Il 18 aprile 2002, mentre è in visita in Bulgaria, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi rilasciò una dichiarazione passata alla storia come “l’editto bulgaro”: da Sofia, il premier denunciò che il comico Daniele Luttazzi e i giornalisti Michele Santoro ed Enzo Biagi erano accomunati dal fare un “uso criminoso” del loro spazio in tv e sarebbero dovuti essere rimossi dai palinsesti. Il diktat venne recepito dai dirigenti Rai che, in breve tempo, chiusero tutti i rapporti di lavoro con i tre. In quei giorni, molti citarono il filosofo Karl Popper e la sua massima “Chi controlla l’informazione televisiva controlla la democrazia”, mentre Umberto Eco coniò l’espressione “regime mediatico.”
Enzo Biagi fu costretto a dire addio al suo programma Il Fatto. A scatenare l’ira di Berlusconi contro Biagi era stata un’intervista che non doveva avere nulla a che fare con questioni politiche, ospitata nella puntata speciale Serata d’onore con Roberto Benigni. Anche per la dichiarata appartenenza politica di Benigni, la conversazione scivolò presto sulla situazione italiana e sulle imminenti elezioni.
La parte oggi più attuale di quell’intervista è il finale, in cui Benigni prima disse: “Noi abbiamo in prestito questo mondo per i nostri figli, non è che l’abbiamo ereditato dai nostri padri” e poi, dopo aver baciato Biagi, lo convinse a urlare con lui agli italiani in ascolto: “Noi vi amiamo”. L’ultima immagine televisiva di Enzo Biagi fu a lungo il momento in cui esplose in una imbarazzata dichiarazione d’amore verso i suoi connazionali. D’altronde, nel provare a raccontare gli italiani, nessuno aveva dimostrato tanta partecipazione quanto il giornalista emiliano. Quando nel 2005 tornò negli studi Rai, invitato da Fabio Fazio, che si era rifiutato di sostituirlo dopo la cacciata, una delle frasi più ricordate di quel momento è “Sono contento di essere italiano: non per Fermi o per Marconi ma per l’umanità della mia gente che si rivela quando le cose vanno male. Noi siamo un grande popolo nei momenti difficili”.
Un grande popolo che, secondo Biagi, si poteva capire al meglio attraverso la televisione. Per questo il suo allontanamento dalla Rai gli fece così male: non credeva nella funzione educativa del mezzo, ma pensava che la televisione rimanesse “lo specchio della vita di un Paese.” A chiunque chiedeva cosa avrebbe fatto se fosse tornato sugli schermi, Biagi rispondeva che sognava di fare un seguito di Cara Italia, un programma che nel 1998 era stato un viaggio nelle città e nei luoghi più rappresentativi della Penisola: “Ho sempre amato questo Paese: è il mio. Anche se qualche volta lo trovo ingiusto. Il mio viaggio di otto anni fa è rimasto incompiuto; allora raccontai alcune città e alcune regioni, facendo parlare personaggi rappresentativi di quelle terre. Ma non ho raccontato la provincia”.
Il suo desiderio era quello di raccontare ogni angolo del Paese perché aveva lottato in prima persona per la sua libertà e unità. Sul finire della Seconda Guerra Mondiale, si era unito alla Resistenza e si era occupato di Patrioti, un giornale partigiano, ricordando poi con orgoglio il lascito di tale esperienza. Nel libro Quello che non si doveva dire Biagi non a caso disse che avrebbe voluto ricordare la strage della stazione di Bologna “sottolineando che si fosse trattato di una strage fascista”, mentre nel discorso con cui aprì la prima puntata del programma che segnò il suo ritorno in Rai nel 2007 fece un esplicito riferimento all’importanza del 25 aprile: “Per gli italiani è una data che è parte ormai essenziale della loro storia: hanno acquistato il diritto alla parola. In questi giorni si ricorda la Resistenza. Mi permetto di dirvi che non è storia passata. La Resistenza non è mai finita: per tanti italiani il mese ha una settimana in più, per alcuni poi, di Italia ce ne sono due o tre, non solo il Nord e il Sud, ma anche quella di chi è troppo ricco e di chi è troppo povero. Ma per noi di Italia ce n’è una sola: questa”.
Nonostante il grande amore verso il proprio Paese e i suoi abitanti, Biagi non poteva fare a meno di evidenziare anche i loro vizi. Una Nazione dove certe domande e determinate contraddizioni sembrano destinate a non venire mai superate. A inizio anni Duemila Biagi scriveva: “È brutto chiamare gli stranieri vucumprà o è anche un po’ affettuoso? Sono troppi, non sappiamo come sistemarli, ma non si potrebbe anche tentare di conciliare una regola giusta con un comportamento umano? Proprio noi che mandavamo in giro i nostri compatrioti con il passaporto rosso, niente tasse purché se ne andassero via, ammucchiati”.
In un’intervista rilasciata al collaboratore storico Loris Mazzetti, il giornalista ha citato Ennio Flaiano con la sua affermazione “Gli italiani corrono sempre in soccorso ai vincitori”; un aspetto del nostro carattere emerso più volte in quel secondo Novecento di cui Enzo Biagi è stato testimone. Quando si ritrovò a raccontare l’arresto di Enzo Tortora, mentre molti colleghi avevano già deciso la colpevolezza del presentatore, condannandolo per legami mai avvenuti con ambienti criminali, Biagi preferì scrivere un articolo il cui titolo era una domanda: “E se fosse innocente?”.
