Il governo Meloni ci sta consegnando al collasso climatico - THE VISION

Nel 2017 Mike Hughes, un autista statunitense che aveva deciso di dimostrare che la Terra è piatta lanciandosi nello spazio (spoiler: non c’è riuscito), disse: “Non credo nella scienza. So qualcosa di aerodinamica e fluidodinamica, di come si muovono gli oggetti nell’aria, di alcune dimensioni di razzi, ugelli e propulsori. Ma questa non è scienza, sono solo formule”. Oggi, che i terrapiattisti nel dibattito pubblico sono stati sorpassati dai negazionisti della crisi climatica, proprio come Mike Hughes, anche chi pensasse o dicesse una cosa del genere susciterebbe un’alzata di spalle o una risata, ma purtroppo capita che a farsi portatori di pensieri di questo tipo siano persone che ricoprono ruoli decisionali con una rilevanza fondamentale proprio sul clima, cioè coloro che devono indirizzare l’orientamento del Paese in campo ambientale.

Non ci si dovrebbe sorprendere delle posizioni del governo rispetto alla crisi climatica, dato che già le premesse della campagna elettorale non erano buone, con Fratelli d’Italia in particolare che considerava l’ambiente solo come territorio nazionale e confini da difendere. Se non ci sorprendono, però, le parole pronunciate dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini dovrebbero comunque scandalizzarci. Qualche giorno fa, infatti, alla festa della Lega Salvini ha detto che, sì, davanti ai ghiacci che si ritirano ci si preoccupa, ma che “poi studi la storia e vedi che sono cicli”, per concludere il suo contributo, proprio nel momento in cui stavamo archiviando il mese di luglio, il più caldo mai registrato, con il cavallo di battaglia di tutti i negazionisti del cambiamento climatico: “D’inverno fa freddo, d’estate fa caldo”. In realtà, gli studi concordano sul fatto che l’attuale riscaldamento globale stia avvenendo a un ritmo mai registrato negli ultimi 10mila anni proprio a causa delle attività antropiche, quindi non si capisce quali siano quelli presi in considerazione dal ministro.

La novità è la tranquillità con cui queste opinioni vengono espresse, senza timore di suscitare scandalo e indignazione, come invece dovrebbero. Più sorprendente è la placidità con cui il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin – colui, cioè, che deve guidare l’operato del governo rispetto all’ambiente – ha detto: “Il dibattito è se si tratti di un fattore ciclico della terra o dell’impatto dell’uomo […]. Non so quanto sia dovuto all’uomo o al cambiamento terrestre”. Poiché di dubbi a livello scientifico non ce ne sono proprio più da parecchio tempo, i casi sono due: o Pichetto Fratin si occupa di argomenti che non approfondisce, oppure sa benissimo che la crisi climatica ha origini antropiche, ma ha degli interessi che lo spingono a metterlo in dubbio. E tra le due opzioni è difficile decidere quale sia meglio. In ogni caso, le sue parole esprimono quello che viene definito “negazionismo scientifico” che cerca, cioè, di convincerci che non ci siano prove o consenso scientifico sulle cause della crisi climatica; anzi, parlando di dubbio, si esprime una posizione apparentemente ragionevole e accettabile che sembra suggerire che non bisogna credere a tutto. Giorgia Meloni, nel suo intervento durante la campagna elettorale del partito spagnolo di estrema destra Vox, ha poi detto che bisogna “fermare il fanatismo ultra-ecologista” che sta portando la sinistra ad “attaccare il nostro modello economico e produttivo”; ma non si tratta affatto di attacchi politici, ma quel modello che – tra industrie altamente inquinanti, combustibili fossili e allevamenti intensivi – da decenni danneggia l’ambiente e quindi, innanzitutto, le persone che lo abitano.

Gilberto Pichetto Fratin

Questa politica, in fin dei conti, è espressione di quella parte di opinione pubblica a cui il governo in carica vuole dare le rassicurazioni che cerca: quasi il 35% degli italiani ritiene che l’allarmismo sui cambiamenti climatici sia eccessivo, il 25% pensa che le alluvioni abbiano dimostrato che non c’è un problema di desertificazione e poco più del 16% addirittura nega che il cambiamento climatico esista. Spesso, secondo queste persone, chi sostiene il contrario è pagato dai poteri forti e sta complottando, anche se non si capisce bene per cosa. Se è vero che il complottismo è espressione non solo di paura per ciò di cui non si ha il controllo, come appunto il clima e il meteo, ma anche del bisogno di sentirci unici e più intelligenti degli altri, non credendo a quello che raccontano i presunti “poteri forti”, il paradosso è che proprio i “poteri forti” in realtà non si stiano impegnando per frenare la crisi climatica e, tutt’al più, se costretti a farlo dalle leggi o dal mercato, si limitino al minimo puntando sul marketing, che spesso sconfina nel greenwashing; basti pensare, per esempio, a Plenitude, la controllata ENI – di cui sono azionisti il ministero dell’Economia e delle Finanze e la Cassa Depositi e Prestiti – che si presenta come la divisione delle rinnovabili mentre ha ancora il gas al centro delle proprie attività. O agli stessi giornali, che parlano in modo sommario e superficiale di crisi climatica e raramente ne riconducono le cause ai combustibili fossili, dando al contrario ampio spazio alle pubblicità delle stesse aziende inquinanti.

