“Sono appena tornato dalla Polonia, dove ho partecipato alla Marcia per il Giorno dell’indipendenza. Non mi importa davvero dell’indipendenza polacca e la Polonia sembra stia abbastanza bene senza che me ne preoccupi. No, più di ogni altra cosa, sono andato là per incontrare i giovani Identitari di tutta Europa che sono venuti per la manifestazione”.
Queste sono le parole con cui Vincent Law, uno dei fondatori del sito AltRight.com, ha invocato una sorta di mega-mobilitazione della nuova destra. Il suo editoriale descrive una situazione politica attuale dove c’è spazio per un nuovo cameratismo e dove le destre radicali riacquistano la capacità di dialogare oltre i confini nazionali. “C’è abbastanza spazio per talentuosi e ambiziosi attivisti tra i ranghi della Alt-Right e degli altri movimenti identitari in Europa,” scrive. Poi aggiunge: “FARETE la storia”. Qualunque cosa significhi.
AltRight.com è un portale nato il 16 gennaio 2017 per tenere insieme “i migliori scrittori e analisti dell’Alt-Right in Nord America, Europa e intorno al mondo”, come si legge nell’home page del sito. La manifestazione in questione era la marcia dei suprematisti bianchi a Varsavia, l’11 novembre, in onore dell’indipendenza polacca. E secondo quanto raccontato dagli inviati sul posto, c’erano 60mila persone.
Ormai da anni, l’appuntamento nazionale polacco si è trasformato nel meeting europeo della Alt-Right, la destra alternativa mondiale, di cui gli Identitari sono una delle componenti principali. Non si tratta di un movimento strutturato politicamente, ma di una tendenza mondiale, di una sorta di aggregato cultural-socio-politico che si riconosce in alcuni tratti. Il primo è la razza bianca: l’Alt-Right e i suoi addentellati riconoscono ai bianchi una superiorità morale, sociale e politica nel mondo, perché così ci ha detto la storia e così questa si ripeterà. Il secondo è la radice cristiana della cultura: qualsiasi “altro” – specialmente se ci riferiamo all’Islam – è un nemico venuto per conquistare ciò che è nostro. Non esiste margine per l’integrazione, e l’assimilazione culturale è una sconfitta. Il terzo è poi il concetto di famiglia tradizionale: l’orientamento sessuale non è “libero” e gli omosessuali sono contro natura. Altrimenti chi la porta avanti la specie?
Nel video di presentazione del sito AltRight.com viene ripetuto ossessivamente il claim “diventa chi sei”. Voce narrante è Richard Bertrand Spencer, americano di Boston, classe 1979, anello di congiunzione tra questa destra razzista e radicale e il presidente Donald Trump. Steve Bannon, il suo ex consigliere, era il punto di riferimento di Spencer tra gli alti papaveri della Casa Bianca, fino a quando non è stato allontanato da Trump ad agosto, dopo aver rilasciato un’intervista che non gli è piaciuta. Il video è una produzione del National Policy Institute, il think tank fondato proprio da Spencer. AltRight.com nasce e cresce principalmente nel contesto americano e trova nella visione del repubblicanesimo di Trump – ben poco ortodossa, capace di frantumare il partito nella corsa alle presidenziali – l’humus d’origine e il terreno ideale su cui attecchire.
Per l’Europa, invece, destra alternativa significa soprattutto movimento identitario. Anche in questo caso, non si tratta di una formazione politica, a parte nel caso della Francia, Paese che nel 2003 ha dato i natali al Bloc Identitaire, formazione alla destra del Front National di Marine Le Pen. Nove anni dopo, dal Bloc si è generato lo “spin-off” più hipster e accattivante: Generation Identitaire, movimento che si definisce apartitico che professa la chiusura delle frontiere per preservare l’identità d’Europa dalla contaminazione islamica portata dai migranti che arrivano con i barconi. “Se non chiudiamo le frontiere, tra vent’anni non ci saranno più europei da difendere,” mi diceva, a luglio, Lorenzo Fiato, presidente di Generazione Identitaria in Italia e parte della missione Defend Europe.
Partita in estate su una nave chiamata C-Star, Defend Europe aveva il compito di monitorare le operazioni delle Ong e riportare i migranti salvati in Libia o Tunisia. Con pochi risultati. Eppure il gruppo si è guadagnato il successo, così come l’introduzione del codice di condotta delle Ong. La storia dell’imbarcazione è diventata una barzelletta sui social: salvata proprio da un’ong (Sea-Watch) l’11 agosto, dopo essersi ufficialmente conclusa ad agosto, ha abbandonato otto membri dell’equipaggio cingalesi al porto di Barcellona, senza paga e costretti alla fame.
