerabile, da cui oggi può permettersi una pausa solo chi riesce a conciliare le vacanze estive dei figli con il lavoro e soprattutto chi ha la possibilità economica di pagare l’hotel con il “programma sonno” e le stanze insonorizzate, qualcuno che si prenda cura della casa e magari un massaggio rilassante ogni tanto. 

Ma forse è un’illusione anche questa, perché, se è vero che nel breve periodo è possibile recuperare il sonno – per esempio dormendo di più dopo una notte in bianco – gli effetti negativi sul corpo e sul cervello delle mancate ore di riposo sul lungo non si cancellano così facilmente. Una vacanza dedicata a recuperare il sonno perduto può far sentire più riposati, ma non è affatto come dormire in modo regolare e soddisfacente tutto il resto dell’anno. Questo tipo di turismo, quindi, appare come un tentativo – elitario – di sfuggire all’asfissiante routine del lavorare troppe ore e affannarsi tutto l’anno per stare al passo con le pretese della società.

Se ozio e riposo sono dimensioni che consentono il piacere – di cui oggi, non a caso, conosciamo per lo più modalità fugaci, quasi compulsive, alla ricerca di rapide scariche di dopamina a pronto uso che riusciamo a incastrare tra un obbligo e un impegno – il turismo del sonno, nelle sue varianti, è il tentativo individuale di trovare una soluzione a un problema sociale, che come tale andrebbe affrontato con un approccio politico e strutturale. E a cui, nel frattempo, possiamo solo cercare di rispondere dedicandoci il più possibile – trattandola come una priorità – in vacanza, ma anche nella vita di tutti i giorni, a quella che oggi è sempre di più un’attività sovversiva: il riposo.

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