La destra non fa pena, fa paura. Sottovalutarla è un errore che non dobbiamo assolutamente ripetere. - THE VISION

Archiviato il governo Draghi, rimasto operativo a Camere sciolte per svolgere gli affari correnti, si profila una delle campagne elettorali più roventi della storia repubblicana. In vista delle elezioni del 25 settembre, i partiti hanno già cominciato a maramaldeggiare tra propaganda e promesse irrealizzabili. Silvio Berlusconi ha spostato le lancette al 1994, promettendo di alzare le pensioni e di piantare un milione di alberi, dimenticandosi che il Pnrr prevede già di piantarne una quantità sei volte superiore. Matteo Salvini ha rispolverato l’artiglieria pesante: simboli religiosi e guerra al migrante. Giorgia Meloni, consapevole di essere la principale candidata a insediarsi a Palazzo Chigi, ha ripreso la sua attività abituale: fingere che il suo non sia un partito neofascista.

Gli analisti politici e il centrosinistra, intanto, sembra stiano ripercorrendo le tappe che conducono alla sottovalutazione dell’avversario, riducendolo al macchiettismo, a una visione caricaturale che dovrebbe incutere “più pena che paura”. In un recente editoriale, ad esempio, Mattia Feltri ha dipinto il centrodestra come un’armata Brancaleone che “non farà troppi danni e non durerà a lungo”. È più o meno la stessa frase che sentiamo da ventotto anni quando si parla di Berlusconi, che intanto ha ancora il potere di far cadere governi e di muovere i fili della politica. Sminuire la portata distruttiva della destra vuol dire consegnarle ancora una volta il Paese senza rendersi conto delle conseguenze. Nel 2008 erano al governo Berlusconi, la Lega e Meloni come ministra. Considerando che arrivammo a un passo dal default, possiamo già escludere dalle opzioni la voce “non faranno danni”.

Giorgia Meloni

Quello che fa ancor più paura rispetto a quattordici anni fa è la differente proporzione delle forze di coalizione. All’epoca era Berlusconi il vertice, e il Parlamento tralasciò le esigenze del Paese per occuparsi della difesa del suo premier, con tanto di votazioni per definire se Ruby potesse essere la nipote di Mubarak, l’ex presidente egiziano. Meloni era una ministra in rampa di lancio e Salvini premeva dietro le quinte per poter ereditare da Maroni le redini del Carroccio. Oggi il centrodestra, ancor più dopo le recenti fughe da Forza Italia, ha ben poco di centro ed è a trazione sovranista. Mentre Salvini già sbeffeggia chi parla di pericolo fascismo, all’estero si interrogano su come sia possibile che un partito neofascista possa essere così vicino a ottenere il potere, soprattutto in un periodo storico tanto delicato a livello geopolitico, tra guerre, crisi economiche ed energetiche ed equilibri internazionali a un passo dalla disgregazione. Ce lo chiediamo anche noi, ma gli italiani sono troppo coinvolti per potersene accorgere.

Matteo Salvini

Per rassicurare i cittadini si sono alzate due voci. “In Italia non c’è alcun pericolo di fascismo”. “Sono cose fantascientifiche inventate dalla sinistra per gettare fango”. La prima frase l’ha pronunciata Caio Giulio Cesare Mussolini, il pronipote del Duce già candidato alle Europee da Fratelli d’Italia, che qualche mese fa si è contraddistinto per aver fatto il dito medio davanti a una bandiera con il simbolo dell’antifascismo, scattandosi un selfie con tanto di sorriso beffardo. La seconda l’ha pronunciata Rachele Mussolini, nipote del Duce, che per una stranissima congiunzione astrale è anche lei all’interno di Fratelli d’Italia e fa parte del consiglio comunale di Roma. È chiaramente una coincidenza che Meloni li abbia voluti nel suo partito, di certo il cognome non ha influito. Come è stata casuale la carriera di Alessandra Mussolini, simile per percorso a quella della leader di FdI (MSI in gioventù, poi AN, PdL e tutto il giro della destra). Carriera che l’ha portata anche al Parlamento Europeo. Tre parenti di Mussolini, nostalgici delle sue idee, candidati dalla destra, ma siamo ingenui noi a pensar male. 

