Animal Crossing è la vita che i Millennial sognano ma non possono avere

Animal Crossing: New Horizons (ACNH), l’ultimo titolo della saga Nintendo creata nel 2001 da Katsuya Eguchi e Hisashi Nogami, è probabilmente il videogioco che in molti, fra vent’anni, ricorderanno con la stessa nostalgia con cui oggi si ripensa a Super Mario Bros 2 o al primo The Sims. Anzi, l’immagine che tutti avranno stampata in testa di ACNH sarà molto più precisa e, soprattutto, irripetibile: le infinite ore di pace passate a pescare spigole e a catturare farfalle sulla propria isola, mentre fuori il mondo va a rotoli durante la pandemia di Covid-19.

Uscito il 20 marzo 2020, anticipando di qualche settimana i lockdown che si sono susseguiti in tutto il mondo, questo simulatore di vita sta avendo un successo straordinario ed è diventato il gioco in download digitale più venduto della storia, nonché il secondo titolo più venduto in assoluto in Giappone, preceduto solo dal primo Pokémon per Game Boy. Molti critici hanno ricollegato la popolarità di ACNH proprio alla quarantena: non solo il mondo bucolico e pacifico del gioco è stato per i gamer un rifugio di tranquillità e spensieratezza in un momento di grande apprensione, ma ha anche permesso alle persone di tenersi in contatto e di incontrarsi virtualmente. Grazie ad Animal Crossing, chi non poteva vedersi “nella vita reale”, ha organizzato riunioni di lavoro, ospitato talk show, festeggiato lauree, compleanni e persino matrimoni. Anche aziende e politici hanno intuito l’enorme potenzialità aggregativa di questo gioco. L’ultimo della lista è il candidato alle presidenziali statunitensi Joe Biden, che ha creato una serie di cartelli elettorali che gli utenti possono scaricare grazie a un QR code e mettere nel proprio giardino.

A differenza dei precedenti titoli della saga di Animal Crossing, in New Horizons c’è una trama: il giocatore viene inviato su un’isola deserta da Tom Nook, un tanuki (un cane-procione, tipico animale del folklore giapponese), con il compito di trasformarla per invogliare alcuni animali antropomorfi a viverci. Lo scopo del gioco, una volta raccolti tutti gli abitanti richiesti e dopo aver decorato a sufficienza l’isola, è ospitare un concerto di K.K. Slider, un cane cantante. Raggiunto questo obiettivo, viene sbloccata la possibilità di personalizzare il layout nell’isola fin nei minimi dettagli, tanto che per certi versi il “vero” gioco comincia da quel momento. Giocare ad ACNH significa quindi collezionare o costruire centinaia di oggetti, scavare buche e deviare il corso dei fiumi, completare il museo gestito dal gufo Blatero collezionando insetti, pesci, fossili e opere artistiche e interagire con gli abitanti della propria isola. Si può giocare in single player oppure invitare altri giocatori sull’isola (o visitare quelle altrui) per scambiare gli oggetti del proprio inventario o, più in generale, stare insieme. La natura non competitiva di ACNH è, secondo molti commentatori, uno dei motivi del successo del titolo, che si discosta molto da altri multiplayer online ormai presi d’assalto dai griefer (giocatori malintenzionati che entrano in una sessione di gioco con il solo obiettivo di distruggere tutto o sabotare gli altri) e dove il 70% dei gamer ha subìto episodi di bullismo e molestie.

 

ACNH ha fatto presa soprattutto sui Millennial, in parte perché molti avevano già giocato da bambini ai capitoli precedenti, in parte perché è un gioco appagante, che dà un senso di realizzazione attraverso il raggiungimento di obiettivi senza una scadenza dietro l’angolo. Non esiste il lavoro salariato all’interno del gioco, non serve essere bravi in qualcosa per contare e per essere apprezzati dalla propria comunità, dove invece ci si scambia regali, favori e parole gentili. Di fronte a una società ultra-competitiva basata sulla prestazione, dove il burnout è interpretato più come un segno del proprio successo che come un campanello d’allarme e dove sono soprattutto i venti-trentenni a risentirne, è chiaro che le premesse su cui si basa questo videogame non possono che essere allettanti per questa generazione.

Come ha detto lo scrittore e game designer Ian Bogost su The Atlantic, Animal Crossing è “un’ipotesi politica di come potrebbe funzionare un mondo alternativo, dove non esiste il fallimento”. Secondo Bogost, ciò che ha determinato il successo del gioco non è tanto il senso di “fuga dalla realtà”, quanto la presa di coscienza che un’altra realtà sia possibile. Molte persone, durante la quarantena, si sono rese conto che le proprie scelte di vita non corrispondevano ai propri desideri e infatti sono in tanti ad aver lasciato il lavoro o la città e ad aver cambiato radicalmente il proprio stile di vita. E una vita come quella simulata in Animal Crossing: New Horizons, fatta di amicizia, fai da te, otium e relax, evidentemente somiglia a quello che in molti cercano.

