Per rendersi conto dell’evoluzione che si sta compiendo nel tempo in quanto civiltà umana è necessario aver ben chiari i punti di partenza e gli snodi che manifestano il cambiamento nel suo avvenire. Se la maggior parte delle dinamiche storiche e socio-culturali è fluida, è altrettanto vero che, nel mettere insieme archivi composti da segni, simboli e icone, siamo in grado di ricostruire una visione, un percorso che ci permette di dare significato al nostro essere qui e ora. L’estetica incarna sempre un’atmosfera, un sentimento condiviso. Così arte, linguaggio e design si intersecano in un dialogo che arricchisce la narrazione della nostra esperienza di esseri umani calati in una determinata situazione.
La ricchezza dell’esistenza è data dalla fantasia e dalla curiosità e ciò che riesce a mantenerle vive ci attrae e ci eccita, appare immediatamente desiderabile. Nella previsione c’è tutto il fascino di questa magia, l’incontro tra l’intelligenza e l’immaginazione, come diceva il famoso fisico Richard Feynman. Il design, come l’architettura, è prima di tutto visione, previsione, immaginazione proiettata. Allo stesso modo l’Audi City Lab – aperto a Milano fino al 27 settembre – ci offre l’immagine del futuro secondo la casa automobilistica dei quattro anelli, in uno spazio, all’interno del Quadrilatero della Moda, che grazie alla collaborazione con Marcel Wanders studio e Gabriele Chiave, che ne è direttore creativo dal 2014, richiama con un raffinato gioco di sottili rimandi l’identità e l’attitudine Audi.
L’installazione nata da questo progetto s’intitola Enlightening the future e utilizza la luce – simbolo stesso della capacità di vedere, inteso come capacità di conoscenza – come strumento di connessione e narrazione. L’idea nasce dalle varie forme espressive, tecnologiche e progettuali con cui Audi sviluppa il tema dell’illuminazione. La luce ha infatti una fondamentale necessità pratica e al tempo stesso un enorme significato metaforico, proprio perché senza di essa la vita non esisterebbe. A seconda delle forme che l’uomo è riuscito a darle anche le sue abitudini socio-politiche, intime e culturali sono cambiate, dalla scoperta del fuoco fino alla Ville Lumière: la luce modella e dà forma alla nostra vita e alle nostre emozioni.
Non a caso Le Corbusier diceva che l’architettura non è altro che il gioco sapiente della luce sulle superfici. In quel caso, l’idea dell’architetto era quella che l’architettura esistesse anche senza progettisti, essendo un significato altro che si sviluppa nella mente di un osservatore immerso in un dato luogo dello spazio illuminato. La luce evoca l’architettura anche nel deserto. Compito dell’architetto è quindi fare un passo avanti per incontrare e accogliere quella luce, permetterle sapientemente di giocare.
Gabriele Chiave racconta a THE VISION che l’idea alla base dell’installazione è proprio quella di spostare l’attenzione da un concetto di luce razionale, tipico delle tecnologie e delle interfacce che abbiamo conosciuto finora, a una concezione più emotiva, inconscia, sensoriale; perché la macchina, in fondo, altro non è che un interno, uno spazio che ci accoglie e in cui viviamo. Le luci che abbiamo sperimentato finora come utenti sono prettamente funzionali, ci permettono di illuminare principalmente la strada o, nei casi in cui serve, l’abitacolo, ma oggi si è aperto un nuovo scenario che vede la luce, anche all’interno della macchina, come atmosfera, da cui genera una specifica qualità del tempo, dell’agire e del sentire, una materia sensuale. Questo il punto di incontro tra le estetiche di Audi e Marcel Wanders studio.
Così, attraverso differenti scenari luminosi il visitatore dell’Audi City Lab viene guidato in un percorso sensoriale. Da via della Spiga il progetto si sviluppa a partire dalla facciata dell’edificio, con la realizzazione di pannelli e colonne che attraverso una sorta di trompe-l’oeil danno un’idea di ripetizione infinita. Attraversata la soglia, l’ospite si trova in una “galleria della luce” che conduce in maniera informativa verso le macchine. Il tunnel è avvolto da tessuti con cui si è invitati a giocare insieme alla luce, creando la luce personale, intima, che al tempo stesso influenza ed entra in relazione con le ombre generate dagli altri visitatori, ribadendo il tema del FuoriSalone di quest’anno: creative connections. Chiave, portatore dell’esperienza e della visione di Wanders, ha saputo arricchire lo spazio di dettagli quasi impercettibili, come ad esempio i piccoli simboli – elementi estratti dai fari Audi e dalla loro tecnologia LED – che creano un fitto pattern sul tappeto e intessono un dialogo sottovoce con l’inconscio dell’utente, entrando in risonanza con immagini che appartengono al nostro immaginario, come “connessioni emotive che si rifanno alla memoria collettiva”.
Uno dei punti focali del design Audi è di ridisegnare la macchina in base a una stretta relazione con l’umano, avanzando in questo modo un concetto più umanistico della tecnologia. Elemento fondamentale di questa trasformazione è la luce. La forma esterna si sviluppa a partire dall’interno, come una sua diretta proiezione. Il progetto nasce allora dalla relazione intima con l’essere umano invece di precederla o imporla. Audi, insieme a Marcel Wanders studio, sposta di nuovo l’attenzione sul progettare strettamente intorno all’esperienza umana e al corpo come unità di misura di qualsiasi strumento e spazio atto a servirlo.
In fondo al tunnel, grazie a un gioco di specchi, si scorge poi l’immagine dei due più recenti esempi di mobilità elettrica di Audi: lo studio di design Audi A6 e-tron concept, in anteprima italiana, e Audi RS e-tron GT. Cemento, forme stilizzate, luci nette: l’hub che accoglie questi due modelli è pura linea geometrica, architettura intesa in tutto il suo essere progetto antropico che segna un netto passaggio dalla dimensione inconscia, irrazionale e fantasiosa a quella logica, coppia di opposti fondamentali per l’esistenza umana. Le macchine si mostrano circondate da cerchi di luce che, se da un lato rimandano a una sorta di interfaccia virtuale, dall’altro, pur non avendo matericità, pongono le macchine su veri e propri piedistalli, a sottolineare ancora una volta la grande potenza simbolica della luce, che al tempo stesso diventa elemento di scultura della macchine, ammorbidendosi nell’incontro con la loro superficie, unico elemento organico dello spazio. La luce, usata sapientemente, compie l’ennesima magia, permettendoci di vedere la realtà in maniera inedita e lasciandoci il piacere di una vera e propria scoperta: la visione di un futuro che è già diventato presente.