Non è facile scendere a compromessi quando a esprimersi è il genio creativo, ma ci sono capolavori del mondo dell’arte, della musica, del cinema e della cultura rimasti immortali che non sarebbero mai nati senza la collaborazione, più o meno controversa, tra due personaggi il cui incontro sembrava inevitabile e necessario. La coppia, se ben assortita, sa essere più forte del singolo. Clint Eastwood avrebbe raggiunto lo stesso successo se in lui non avesse creduto Sergio Leone? E i film di quest’ultimo, senza il volto del suo interprete, avrebbero riscritto con la stessa forza le regole del cinema? Dai migliori film di Federico Fellini, ispirati dalla moglie e musa Giulietta Masina, ai dipinti di Frida Kahlo e Diego Rivera, espressione di un matrimonio tormentato, passando per le canzoni delle leggende del folk Joan Baez e Bob Dylan, che hanno alimentato a vicenda il proprio successo, fino alle immagini visionarie nate dall’estro di Walt Disney e Salvador Dalì: tante delle opere più iconiche degli scorsi decenni non avrebbero visto la luce se questi duo senza tempo non avessero condiviso storie d’amore, di odio e di stima reciproca.
Negli anni Settanta c’è il definitivo riconoscimento della performance all’interno della storia dell’arte ed è proprio in quegli anni che in Europa si formano due tra i più importanti e acclamati performer del ventesimo secolo: la coppia di vita e d’arte formata da Marina Abramovic e Ulay. Entrambi nati il 30 novembre, ma in anni diversi: lui nel 1943, di origine tedesca e figlio di un gerarca nazista, una circostanza che in età adulta lo spingerà a disconoscere le sue origini e la sua nazionalità; lei nel 1946, di Belgrado e con genitori partigiani. Si conoscono ad Amsterdam nel 1976, nei locali della Galleria de Appel, ed è amore a prima vista.