“Marseille, Safe and Sound” mostra la trasversale ruvidità di Marsiglia - THE VISION
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Marsiglia è una città che evoca subito un’idea di pericolo, anche in chi non c’è mai stato. È la città della malavita francese; dell’architettura visionaria di Le Corbusier trasformata in incubo, la “Cité Radieuse” coi colori dei muri scrostati e lo spaccio, la violenza e l’abbandono; il capoluogo in declino del Mediterraneo, ma anche una delle città più iconiche d’Europa.

Marsiglia è da sempre una città difficile, ricca di poesia e al tempo stesso simbolo di un immaginario criminale che ha ispirato il cinema internazionale e che tradizionalmente corrispondeva a “le Milieu”, micro-bande organizzate simili alla mafia italiana che si contendevano i traffici portuali e il mercato nero di tutta la Costa azzurra. Eppure, dal 2013 in poi, con la sua elezione a Capitale Europea della Cultura, ha cambiato rotta, iniziando ad attrarre turismo, giovani e artisti, impegnandosi a valorizzare le innumerevoli tracce urbanistiche delle diverse culture che nel corso della sua storia l’hanno abitata. Per via della sua enorme importanza di porto mediterraneo, infatti, Marsiglia è da sempre una miscellanea di francesi, algerini, italiani, corsi, russi e vietnamiti.

I due principali aggregatori identitari e culturali della città sono lo stadio dell’Olympique Marsiglia e la musica rap. In questo scenario si è infatti sviluppata una scena profondamente rappresentativa, da cui emergono Jul e Koba LaD, veri e propri trend setter per migliaia di ragazzi, che nel riproporre i loro capi – tra cui le felpe, le tute e l’immancabile marsupio C.P. Company – si sentono parte di un mondo, così come per chi entra a far parte degli ultras, la cui divisa è ancora una volta caratterizzata da C.P. Company. In certi ambienti, il gioco del cappuccio con le lenti (les lunettes) veniva comodo a molti, tanto da essere diventato un simbolo, che informa a vari livelli il linguaggio stilistico della città, ancora oggi. A volte è difficile capire da dove nascano certe mode, certe espressioni, certi modi di parlare e così via. Da dov’è nata la moda dei Paninari? Difficile a dirsi. È stato un incrocio di fattori, un concorso di cause: gli anni ‘80, la Milano da bere, un certo filoamericanismo estetico negli anni dell’edonismo reaganiano. Ancora adesso, molti dei brand che connotavano quegli anni dominano il mercato con fatturati esorbitanti. Così è per C.P.Company e Marsiglia, un brand che è entrato nel sangue e nell’immaginario dei suoi abitanti.

A Marsiglia, la presenza del brand C.P. Company è pervasiva e trasversale, tanto da apparire come uno dei pochi elementi – forse l’unico – in grado di accomunare e riunire i diversi gruppi sociali, politici, culturali ed etnici, venendo declinata su diverse generazioni: dai preadolescenti ai cinquantenni, dai ragazzi ai padri di famiglia, dai bianchi ai nordafricani, dai rapper ai calciatori, dagli ultras alla comunità rom. Camminando per i diversi quartieri della città il classico logo si scorge ovunque, e se da un lato – quello dello sport, della musica e delle generazioni più giovani – diventa sinonimo di identità e appartenenza a un gruppo, dall’altro è semplice attestazione di qualità, stile e status quo.

È da questa intersezione che nasce il progetto Marseille, safe and sound, realizzato da THE VISION in collaborazione con C.P. Company, e che ha coinvolto il fotografo Enrico Rassu, insieme ad altri tre sodali, per indagare  la perfetta sinergia fra la personalità del brand di abbigliamento e il tessuto sociale marsigliese, così profondamente riconoscibile nelle immagini scattate.

