Il comitato Vogliamo l’acqua e il Cartello sociale di Agrigento alcuni giorni fa hanno inviato una lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, denunciando la situazione che da settimane vive la città di Agrigento, dove le case hanno acqua ogni 15 giorni, mentre in provincia si arriva fino a intervalli di 20. Il sindaco della città siciliana ha parlato della “peggiore emergenza idrica degli ultimi anni” e firmato un’ordinanza contro gli sprechi che vieta il prelievo d’acqua potabile per lavare marciapiedi, piazzali e auto, per innaffiare orti e giardini e per alimentare fontane ornamentali, vasche e piscine. Come riporta l’Ansa, ha dovuto poi autorizzare la circolazione di autobotti non autorizzate al trasporto conto terzi – cosa vietata fino a qualche giorno fa, per garantire la salubrità dell’acqua – per evitare che la tensione sociale esplodesse.
Ma è emergenza in tutto il Sud e, mentre i partiti di governo si occupano di altre “priorità”, nessuna regione può dirsi al sicuro davanti a una condizione, la siccità, che sempre di più rischia di farci scoprire cosa significhi soffrire la sete. Infatti, anche se periodicamente ce ne dimentichiamo appena arriva un nuovo acquazzone ad allagare i campi dell’Emilia Romagna o a far esondare il Seveso a Milano, a essere esposta a una siccità sempre più estrema è tutta l’Italia. Che, non a caso, è inserita tra i 21 hotspot di scarsità idrica da uno studio dell’Università di Utrecht pubblicato ad aprile e basato sui dati raccolti nel periodo 2010-2019, combinati con un’ampia ricerca bibliografica, grazie a cui sono stati individuati tra i maggiori responsabili della crisi idrica i cambiamenti climatici e delle precipitazioni, la crescita demografica e l’uso di acqua per industria, agricoltura e centri urbani. Tutti temi caldi in Italia, anche se non vengono affrontati dalla politica con particolare impegno, né tantomeno con urgenza.
La siccità è, in realtà, un fenomeno complesso, in cui bisogna distinguere quattro aspetti: la siccità meteorologica, che è una persistente carenza di precipitazioni, spesso accompagnata da alte temperature e bassa umidità; la siccità agricola, che si sviluppa quando la lunga assenza di precipitazioni fa seccare il suolo, causando stress idrico alle piante e riducendo così le rese delle colture; la siccità idrologica, che ne consegue, è una diminuzione del flusso dei corsi d’acqua e dell’accumulo nei bacini idrici; infine, la siccità socio-economica e ambientale che comprende l’insieme degli impatti derivanti dallo squilibrio tra la disponibilità della risorsa idrica e la domanda per la tutela degli ecosistemi terrestri e acquatici e per lo svolgimento delle attività economiche. In particolare, quindi, tra le cause della scarsità d’acqua si contano le infrastrutture idriche datate, che in Italia sono un problema enorme, con tubature danneggiate che provocano fino al 42% della dispersione dell’acqua immessa nei sistemi; a questo si aggiungono l’urbanizzazione, sempre in aumento con la cementificazione portata avanti in modo tanto estremo che il terreno cementificato in questi ultimi anni avrebbe permesso l’assorbimento di oltre 250 milioni di metri cubi d’acqua. Ad assorbire enormi quantitativi d’acqua – a livello globale è responsabile, secondo la FAO, dell’83% di tutti i danni causati dalla siccità – e allo stesso tempo subire le conseguenze della siccità è il settore agricolo, che nel 2022 in Italia ha perso circa 6 miliardi di euro di produzione. Ma anche altri comparti ne risentono, come quello energetico, a partire dall’idroelettrico, oltre alla biodiversità, erosa dall’aumento di incendi boschivi, che ogni estate puntualmente divampano in tutta l’Europa meridionale e che, proprio come la siccità, sono fenomeni ormai cronici.
Se è vero che nessuno è salvo, secondo le osservazioni dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) basate sulle rilevazioni degli Osservatori distrettuali permanenti per gli utilizzi idrici, in Italia si possono identificare grossolanamente una condizione idrica di relativa normalità che riguarda il Nord e parte della Toscana, una di severità bassa che riguarda il Sud, una di severità media nel Centro e in Sardegna e, infine, una severità alta per la Sicilia. Questa la situazione media annuale – che non allarma il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che di recente si è rallegrato che sia il Sud a soffrire la sete – in cui, però, emergono i mesi estivi, sempre più segnati dalle temperature estreme che fanno aumentare l’evaporazione e, quindi, il fabbisogno idrico dei campi, e da lunghi periodi di scarse precipitazioni, interrotti da fenomeni improvvisi e violenti le cui acque arrivano in quantità troppo elevate perché il terreno, impermeabilizzato dalla lunga siccità, possa assorbirle e farne scorta. A questo si aggiungono gli effetti delle scarse nevicate dell’inverno precedente, perché i cambiamenti nella dinamica della neve e dei ghiacciai e nell’andamento delle precipitazioni possono provocare carenze idriche in tutta Europa, tanto più marcate e frequenti dove la crisi climatica colpisce più forte. E l’Italia, ormai è risaputo, è tra queste, come vediamo, per esempio, dai danni che il comparto agricolo sta già subendo in questa estate, di cui siamo appena a metà: in Sicilia si stimano 2,7 miliardi di danni, mentre in Puglia ci si prepara già alla vendemmia e, complessivamente, in tutto il meridione sono rimaste riserve idriche per l’agricoltura per tre settimane, dopo le quali si inizieranno a contare le perdite, tanto più gravi se si considera il contributo determinante delle regioni del Sud alla produzione nazionale (e al valore delle esportazioni) di ortaggi e grano.
