Secondo il più recente sondaggio di Nando Pagnoncelli pubblicato sul Corriere della Sera, l’ascesa di Fratelli d’Italia non tende a placarsi. Il partito di Giorgia Meloni sorpassa il Pd ed è in testa con il 21,5%, quasi due punti percentuali in più rispetto all’ultima rilevazione; mentre calano la Lega (17,5%) e il M5S (14,5%). Questo sondaggio serve soprattutto a delineare una tendenza che si sta consolidando dalla nascita del governo Draghi, con i partiti facenti parte dell’esecutivo – ovvero i principali del panorama politico italiano, eccetto quello di Meloni – a perdere consensi favorendo FdI. A circa un anno dalle elezioni politiche del 2023, corriamo il rischio di avere come forza trainante in Parlamento, per la prima volta dalla nascita della nostra Repubblica, un partito di estrema destra.
Meloni all’inizio ha eroso elettori a Matteo Salvini, reo di qualche giravolta di troppo. A sua volta il leader leghista aveva approfittato della diaspora dei consensi grillini, quindi è una platea che non ha un’ideologia partitica, ma è più associata agli umori del momento. Quando infatti il governo Draghi ha riunito al potere fazioni avversarie, Meloni ha avuto il decisivo balzo nei sondaggi in quanto considerata coerente nonostante al governo ci fossero Lega e Forza Italia, ovvero i suoi alleati di governo. Mese dopo mese, gli italiani hanno provato una certa insofferenza verso il nuovo esecutivo e come reazione si sono aggrappati all’unico partito di opposizione, nonostante Meloni stessa contrastasse il governo in modo blando, ma efficace a livello mediatico. La frustrazione e la stanchezza della pandemia hanno corroso ancor di più i rapporti tra popolo e istituzioni, vedendo come un tradimento la stessa esistenza dell’esecutivo Draghi, contenente più anime. Dunque Salvini ha continuato a perdere elettori e il M5S ha proseguito la strada verso l’irrilevanza elettorale, tutto a favore di Meloni. Il cosiddetto elettorato fluido – o più semplicemente, confuso – non ha fatto altro che cercare l’ennesima next-thing politica su cui riporre le proprie speranze. Molti di questi nuovi seguaci di Meloni non sanno, o fingono di non capire, di essere finiti a sostenere un partito di estrema destra.
Gli spostamenti verso l’ala meloniana vengono prevalentemente dalle classi sociali più basse. Si è ormai da tempo ribaltata la tendenza che accomunava il proletariato alla sinistra. Secondo un’indagine Ipsos infatti, mentre il PD è in cima nelle preferenze tra imprenditori, professionisti e dirigenti, Lega e FdI sono i partiti in testa nelle intenzioni di voto degli operai. Per quanto riguarda il titolo di studio, il partito di Meloni invece è all’ultimo posto tra i laureati – con il PD in testa – e arranca anche tra i diplomati. Si è delineata quindi una spaccatura sociale, generata dalla credenza che Meloni rappresenti sia per il ceto basso che per i piccoli imprenditori la paladina contro i “padroni” del capitalismo, la tecnocrazia e le ingiustizie economiche. Un paradosso, considerando il ruolo di Meloni nell’Aspen Institute – il gotha dei “poteri forti” – e le sue idee politiche conservatrici strettamente legate al capitalismo e all’establishment atlantista, nonché le sua esperienza a fianco di Berlusconi come ministra di un governo che ci ha portato a un passo dal default. La frustrazione generata dalla pandemia e le difficoltà economiche hanno quindi avvicinato chi fatica ad arrivare a fine mese a quello che, in teoria, è l’unico partito di opposizione, preferendo la propaganda di FdI al Pnrr del governo e ai progetti riformisti. Gran parte di questi nuovi seguaci meloniani non sa, o finge di non sapere, di essere finita a sostenere un partito di estrema destra.
I media italiani, infatti, non hanno mai associato Fratelli d’Italia all’estrema destra, limitandosi a una visione più rassicurante in cui viene considerato di centrodestra, come se fosse un Udc qualsiasi. Nei telegiornali e sui principali quotidiani nazionali, il termine estrema destra viene usato solitamente per indicare partiti stranieri di minoranza o apparati del gruppo di Visegrad. Frange violente, pionieri dell’autoritarismo che vengono dipinti come fenomeni distanti dal nostro Paese e dalla nostra cultura. All’estero, però, come sempre sono molto più lucidi nell’osservarci. Mentre in Italia Berlusconi vinceva tre diverse elezioni e accumulava un consenso capillare, da fuori la stampa straniera si chiedeva come fosse possibile consegnare una nazione a un personaggio simile, e ben prima del “Bunga Bunga”. Gli analisti fuori dalla penisola parlavano dei suoi conflitti d’interesse, dei rapporti con la mafia, dei suoi innumerevoli processi e della sua scarsa propensione al rispetto istituzionale. Ridevano di noi attraverso il ghigno che Angela Merkel e Nicolas Sarkozy non riuscivano più a trattenere nemmeno durante le conferenze stampa.