Il lavoro di Enrico, nato in Sardegna e che oggi vive tra Milano e Londra, riesce attraverso la sua fotografia, che si inserisce nel linguaggio del reportage, a restituire tutta la ruvidità trasversale alla realtà di Marsiglia. Come racconta lui stesso, lungo le 48 ore in cui, lo scorso giugno, si è recato nella città francese per ripercorrere la genesi del fenomeno individuato da C.P. Company, si è spinto assieme ai suoi partner “nelle situazioni più disparate, le più pericolose”, in un contesto dove “nessuno parlava inglese e noi non parlavamo francese, ma appena pronunciavo la sigla C.P. tutti mi accoglievano con un sorriso e mi davano accesso alla loro vita. Si fidavano”.

È questa fiducia che ha permesso a Enrico di entrare in relazione con i suoi soggetti, guardando sui loro dispositivi le foto degli amici, delle serate, degli idoli, dei calciatori e dei cantanti che loro stessi gli mostravano. La relazione, infatti, è un elemento fondamentale della sua fotografia, che lo porta a esplorare il mondo che gravita attorno a ognuna delle persone che ritrae, creando una connessione che non nasce dal desiderio di analizzare o di giudicare, ma di condividere un momento, e che gli permette di accedere a spazi ad altri proibiti, forse proprio grazie all’intuizione che attraverso le sue immagini la loro identità verrà trasmessa senza essere fraintesa o dispersa.

“Tutti indossavano sempre gli stessi vestiti (C.P. Company, ndr). Non avevo mai visto niente del genere: un culto, una vera e propria sorta di idolatria. Come a Napoli per Maradona”, continua Enrico. “Tutti erano consapevoli di ciò che avevano addosso, non era mai stato un acquisto casuale, ma una vera e propria scelta. Ed erano fieri di associare la loro immagine al brand”. Il suo desiderio di portare a casa delle immagini “vere” si è tradotto in un percorso di scoperta che ha toccato diversi luoghi della città: dal centro di ritrovo degli ultras del calcio – i South Winners – al porto, poi nelle piazze, sui tetti dei palazzi popolari, dal barbiere Lorenzo’s Style – icona di riferimento della città e di un certo tipo di clientela – fino ad arrivare negli androni delle case di persone che non potevano farsi fotografare in volto, perché tenevano strette in pugno  le loro armi, e nei negozi di tessuti pregiati che riempiono le vie del centro. Le contraddizioni di una città in fermento come Marsiglia sembravano mitigate dalla presenza costante dei capi C.P. Company.

Marseille, safe and sound è una vera e propria raccolta di documenti, che non si limita a raccontare una realtà solo attraverso delle belle immagini, ma che conserva una testimonianza del nostro tempo passando per le relazioni che si riescono a stringere. In questo senso, Enrico non si accontenta di fotografare quello che c’è, quello che rientra nel campo visivo della fotocamera, ma ritrae l’elemento invisibile della confidenza, creando uno spazio intimo che consente allo spettatore di proiettarsi in un istante ordinario, di vita comune, facendolo proprio. Il realismo della serie fotografica scattata a Marsiglia, infatti, permette a chi la osserva di entrare in un universo convulso e articolato, come può essere quello di un ragazzino che, dopo essersi fatto fotografare, ha confidato a Enrico che “se un giorno lo vedranno i miei amici su internet, sarò il più figo per sempre”. 

Nessuno sembra sapere quando la vita del brand e quella della città si siano legate così strettamente, eppure è un dato di fatto: C.P. Company veste trasversalmente tutta Marsiglia e i suoi strati sociali, riuscendo a essere incredibilmente inclusiva e rendendo il suo particolare stile un terzo polo identitario accanto alla musica e allo sport. 


Questo articolo è stato realizzato da THE VISION in collaborazione con C.P. Company in occasione della mostra “Marseille, safe and sound”, che sarà esposta giovedì 24 novembre, dalle 19 alle 22, presso il flagship store in Corso Matteotti, 7, a Milano. Il progetto è stato curato da THE VISION e scattato dal fotografo Enrico Rassu.

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