Alessandra Mussolini

“I fascisti sono una trascurabile maggioranza”, scriveva Ennio Flaiano in Diario notturno. Quella maggioranza nel corso dei decenni si è sedimentata, ha cambiato forma per sopravvivere come fa ogni virus, e seguendo l’iter epidemiologico è diventata sempre meno simile al ceppo originario, quello apparentemente estirpato nel 1945, ma aumentando la trasmissibilità. Ignazio La Russa, noto collezionista di busti mussoliniani, difende la sua leader di partito chiedendosi: “Ma davvero pensano che la Meloni abbia pronte le squadracce con l’olio di ricino e il manganello?”. È qui che entra in gioco la stratificazione lessicale, la differenza tra i nostalgici – quelli che vanno in processione a Predappio e festeggiano gli anniversari della Marcia su Roma – e i neofascisti, ovvero i portatori del virus mutato, quelli che non faranno più vestire i bambini da balilla e non useranno l’olio di ricino citato da La Russa, ma che attuano una versione aggiornata di quelle ideologie, mantenendo come base l’autoritarismo e la xenofobia pur non cantando di belle abissine e faccette nere. Il problema è che Fratelli d’Italia racchiude sia nostalgici che neofascisti, così da far circolare entrambe le varianti del virus e alimentare quello che Umberto Eco definiva fascismo eterno

Ignazio La Russa

Possiamo anche tapparci gli occhi e far finta che le riunioni di partito con i saluti romani e le canzoncine fasciste non esistano, se proprio la destra continua ad accusarci di vedere fantasmi ovunque. Ma quei fantasmi sono una genealogia che ridefinisce i contorni della destra attuale proiettandoli nel presente. Se fossero soltanto una rappresentazione folcloristica potremmo derubricarla a un riflesso nero distaccato dalla quotidianità, ma costituiscono un marchio ereditario che influenza la politica di chi, tra due mesi, potrebbe governare il nostro Paese. E il virus mutato non ha perso i geni dell’intolleranza. Con questa destra al governo, i diritti civili rischiano di essere calpestati come sta avvenendo nei Paesi guidati dai principali alleati di Salvini e Meloni. Giusto ieri Viktor Orban ha dichiarato: “Non mescoliamoci con le altre razze”. E stiamo parlando di un leader che abbraccia Meloni alla festa di Fratelli d’Italia e banchetta con Salvini a più riprese. Allinearci come Paese a quei governi liberticidi che discriminano le minoranze vuol dire regredire culturalmente e allontanarci da quelli che dovrebbero essere i valori fondanti dell’Unione Europea.

Viktor Orban

Non saranno gli unici problemi che dovremmo affrontare in caso di una vittoria della destra, considerando che la nostra economia, già martoriata da una crisi globale, rischia di subire un effetto simile a quello prodotto dall’ultimo esecutivo targato centrodestra. La coalizione non ha mai nascosto la sua resistenza contro le misure tese a combattere l’evasione fiscale. Se da un lato si spinge per la limitazione del contante, per controlli incrociati e un uso esteso del Pos, da destra rilanciano con promesse di pace fiscale e condoni di ogni tipo. A queste strizzate d’occhio agli evasori si aggiungono promesse improbabili che istituiscono quella che a tutti gli effetti potremmo definire una politica fatamorgana, ovvero basata su qualcosa che non esiste. Il miraggio in questione l’ha configurato Salvini dichiarando l’intenzione di azzerare l’Iva su pane, pasta, latte, frutta e verdura. Con quali coperture, non è dato sapersi. La promessa viene dallo stesso politico che doveva tagliare le accise sulla benzina, e che non l’ha mai realizzato pur avendo fatto parte di due diversi esecutivi. Siamo tornati all’epoca del milione di posti di lavoro di Berlusconi, a un 1994 più oscurantista e a un 2008 più violentemente reazionario. E il Paese non può permetterselo.

Riaffidarci a quello stesso triumvirato vuol dire arrivare al seppuku, il suicidio dei samurai che veniva attuato per espiare una colpa commessa o per non morire per mano dei nemici. Inconsciamente è ciò che gli italiani stanno perseguendo: sanno di essere responsabili di aver portato al potere certi elementi, e quindi avvertono la colpa, ma non vogliono subire l’onta del Paese in mano agli avversari politici. Così perseverano, riaffidano le proprie speranze a chi li ha già compromessi, affondano la lama conoscendo il destino a cui andranno incontro. Eppure l’espiazione non può coinvolgere l’intera comunità, soprattutto quegli individui che hanno gli anticorpi contro quel virus e sono orgogliosi di un’immunità ideologica conquistata sul campo. Ma, come abbiamo constatato durante la pandemia, tutti credono di essere virologi e prevale il negazionismo. Quindi quel virus non esiste, il neofascismo è una cantilena anacronistica della sinistra e Meloni, Salvini e Berlusconi risolveranno tutti i problemi dell’Italia. Ancora una volta, come in passato, nel Paese dei santi, poeti, navigatori e smemorati.

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