All’estero avevano, e hanno tutt’ora, una prospettiva diversa, priva degli isterismi e delle faziosità interne che compromettono la lucidità d’analisi, che ha anticipato la presa di coscienza degli italiani, arrivata in ritardo. È avvenuto quando le testate straniere mettevano in dubbio la democrazia intesa dal Movimento Cinque Stelle, o quando Matteo Salvini è stato criticato per il suo trasformismo, mentre da noi trionfava alle elezioni Europee ed all’apice della sua parabola. Per gli analisti esterni è più facile d’altronde in alcuni casi fare la radiografia della politica di un Paese, perché vengono meno gli interessi partitici e le vicinanze dei media a una delle parti in campo. E così, adesso, i giornalisti e gli analisti stranieri sono gli unici a definire il posizionamento politico Giorgia Meloni per quello che è: “far right”.
Alle ultime elezioni politiche, quelle del 2018, Fratelli d’Italia ottenne soltanto il 4% delle preferenze, ma già durante la campagna elettorale i giornali stranieri furono incuriositi dal personaggio di Giorgia Meloni e dalla sua idea di destra. Il Financial Times fece uscire un articolo dal titolo “Meloni takes Italian far right back to 1930s roots”, roba che se venisse pubblicata oggi da un quotidiano italiano partirebbero le interrogazioni parlamentari. L’articolo si apre con il commento della scelta di Meloni di iniziare da Latina la sua campagna elettorale, città da lei definita “un posto simbolico per la storia della destra italiana”. Nel pezzo viene ricordato come Latina sia stata fondata dal regime fascista nel 1932, con il nome di Littoria. Viene criticata inoltre la decisione del partito di candidare Rachele Mussolini, nipote del Duce. All’estero, d’altronde, certe dinamiche sono incomprensibili, mentre noi abbiamo avuto per anni in politica Alessandra Mussolini e sempre Fratelli d’Italia ha candidato alle scorse Europee il pronipote Caio Giulio Cesare Mussolini, quando in Austria o in Germania nessuno si sognerebbe di portare in politica un nostalgico parente, vicino o lontano, di Hitler.
Dopo la bassa percentuale di voti delle elezioni del 2018, Meloni iniziò ad accumulare consensi soprattutto per una nuova impostazione social. Capì che per far breccia nell’elettorato oggi è più utile un buon social media manager che un buon programma elettorale e quindi si affidò a uno spin doctor seguendo la strategia di Salvini con la Bestia Luca Morisi. Chiamò con sé Tommaso Longobardi, giovane web influencer. Così anche Meloni rese i suoi profili social un contenitore per due immagini in contrasto: una addolcita, con animali domestici e tenerezze con la figlia; e un’altra autoritaria, con notizie contro i migranti e invettive sul blocco navale. Plasmò su di sé l’immagine della Giorgia “donna, madre, cristiana”, e già nel 2019 la sua visibilità su Facebook crebbe del 140%, con quattro milioni di interazioni al mese, numeri che negli anni successivi sono aumentati a dismisura. Se per Morisi era importante bonificare il passato di Salvini rimuovendo l’avversione verso il Sud e le sue idee secessioniste, il lavoro di Longobardi è stato quello di ammorbidire il “rapporto sereno col fascismo” di Meloni.
Questa dissonanza tra il posizionamento politico reale e l’immagine percepita è stata compresa e analizzata molto bene all’estero. Il Guardian ha pubblicato negli anni diversi articoli su Meloni. In uno di questi, intitolato “Giorgia Meloni, the friendly face of Italy’s surging far right”, viene spiegato come dietro la maschera istituzionale si nasconda una politica con origini missine e con Giorgio Almirante come punto di riferimento politico. La stessa testata ha poi pubblicato “Success of far-right Brothers of Italy raises fears of fascist revival”, un’inchiesta sui legami con il fascismo del partito di Meloni nelle Marche, regione che alle elezioni del 2020 ha portato alla vittoria Francesco Acquaroli, esponente di Fratelli d’Italia dopo un passato in Alleanza Nazionale. Nell’articolo vengono riportati alcuni episodi particolari, come l’iniziativa del sindaco di Ascoli Mario Fioravanti – anche lui del partito di Meloni – di consegnare agli studenti della sua città, in occasione della Giornata del Ricordo delle vittime delle Foibe, fumetti realizzati dalla casa editrice Ferrogallico, gestita da esponenti di Forza Nuova. Per la festa della Liberazione, invece, la direzione dell’ufficio scolastico delle Marche inviò agli studenti una lettera in cui si parlava di “rispettive ragioni e rispettivi sogni”, equiparando partigiani e fascisti. Il Guardian ha messo anche in luce una cena organizzata da membri di Fratelli d’Italia nel 2019 per commemorare l’anniversario della Marcia su Roma. Tra questi era presente anche Acquaroli, diventato presidente di Regione pochi mesi dopo.