Ma anche nel mondo degli animaletti di ACNH non tutto è perfetto. Tom Nook, il tanuki che ci invita sull’isola, è anche il nostro creditore lungo tutta l’esperienza di gioco. Per vivere sull’isola si deve infatti pagare una tassa, poi un mutuo sulla casa, poi gli eventuali prestiti per allargarla, senza contare tutti i pagamenti che Nook richiede per fare la maggior parte dei lavori necessari per avanzare nella storia. Per certi versi, la prospettiva della spada di Damocle di un debito perenne è perfettamente in linea con quella che è la generazione più indebitata della storia, quella dei millennial appunto. Persino il Financial Times ha parlato del debito di Tom Nook, commentando con una serissima analisi nella prima pagina del quotidiano la decisione del gioco di tagliarne i tassi d’interesse.

Nel corso dei mesi è poi emerso un altro problema. Mano a mano che i giocatori perfezionavano sempre più le loro isole (spesso anche tramite cheat come i cosiddetti “viaggi nel tempo”, cioè il cambio delle impostazioni di data e ora della Nintendo Switch per avere più opportunità di collezionare oggetti) e condividendone le immagini sui social, si è creata una specie di gara all’isola più bella che, secondo molti, sta rovinando il vero senso di Animal Crossing. Su YouTube è pieno di video di tour di isole perfette con commenti deprimenti: “La mia isola fa schifo”, “Voglio resettare tutto”, “Non sarò mai al tuo livello”. In molti lamentano di come l’ansia di avere un’isola troppo brutta rispetto alle altre stia ostacolando l’apprezzamento del gioco.

Intanto, le aziende hanno già cominciato a sfruttare il potenziale di ACNH con alcune iniziative di marketing. Il blog di streetwear Highsnobiety ha ricreato una sua collezione di vestiti per il gioco – esempio seguito anche da Marc Jacobs e Valentino – mentre il festival di moda berlinese Reference ha organizzato una sfilata su Animal Crossing. La divisione filippina della catena di fast food KFC ha invece creato una propria isola visitabile, con tanto di ristorante, e il produttore di maionese Hellmann ha usato ACNH per una campagna contro lo spreco alimentare: i giocatori potevano andare sull’isola del marchio e per ogni rapa appassita consegnata Hellmann ha donato un pasto a un’associazione benefica. Questi primi esperimenti sono stati accolti bene, ma è prevedibile che questo idillio durerà poco, dato che molti giocatori usano Animal Crossing per prendersi una pausa dalle dinamiche sociali che governano la loro vita, pubblicità inclusa. È anche vero che è il gamer stesso a accettarla, andando volontariamente sulle isole create dai brand o scaricando i contenuti offerti.

Anche l’iniziativa dei cartelli di Joe Biden può essere l’inizio di una cattiva abitudine – nonostante sia difficile che Trump approdi su ACNH, visto che ha preso in giro l’avversario per questa sua mossa, e visto che ha già le simpatie di tutt’altri tipi di gamer. Anche Alexandria Ocasio-Cortez è una fan del gioco e ha visitato le isole di alcuni suoi supporter. Se è vero che in molti usano le varie personalizzazioni di ACNH per dimostrare le loro simpatie politiche – uno dei meme più popolari è la cagnolina-segretaria Fuffi che canta l’inno dell’Unione Sovietica – un conto sono i giocatori che usano gli strumenti del gioco per fare ciò che vogliono, un altro i politici che lo sfruttano per fare campagna elettorale. E se ha ragione Ian Bogost quando dice che Animal Crossing è un gioco politico, nel senso che è politicamente connotato, forse dell’invadenza della campagna elettorale più deludente della storia americana in molti avrebbero fatto a meno. Riccardo Luna, in un articolo su Repubblica che ripercorre i tentativi di “gamification” di vari candidati americani si chiede: “Davvero [Biden] pensa di poter far sloggiare Donald Trump dalla Casa Bianca gigioneggiando nelle casette virtuali di un popolare videogioco per famiglie?”. Nuove frontiere dell’avanguardia politica statunitense, dirà qualcuno. Evidentemente si sono persi il comizio di Antonio Di Pietro di Italia dei Valori su Second Life. Correva l’anno 2007.

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