A Goa, piccolo Stato costiero nell’India occidentale affacciato sul Golfo Arabico, per decenni gli hippie europei sono stati attratti dalla natura lussureggiante, dal basso costo della vita e dalla facilità nel procurarsi stupefacenti. Negli ultimi anni alle comunità hippie si sono sostituite quelle dei giovani indiani arricchiti che raggiungono Goa per spendere i loro soldi tra nightclub, spiagge e ristoranti. Il turismo sta creando non pochi problemi agli 1,5 milioni di abitanti, tra cui qualche frizione dovuta allo scontro tra la mentalità locale, aperta e abituata alla libertà di costumi hippie, e quella dei turisti provenienti dal nord dell’India, regione con una forte impronta tradizionale e conservatrice. Alle ripercussioni per il boom turistico, si è sommata la minaccia del carbone che Goa si trova ora ad affrontare. Un progetto del governo centrale indiano prevede infatti il raddoppio della linea ferroviaria, la trasformazione di una strada in un’autostrada a quattro corsie e la costruzione di una centrale elettrica per incentivare l’economia e i trasporti tra la regione di Goa e il resto del Paese, e per fare di Goa un hub del carbone, il combustibile fossile da cui dipende l’economia indiana.
Tra le conseguenze di questo progetto potrebbe esserci la scomparsa di 378 ettari di foresta e l’abbattimento di 40mila alberi, perché i tre progetti intaccherebbero il cuore naturale di Goa: il Parco nazionale di Mollem, con il santuario naturale di Bhagwan Mahaveer e le cascate di Dudhsagar. A essere interessata è un’area protetta di 240 chilometri quadrati, uno degli otto centri mondiali per la biodiversità dell’Unesco. Per questo gli attivisti ambientalisti, sostenuti dalla popolazione locale, che si è schierata contro l’iniziativa di Nuova Delhi, hanno portato il caso all’Alta corte di Mumbai e alla Corte Suprema. Il progetto, nonostante sia pianificato in nome dell’interesse pubblico e dello sviluppo di Goa, è di fatto imposto dal governo federale di Nuova Delhi senza alcuna consultazione pubblica e senza interpellare la popolazione locale. Per questo all’ultima protesta hanno partecipato oltre 8mila persone su una popolazione di appena un milione e mezzo.
Il piano si inserisce nel più ampio disegno del governo conservatore di Narendra Modi – accusato di approfittare della pandemia per annacquare le normative ambientali e per accelerare i progetti allineati alle sue politiche neoliberiste – di crescita economica a tutti i costi. Con una proposta di riforma delle normative sulle valutazioni di impatto ambientale delle infrastrutture, il governo di fatto legittima alcune violazioni, che potrebbero far avviare i lavori anche senza un nulla osta definitivo. A tutto questo si oppongono i movimenti ambientalisti, compreso il braccio indiano di Fridays For Future, mentre una lettera di protesta indirizzata al ministro dell’Ambiente è stata firmata da oltre 100 tra ricercatori, attivisti e membri di vari istituti per l’ambiente come il National Board for Wildlife, Project Tiger e il Forest Advisory Committee.
Il territorio di Goa è occupato in buona parte dai Ghati occidentali, una catena montuosa che attraversa cinque Stati dell’India peninsulare e considerata, con la sua vegetazione tropicale e le sue praterie montane, uno dei maggiori hotspot della biodiversità mondiale; il territorio del piccolo Stato indiano è poi arricchito da aree costiere e foreste di mangrovie, che contribuiscono a una ricchissima biodiversità vegetale dal fondamentale potere purificatore dell’aria, grazie al sequestro di anidride carbonica, e riducono l’impatto dei disastri naturali grazie all’assorbimento delle pioggie. Questa lussureggiante vegetazione è l’habitat delle specie animali di Goa, in una quantità inversamente proporzionale alle dimensioni dello Stato: dai grandi mammiferi, come tigri del Bengala, leopardi, pantere nere e gaur (il bisonte indiano simbolo di Goa), a quelli minori come i pangolini, a cui si aggiunge una grande varietà di insetti, uccelli, rettili e anfibi. Alcune di queste specie sono molto sensibili a mutazioni repentine dell’habitat come quelle che causeranno i tre progetti – approvati dal Comitato permanente del National Board for Wildlife guidato dal ministro dell’Ambiente Prakash Javadekar – che intaccheranno 170 ettari di terreni forestali protetti, frammentando i rifugi per la fauna selvatica e danneggiando la qualità del suolo e i serbatoi acquatici.