All’estero, quindi, le posizioni di Fratelli d’Italia sono stigmatizzate e viste con preoccupazione e ci si interroga sulla concreta possibilità di avere Meloni al potere alle prossime elezioni. In Italia no: il suo partito è perfettamente integrato nell’arco parlamentare e i media lo trattano come se non avesse alcun collegamento con la galassia neofascista: anche quando Meloni tentennava dopo l’assalto alla CGIL compiuto da Forza Nuova, interrogandosi sulla sua matrice, o quando chiedeva “l’intero girato” di un servizio di Fanpage sulle evidenti posizioni fasciste di esponenti del suo partito – tra saluti romani, esaltazioni al Duce, cori da Ventennio e richieste di finanziamenti in nero.
Più che un’abitudine è un’assuefazione: siamo arrivati a convivere con gli attuali esponenti di Fratelli d’Italia e dunque accettiamo passivamente i saluti romani di Ignazio La Russa e i busti del Duce sul comodino dell’ “orgogliosamente fascista” Daniela Santanchè. E questo è solo il vertice del partito. C’è infatti un sottobosco di consiglieri di provincia con le croci celtiche o con la passione per le gite a Predappio. Un editoriale su Haaretz rimarca queste storture. Se già il titolo è eloquente – “What’s fueling the shocking rise of Italy’s far right?” – anche i contenuti lasciano poco spazio ai fraintendimenti. Il partito di Meloni viene definito fascist-friendly, con l’intento di trasformare gli istinti nostalgici in una forza “ultranazionalista”. Meloni viene associata alle battaglie contro gli immigrati e contro l’aborto e viene dipinta come un’avversaria del movimento LGBTQ+. Non a torto, considerando che giusto pochi giorni fa ha ribadito la sua appartenenza al partito “Non sono omofobo, ma…”, dichiarando: “Non sono omofoba, ma le adozioni vanno riservate alle coppie etero”.
Il rischio della vittoria di un partito di estrema destra alle prossime elezioni è alto non soltanto per la propaganda interna di Meloni, ma per il rafforzamento del suo ruolo tra i conservatori internazionali, che ne ha di fatto legittimato le intenzioni politiche. Meloni, infatti, non è soltanto la leader di FdI, ma è anche stata eletta nel settembre del 2020 presidente del Partito dei conservatori e riformisti europei. Questo segna anche una divisione tra lei e Salvini – che in Europa appartengono a gruppi diversi e che hanno anche diversi “padrini”. Se la Lega è stata spinta per anni dal vento di Mosca, salvo poi cercare una giravolta poco credibile dopo l’invasione in Ucraina, Meloni è vicina al mondo atlantista e ai conservatori statunitensi. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, lei era a Orlando per la Conservative Political Action Conference. Un’altra sostanziale differenza tra Salvini e Meloni è che il primo non ha mai avuto un’ideologia, ha sempre seguito gli istinti popolari e le convenienze elettorali rinnegando le sue stesse battaglie padane: la sua è più una post-ideologia di stampo grillino, è la totale assenza di un vero e proprio manifesto politico. Meloni, invece, un’ideologia ce l’ha ben chiara, ed è quella missina da riconvertire in formula contemporanea, un nazionalismo che tenta di nascondere le nostalgie interne al suo partito per poter ambire a ruoli di prestigio. Ed è probabile che possa riuscirci, perché in Italia abbiamo paura ad associarla all’estrema destra, essendo stata ormai sdoganata e legittimata come politica conservatrice e non estremista. All’estero, invece, non le fanno sconti e dicono le cose come stanno, chiamandole per nome. Se il prossimo anno dovessimo ritrovarcela come Presidente del consiglio i nostri media punteranno molto probabilmente i riflettori sulla notizia della nostra prima premier donna, mentre quelli stranieri sulla prima premier di estrema destra dalla nascita della Repubblica italiana.