Quello per cui è maggiormente ricordato Biagi è però la sua grande abilità nelle interviste: per molti è stato il padre del faccia a faccia, e i suoi incontri con personaggi chiave del Novecento sono entrati nella storia del nostro Paese. Ciò che affascinava Biagi e i suoi ascoltatori era il lato umano dell’intervistato. Parlando di Enzo Ferrari, per esempio, disse: “L’ho sempre visto come un eroe del West: solitario, scontroso, difficile, ma ricco di umanità”.
Per capire cosa Biagi volesse trasmettere al pubblico attraverso i suoi confronti si può analizzare un video del 1982. Biagi è al telefono con Michele Sindona, banchiere passato da essere riconosciuto nel 1974 come “uomo dell’anno” dall’ambasciatore degli Stati Uniti a Roma alla condanna nel 1980 da parte di una corte federale di New York a 25 anni di carcere per 65 diversi capi di imputazione. Sindona parla al telefono dal carcere statunitense in cui è recluso e Biagi, per convincerlo a rilasciare quella che sarà una delle ultime interviste prima di venire ucciso gli dice: “Questo programma non è un’istruttoria giudiziaria, noi cerchiamo di spiegare delle cose alla gente che la gente non sa o non ha capito”, aggiungendo poi, di fronte alle resistenze di Sindona: “Per me che lei risulti grandissimo o piccolo, questa è una considerazione. Non me ne importa niente”.
Biagi aveva la capacità di mettere a proprio agio anche i criminali più pericolosi perché non dimenticava mai la loro dignità. Quando lo percepivano gli interlocutori, anche se erano serial killer come Giancarlo Stevanin, si aprivano e arrivavano addirittura a confessare le loro colpe in diretta tv. Con il boss Tommaso Buscetta Biagi ebbe un rapporto stretto, e fu lui a opporsi alla definizione di “primo pentito” per il mafioso la cui storia è stata portata al cinema da Marco Bellocchio nel film Il traditore: dalle testimonianze dei loro incontri è infatti chiaro come Buscetta fosse piuttosto qualcuno “che ha parlato, anche se non aveva convenienza, quando ha visto il fallimento della struttura in cui credeva”.
A Masino Buscetta Biagi dedicò anche la biografia del 1986 Il boss è solo. A distanza di dieci anni, il giornalista ne dedicò una a tutto un altro genere di protagonista della storia recente italiana. Nel 1996 uscì infatti La bella vita, dedicata all’attore Marcello Mastroianni. Tra le sue pagine emerse il lato più sensibile e fragile di Mastroianni, che, ormai spossato da un tumore al pancreas, confessò di voler interpretare un Tarzan anziano, una maschera in cui forse si rivedeva perché da vecchio anche l’eroe popolare “non conta più nulla. Nessuno lo rimpiange più”.
Biagi, con domande brevi e concise, era in grado di far emergere le debolezze e la parte più intima di intellettuali come Pier Paolo Pasolini, che a lui disse: “La mia psicologia mi porta a deragliare dai codici, da qualunque codice”. Un comportamento che secondo lui nasceva da traumi infantili e che lo faceva cadere spesso nello sconforto. In poche frasi Biagi restituì forse il ritratto più sincero dell’uomo dietro l’artista: “Pasolini cerca di sfuggire, credo, dalla mediocrità e dalle minacce che incombono, ma soprattutto da se stesso. Ha conservato la forza dell’innocenza. O il rimpianto. No, non è un paradosso”.
Enzo Biagi disse per la prima volta di voler fare il giornalista in un tema scritto alle scuole medie. Lo vedeva come un “vendicatore capace di riparare torti e ingiustizie” e, per quanto possibile, mostrò davvero con il suo lavoro tante zone d’ombra della società. Resta storica un’occasione nel 1985, in cui pose la stessa domanda al sottosegretario agli Affari Esteri Susanna Agnelli, a Nilde Iotti (prima donna nella storia d’Italia a ricoprire la presidenza della Camera dei deputati) e a Tina Anselmi (prima donna ad aver ricoperto la carica di ministro della Repubblica italiana): “Sono i partiti che non favoriscono l’ingresso in politica delle donne o sono le donne stesse a non persistere nel perseguire tale obiettivo?”. Nonostante avessero idee politiche diverse, le tre interpellate risposero alla stessa maniera: il timore per la durezza della selezione, effettuata da uomini e decisa da meccanismi interni di partito, faceva allontanare molte donne dalla politica.
Dopo cinque anni di allontanamento forzato, Enzo Biagi tornò alla fine a occupare il suo spazio nei palinsesti Rai con un programma che riprendeva il titolo dalla sua prima esperienza televisiva. RT Rotocalco televisivo si aprì con uno monologo in cui il conduttore a un certo punto affermò: “Ci sono momenti in cui si ha il dovere di non piacere a qualcuno, e noi non siamo piaciuti.” Se fosse ancora vivo, Enzo Biagi avrebbe festeggiato cento anni il 9 agosto 2020. Oggi è riconosciuto come uno dei più grandi giornalisti della storia, anche da colleghi con idee e un approccio molto diverso alla professione dal suo. Enzo Biagi fu estromesso dalla televisione perché convinto che non si potesse raccontare nessuna storia senza un punto di vista, un’idea scomoda per molti in tutte le epoche e a tutte le latitudini. Quando si ripresentò di nuovo in tv fece una sola promessa: non avrebbe mai detto una bugia. Tutti i suoi spettatori sanno che ha mantenuto quella promessa.