Se spesso si sente dire che gli opposti si attraggono è perché il nostro desiderio si attiva di fronte alla distanza data dalla diversità e, in alcuni casi, più è ampio quello iato, più ci viene voglia – nonostante i possibili rischi – di allungare la mano con un certo coraggio per andare dall’altra parte, toccare e arrivare all’Altro, seguendo una sorta di visione. È un meccanismo interiore simile a quello che ci spinge a viaggiare, a scoprire, che trasforma un pensiero, un’idea, in un movimento per raggiungere un luogo di cui abbiamo sempre e solo sentito parlare, o che abbiamo visto per caso in una fotografia rimanendone folgorati, o leggendo un libro. Sembra allora che Milano – la città che sale, la città di pietra, ordinata e severa nelle forme e nei modi, innervata da un fascino algido e rigoroso – di questi tempi abbia aperto un dialogo continuo con l’Altro da sé, il polo opposto, la natura incontaminata. Chi vive a Milano la sogna, la anela, ci fantastica, e pur amando la vita di città e tutte le possibilità che può offrire, coltiva tra i grattacieli la sua passione per il mare aperto, i boschi, le vette, le onde, e magari a ogni occasione disponibile si allena in città per poterli tornare a vivere appena possibile. Oggi più che mai il cuore e la mente di questa città rappresentano un nodo gordiano tra cultura e natura e la tensione tra gli opposti innesca il cambiamento alla base di ogni desiderare. Il problema è che uno di questi due poli sta rapidamente scomparendo.
In quest’ottica, il Quadrilatero della Moda appare come il luogo perfetto per ospitare fino all’8 ottobre la prima mostra italiana del fotografo ed esploratore artico Sebastian Copeland: Vanishing Places – Luoghi che scompaiono, sviluppata insieme ad Audi e MonteNapoleone district. Il centro storico di Milano – città del lusso e dell’eleganza – fa da scenografia ai grandi scatti di Copeland che inquadrano paesaggi silenziosi e incontaminati, all’apparenza eterni, pressoché disabitati, ma in realtà vittime principali del surriscaldamento globale. Le nostre costruzioni, i nostri oggetti e progetti, con tutti i loro limiti, sono ben più perenni della calotta artica, semplicemente perché quest’ultima è una forma viva, che pulsa insieme alle correnti, soggetta a cambiamenti, e molto più inerme di quanto pensiamo.
Copeland – che oltre a essere uno dei più grandi esploratori contemporanei, è da tempo ambassador di Audi – attraverso le immagini mozzafiato che raccoglie si impegna da vent’anni a sensibilizzare il grande pubblico sulla necessità di invertire la rotta, cambiando i paradigmi su cui siamo stati abituati a costruire la nostra esistenza, perché ne va di quella stessa vita e prima ancora di quella delle popolazioni che abitano alcuni ambienti pressoché irraggiungibili, i primi che rischiano di scomparire. I venti scatti selezionati dall’autore, infatti, ci trasportano tra panorami artici, mostrando sia la forza che la fragilità di questi ambienti, celebrandone la magnificenza e allo stesso tempo ricordandoci inevitabilmente la loro precarietà, per richiamare l’attenzione al ruolo fondamentale che noi esseri umani dobbiamo svolgere nella salvaguardia dell’ecosistema, e che immersi nella vita di città a volte facciamo fatica a percepire.
È lo stesso che sta facendo Audi, mostrandosi come apripista nel reinventare filiere e processi produttivi puntando sulle economie circolari: a partire dalla progettazione, passando dalla ricerca di nuovi materiali sostenibili, ma con prestazioni di altissima qualità; innovando i siti di produzione e la distribuzione, così come ripensando profondamente la propria gamma di auto, come testimonia Audi SQ8, un’evoluzione sostenibile della sportività e quindi pensata per elevatissime prestazioni ed esposta in via Montenapoleone. Ma anche impegnandosi a sensibilizzare il suo pubblico, con coraggio e responsabilità, attraverso il dialogo tra tecnologia e umanesimo, incarnato da installazioni che hanno attivato gli spazi del Quadrilatero della moda in passato, come Enlightening the Future, nel 2021, e The Domino Effect, nel 2023, realizzate entrambe da Gabriele Chiave e Controvento, e capaci di attivare una riflessione non scontata, fondata su valori comuni come sulla responsabilità che abbiamo – in quanto singoli e in quanto società – sul pianeta e sulle altre specie.
Secondo Audi, infatti, è fondamentale essere all’altezza delle proprie responsabilità e fare tutto ciò che è in proprio potere per contribuire al cambiamento, che di certo non è facile, né sempre vantaggioso, ma è fondamentale e urgente. Su questo non ci sono dubbi, e l’unico modo per salvare il nostro futuro è agire tutti insieme, attraverso una sorta di reazione a catena – l’effetto domino positivo, protagonista dell’installazione di quest’anno alla design week. Obiettivo che trova perfetta corrispondenza nella visione del progresso di Audi, contraddistinto da un approccio olistico e multidisciplinare in grado di ripensare l’intero processo produttivo delle vetture, dalla supply chain alle emissioni negli stabilimenti di produzione, fino alla progettazione dell’intero ciclo di vita. Non basta adattarsi, per sopravvivere è necessario sapersi evolvere, cambiare.