Nessun governo italiano fino a ora si è distinto per decisioni radicali sul tema, ma quello attuale ha sdoganato idee negazioniste, ormai tranquillamente espresse sui media come se si trattassero di opinioni neutre, come la preferenza per un gusto di gelato rispetto a un altro, anche da parte di autorità di governo che in questo modo non fanno che confermare l’inazione climatica del Parlamento, che si svolge in un contesto confuso. Mentre il ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare Nello Musumeci, per esempio, parla esplicitamente del cambiamento climatico come di un problema che imporrà un cambiamento netto, Meloni resta più sul vago per non esporsi troppo e non perdere consensi tra chi si è visto la casa allagata o minacciata dal fuoco. Sono meno cauti, invece, molti parlamentari che sostengono il governo: da Sergio Berlato, che riconduce la crisi climatica all’attività del sole, a Carlo Fidanza, che afferma che i cambiamenti climatici ci sono sempre stati, a Lucio Malan, per il quale l’essere umano non c’entra nulla, fino a Claudio Borghi, secondo cui un po’ come per Salvini tutto si riduce al fatto che “d’estate fa caldo”. 

Giorgia Meloni

Purtroppo, però, le parole si concretizzano. Per esempio, nel Piano Nazionale e Integrato Energia e Clima – che stabilisce e regola gli obiettivi di decarbonizzazione del settore energetico e che, se attuato così com’è oggi, non ci permetterà nemmeno di rispettare gli obiettivi degli Accordi di Parigi – si punta, intanto, a rendere l’Italia il centro del gas in Europa, attraverso quello che è stato ribattezzato – quasi a volerne rimarcare l’anacronismo – “Piano Mattei”, che Meloni sta preparando intessendo relazioni con diversi leader dei Paesi produttori. Oltre a un piano non particolarmente ambizioso sulle energie rinnovabili, poi, il governo scommette sulle soluzioni tecnologiche, a partire da quelle di cattura e stoccaggio di anidride carbonica. Valide, forse, ma decisamente insufficienti: potrebbero al massimo corredare azioni massicce di riconversione energetica, industriale e agricola, come ha sottolineato Hoesung Lee, presidente dell’IPCC, secondo il quale “Fare troppo affidamento sulle tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio potrebbe portare il mondo a sorpassare i punti di non ritorno”. Anche di fronte alle emergenze, invece, ci si vuole sentire onnipotenti grazie alla tecnologia: va bene tutto pur di non mettere in dubbio un sistema che non solo dimostra ogni giorno i suoi problemi sul piano sociale ed economico – con diseguaglianze crescenti, competizione, consumismo e burnout elevati a valore – ma è il massimo responsabile della crisi climatica. E nel frattempo, di fronte all’evidenza del caldo estremo, trombe d’aria e incendi ci impediscono persino di lavorare. Ma ci si muove sempre all’ultimo, con il decreto legge per la tutela dei lavoratori in caso di emergenza climatica che introduce una cassa integrazione per i settori più esposti, mentre 1,3 miliardi di euro su 2,5, destinati alla lotta al dissesto idrogeologico saranno esclusi dal piano di rimodulazione del PNRR perché non si sa come spenderli.

Di fronte a tutto questo, i media hanno una grande responsabilità. Mentre si parla degli eventi meteorologici estremi, sempre più frequenti e violenti, come di “maltempo” – la stessa espressione usata, peraltro, per annunciare una pioggia salvifica che interrompe un periodo di siccità prolungata – 100 scienziati italiani hanno rivolto un appello ai mezzi di comunicazione, ai quali chiedono di parlare delle cause della crisi climatica e delle sue soluzioni. Perché sì, si sa quali sono, nei diversi settori, non ci sono dubbi come millantano alcuni: la produzione di energia, l’industria, l’edilizia, l’agricoltura, l’allevamento intensivo, la gestione dei rifiuti, i trasporti, la deforestazione e le importazioni; se davvero Meloni è preoccupata per le minacce all’attuale modello socio-economico non dovrebbe puntare il dito sugli attivisti – che il governo vuole colpire con sanzioni economiche fino a 1000 euro e pene del tutto sproporzionate alle azioni dimostrative compiute, come imbrattare beni pubblici con vernici lavabili, che vanno dai 6 mesi ai 3 anni di reclusione – ma affrontare questi comparti e delineare seriamente la strategia per raggiungere obiettivi tangibili. E dovrebbe anche sbrigarsi, invece di tollerare personali – e forse interessate – opinioni antiscientifiche come se fossero posizioni ugualmente valide, questioni di fede non dimostrabili.

Il problema, infatti, non è che qualcuno neghi come se niente fosse la gravità della crisi climatica o le sue cause, ma quando quel qualcuno ricopre importanti cariche decisionali. Nel 2023 affermazioni come quelle fatte recentemente da buona parte dei nostri politici di destra dovrebbero essere considerate al pari di quelle di chi sostiene che la terra sia piatta. Con l’aggravante che queste, oggi, sono incredibilmente dannose per la collettività, perché, minimizzando i problemi ambientali, confondono, portano a scegliere l’inazione e ci condannano al collasso. Se è vero che chi non agisce è connivente, allora chi nega o sminuisce è colpevole.

Segui Silvia su The Vision