Nonostante tra le azioni per la mitigazione dell’impatto ambientale del progetto sia prevista la creazione di otto sottopassaggi per gli animali, a preoccupare sono la frammentazione di circa 128 ettari nella zona ecologicamente sensibile dei Ghati occidentali – causata dalla nuova ferrovia, nel cui piano non è previsto nessun corridoio di passaggio per le tigri – e la probabile scomparsa di specie endemiche della regione. La nuova strada, invece, frammenterà l’habitat della fauna selvatica, comporterà l’abbattimento di alberi di oltre 12mila specie diverse, e costringerà gli animali a spostarsi altrove a causa dell’inquinamento acustico. La linea di trasmissione di energia da Sangod a Goa, infine, preoccupa per l’abbattimento di oltre 4mila alberi endemici, ma anche perché i fili dell’alta tensione saranno tirati proprio dove volano i grandi uccelli della zona. Nel complesso, la perdita in termini di vegetazione ammonterebbe ad almeno 37mila esemplari. Il paradiso naturale di Goa è già funestato da problemi ecologici legati alle miniere (è lo Stato indiano che fornisce più ferro a tutto il Paese, ma abbondano anche le riserve di bauxite e manganese), talvolta illegali; problemi a cui ora si aggiungerebbero le emissioni di ossidi di azoto e di zolfo, idrocarburi e particolato. Tutte queste obiezioni non hanno impedito l’autorizzazione del Consiglio nazionale, con grande preoccupazione da parte della commissione che si occupa della salvaguardia della biodiversità selvatica di Goa. Ora, per avviare i lavori, manca l’autorizzazione ai sensi della legge sulla conservazione delle foreste per l’utilizzo di terreni forestali per scopi non forestali da parte del ministero dell’Ambiente. Un’autorizzazione quasi scontata. Per inseguire il progresso costi quel che costi, negli ultimi sei anni il ministero dell’Ambiente indiano ha approvato l’87% delle proposte ricevute, dando anche il via libera a più di 270 progetti nelle aree naturali protette, di cui alcuni dall’impatto enorme sulla vegetazione. Alcune di queste iniziative sono state rese possibili dalla modifica, nel 2018, della regolamentazione sulle zone umide, che ha aperto alle attività economiche aree prima protette. Oggi il triplice progetto di Goa – considerato vitale anche per gli spostamenti tra la regione e il resto del Paese – è parte del programma per trasformare l’ex colonia portoghese in uno snodo fondamentale del carbone e quintuplicare le importazioni del combustibile fossile da parte dei grandi gruppi industriali indiani, sostenitori fondamentali del legati al partito nazionalista indù al governo. L’India è uno dei Paesi al mondo più colpiti dall’inquinamento, atmosferico in primis, che qui provoca oltre un milione di morti all’anno, complici le emissioni industriali e dei cantieri che senza sosta costruiscono e abbattono edifici. Proprio i nuovi cantieri sono tra le motivazioni indicate come benefiche per la promozione di progetti come quello di Goa. I posti di lavoro creati, però, sono impieghi temporanei che non risolvono problemi sistemici come disoccupazione e povertà. E così si continua a costruire, con conseguenze devastanti.
Sovrappopolazione e urbanizzazione sfrenata, unite a uno sviluppo sociale caotico e con una distribuzione del benessere molto sbilanciata, sono il mix per fare esplodere i problemi ambientali di cui proprio la pandemia da Covid-19 è probabilmente una delle conseguenze più gravi. Di fronte a progetti come quello pianificato a Goa c’è da chiedersi se l’esperienza dell’ultimo anno è riuscita a mostrarci il confine tra progresso e autodistruzione. Intanto, un sunto spietato delle politiche del governo Modi sul clima arriva dalla classifica dell’Indice di Sostenibilità Ambientale 2020, che colloca l’India al 168° posto al mondo su 180 Paesi. Un dato che lascia poche speranze a chi lotta per impedire che Goa resti solo un ricordo nella mente di qualche attempato hippie.