Vanishing Places è esposta durante questi giorni d’autunno più caldi che mai. “Il 2023 è stato un’altro anno di cifre da record, in termini di clima,” mi dice Copeland. “E al momento sembra essere il favorito per qualificarsi come l’anno più caldo del decennio più caldo da quando abbiamo iniziato a rilevare le temperature nel 1880. Ciò ovviamente non fa ben sperare per il pianeta, tanto meno per i suoi depositi di ghiaccio. Non sorprende che i poli abbiano visto una perdita record di ghiaccio sia nei cicli estivi che invernali”. L’anno scorso c’è stata l’ondata di caldo più estrema mai registrata sulla Terra. In una regione dell’Antartide orientale conosciuta come ‘Dome C0 il 18 marzo le temperature hanno raggiunto i 10 gradi sotto lo zero, ovvero 39 gradi in più rispetto alla media stagionale. Vanishing Places parla esattamente di questo. Con lo scioglimento del permafrost dovuto all’aumento delle temperature, i terreni costieri si stanno sgretolando nell’oceano, cambiando la topografia e le mappe, e a ciò si aggiunge l’innalzamento del livello degli oceani.
“È più plausibile che mai che molti paesaggi che sto fotografando ormai da quasi trent’anni siano profondamente cambiati mentre continuiamo a dirigerci verso questa follia che è il collasso climatico. E non è un’iperbole,” afferma Copeland. “Personalmente, ho sempre resistito alla tentazione di dipingere proiezioni così schiaccianti, ma non credo che la società sia realmente consapevole della gravità di ciò che sta accadendo. Come sempre, mi considero un messaggero e un traduttore. Il messaggio è chiaro: ‘Ecco la bellezza che ci circonda. Sviluppiamo un attaccamento a queste terre magnifiche e distanti. Perché solo attraverso l’empatia e la connessione ci preoccuperemo di proteggerle’. La traduzione: ‘La natura ha una voce, che parla forte e chiaro per chi sceglie di ascoltarla. Quello che sta dicendo è ciò che segue: a meno che gli umani non allineino le loro filosofie con la Natura, allora la Natura si libererà di noi, come ha fatto con molte altre specie nel corso dei secoli. L’evento di estinzione del Grande Permiano 252 milioni di anni fa, ha visto la scomparsa del 92% delle specie. È stato spazzato via il 70% di quelle terrestri e il 95% di quelle marine. Non c’è nulla nella storia della Terra che suggerisca lontanamente che saremmo risparmiati dalle statistiche. Gli esseri umani sono molto più fragili di quanto erroneamente pensano, influenzati dal comfort di barriere artificiali della realtà che chiamiamo ‘società industriale’. È importante tenere a mente che il pianeta è chimica, biologia e fisica. Tutto avviene all’interno di quei confini, eppure abbiamo immaginato una relazione in cui potevamo negoziare con quelle dinamiche. Ma ecco il punto: la natura non ha empatia; non negozia. E non gli importerà se viviamo o moriamo. Un’altra cosa: la Natura non perde mai. Se ci sarà un vinto, saremo noi. Già il 70% delle specie è scomparso negli ultimi 50 anni. È ora di fare più attenzione, perché per fortuna, avremmo gli strumenti per cambiare le cose”.
Dei quattro pilastri della società industriale – agroalimentare, mobilità e trasporti, beni e materiali di consumo, costruzioni – è l’automotive che può trasformarsi più velocemente grazie a una tecnologia già esistente: la mobilità a zero emissioni. Per il momento, l’elettrico. In questo modo si potrebbe assorbire fino al 22% delle emissioni di Green House Gas (GHG) dall’atmosfera e al tempo stesso allontanarsi in tempi molto brevi dalla dipendenza dai motori a combustione interna (ICE). “Ciò che occorre,” continua Copeland, “È la volontà politica dei funzionari eletti e il sostegno dei consumatori. Quindi, per restare in tema, è il momento di spingere sull’acceleratore e velocizzare il passaggio a zero emissioni. Audi si è impegnata a smettere di sviluppare veicoli ICE entro il 2026. E questo ha molto a che fare con il nostro rapporto. Inoltre, si è impegnata a portare le proprie attività entro i prossimi anni a zero emissioni, e lo sta facendo. L’obiettivo interno è quello di distribuire i principi dell’economia circolare trasformando le sue catene da supply a value”.
L’economia circolare, infatti, è un imperativo se vogliamo invertire i trend climatici e ristabilire il crescente squilibrio che minaccia la biodiversità. Ma tutti possiamo fare la nostra parte, la possibilità di cambiamento, ribadisce Copeland, si riduce a quattro principi: usare meno; usare più a lungo; riutilizzare; e non inquinare. Come disse una volta Marshall McLuhan: “Non ci sono passeggeri sulla Terra: siamo tutti equipaggio”. Quindi rimbocchiamoci le maniche e cambiamo comportamento. Possiamo farcela. Altrimenti dobbiamo avere la consapevolezza che il fallimento sarà fatale. Vanishing Places è esposta a ricordarci la bellezza, ma anche il potere della Natura. Che da un lato può essere considerata nostra amica, nutrice, madre, alleata; ma dall’altro si libererà di noi se non siamo rispettosi e attenti, come saremmo con una persona che teniamo cara, senza pietà. Non c’è nulla che ci faccia davvero credere che gli esseri umani vivranno per sempre su questo pianeta. Ma, per ora, sarebbe bello non accelerare – per mera miopia e distrazione – la nostra morte.