Se continua così – e i prossimi anni non promettono niente di meglio – dovremo cominciare a occuparci seriamente delle migrazioni climatiche, ma interne. Se si calcola che nel mondo nel 2040 un bambino su quattro vivrà in aree colpite da stress idrico elevato e che la competizione per le risorse idriche destinate alle attività produttive crescerà sempre più spesso fino a provocare conflitti, ne prossimi decenni il fenomeno potrebbe riguardarci sempre più da vicino. Non solo perché già nel 2021 i primi Paesi di origine delle persone approdate in Italia erano tra quelli più colpiti da siccità e alluvioni, due facce della stessa medaglia; ma anche perché presumibilmente sempre più persone si sposteranno al Nord Italia, abbandonando un Sud in cui le attività economiche diventano complesse e costose. Eppure, il governo e i media sembrano dimenticarsi che l’Italia non finisce a Roma e continuano a dare poca importanza a quello che succede sotto il 42° parallelo. E così, alla prossima alluvione che colpirà Milano, i negazionisti climatici saranno pronti a dire che non è vero che c’è siccità. Invece sappiamo che anche quel 74% dei disastri naturali che, al mondo, tra il 2001 e il 2018 sono stati in qualche modo legati all’acqua – siccità e inondazioni incluse – sono legati alla crisi climatica e che anche i nubifragi estremi, come l’aumento delle temperature, incidono sulla disponibilità di acqua dolce.
Già oggi al Sud la siccità sta incidendo sulla vita delle persone, non solo a un livello macroscopico, colpendo le attività produttive, ma modificando le loro abitudini quotidiane, dato che se non c’è acqua corrente in casa si è costretti, con i relativi costi e disagi, a ricorrere a quella in bottiglia, con ulteriori sprechi e inquinamento, di cui non abbiamo proprio bisogno. Ma con gli andamenti attuali dobbiamo aspettarci nei prossimi anni un’espansione verso nord dell’area che soffre più cronicamente le siccità estreme, fenomeno che, peraltro, è sempre meno limitato all’estate, come dimostrato dalla crisi idrica siciliana di inizio anno; si tratta di uno scenario di cui abbiamo avuto diversi assaggi negli ultimi anni, con le relative conseguenze, tra cui le perdite agricole tra il 20 e l’80% viste in Veneto e fino al 100% nelle province di Ferrara e Bologna; questo, soprattutto se la condizione delle montagne non cambierà, dato che l’illusione delle nevicate delle scorse settimane sulle Alpi sta lasciando spazio a temperature roventi, con lo zero termico tra i 4.000 e i 5.000 metri d’altitudine. La scarsa preoccupazione dimostrata per il Sud è, quindi, non solo l’ennesima espressione di un antimeridionalismo cronico di cui l’attuale governo sta raggiungendo dei picchi – e che, c’è da scommetterci, sarà rafforzato dalle conseguenze dell’autonomia differenziata – ma anche una prospettiva drammaticamente miope.
È urgente, quindi, una strategia di lungo termine e ampio raggio, che comprenda – come peraltro menzionato anche nel progetto interregionale Italia-Francia SeTe-Siccità e territorio – sia interventi strutturali sulle reti di distribuzione, oggi dei veri colabrodo, sia una pianificazione urbana attenta, che rivaluti il ruolo dell’onnipresente cemento e ottimizzi gli strumenti di stoccaggio delle acque piovane; e, ancora, un ripensamento delle attività economiche da privilegiare, a partire dall’agricoltura, scegliendo colture dal minore fabbisogno d’acqua e più efficienti perché destinate al consumo diretto, invece di nutrire gli allevamenti. Solo con un approccio vasto e radicale possiamo ridurre gli sprechi di una risorsa sempre più preziosa, che in Italia – come confermato dai dati del Centro Nazionale per la Sicurezza delle Acque – è in realtà di ottima qualità e sicura in quasi il 100% dei casi, nonostante il nostro ancora scandalosamente alto (seppure in diminuzione) amore per l’acqua in bottiglia, con tutto quello che ne consegue. Sarebbe un triste paradosso quello di morire di sete in un Paese circondato da tre mari, bagnato (in teoria) da 1 200 fiumi e sempre più colpito dagli acquazzoni, stringendo in mano una bottiglia di plastica.