Quella grottesca missione, però, ha comunque permesso agli Identitari di conquistarsi uno spazio sui media di tutta Europa con un argomento che fa tanta presa. Un buon Identitario infatti, deve “fare paura ai suoi avversari ma non fare paura a sua nonna,” dice Philippe Vardon, uno dei fondatori del Bloc Identitaire.
Non c’è dubbio che questa “destra del risvoltino” voglia apparire cool anche nel look. Giacche militari e completi che ricordano i gerarchi delle SS diventano agghindamenti fascio-nazi, la lambda ispirata agli antichi lacedemoni si trasforma in un brand adatto al battage sui social network: innocente, nonostante sia il simbolo degli spartani alla battaglia delle Termopili. Il pantalone a sigaretta girato all’altezza della caviglia, la rasatura coperta con ampio ciuffone intriso di gel, la t-shirt un po’ stretta con qualche scritta sopra e gli occhiali dalla montatura spessa un po’ vintage sono gli altri elementi iconici che contribuiscono all’immagine del fascio-hipster. Il quale si definisce oltre le ideologie e afferma di non avere nulla da spartire con le rivendicazioni “passatiste” del nazi-fascismo. Per quanto costola di un movimento neo-fascista, infatti, il movimento identitario rivendica nel proprio pantheon di loro intellettuali due figure, entrambe italiane, che hanno ispirato l’una il fascismo e l’altra il comunismo, seppur in versioni poco ortodosse: l’aristocratico romano Julius Evola e il filosofo sardo Antonio Gramsci.
“Penso che abbiano guadagnato l’attenzione dei media combinando un modo di comunicare abbastanza moderno con messaggi nazionalisti e spesso razzisti,” commenta Swen Hutter, research fellow dell’European University Institute di Firenze, scienziato politico che studia partecipazione e conflitto politico. Tuttavia, non sovrastimerei la loro influenza nella politica al momento”. Per quanto possano sembrare tanti, i 60mila in Polonia sono comunque un’esigua minoranza. Ciò che importa a Hutter, semmai, è il modo in cui stanno interpretando il conflitto politico dell’Europa di oggi, particolarmente calato in temi come l’immigrazione e l’integrazione europea. “Credo che le questioni connesse all’identità o alla cultura siano diventate sempre più importanti negli ultimi decenni nella strutturazione del conflitto politico e nel comportamento politico degli individui durante questi ultimi decenni,” aggiunge. In sostanza, con l’immigrazione di massa lo scontro ha trovato la propria arena nei confini: da un lato ci sono quelli che li vogliono aprire, dall’altro quelli che li vogliono sigillare per il bene dell’identità europea, che percepiscono minacciata, come spiega il ricercatore, dalla globalizzazione e dall’integrazione.
A destra “vediamo senza dubbio che movimenti e partiti che formulano un’alternativa nazionalista e una visione “nativista” della società sono in crescita”, aggiunge. E la loro visione è appunto in contrasto con chi vuole un’Europa cosmopolita e senza frontiere: “L’identità non è uno strumento o un brand usato solo dalla destra,” precisa Hutter.
Immigrazione e identità europea sono campi di battaglia che per altro hanno portato anche l’Unione Europea a frantumarsi. Il nemico è sempre la Commissione Europea, criticata da un lato per le politiche migratorie troppo restrittive e dall’altro, invece, per aver permesso fino ad oggi “l’invasione”. A differenza dei primi, gli interpreti di quest’ultimo pensiero governano. Un particolare che potrebbe rendere pericolosi gli Identitari.
I Paesi in cui l’identitarismo è maggioranza sono Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, i Paesi che formano il Gruppo di Visegrad, alleanza nata nel 1991 volta a creare una maggiore cooperazione economica nella regione, inizialmente con lo scopo di creare un’Europa più democratica dopo la caduta del muro di Berlino. Ma Visegrad è anche il nome della città ungherese dove nel 1335 i quattro regnanti dell’epoca si incontrarono per disegnare delle nuove rotte commerciali che evitassero il centro di Vienna, la capitale del Sacro Romano Impero, una sorta di Bruxelles dell’epoca. La simbologia del nome infatti è chiara: il Gruppo di Visegrad, solo con la sua esistenza, è una dichiarazione di guerra all’Europa di Bruxelles. E i quattro Paesi sono i principali promotori dell’Europa delle piccole patrie, dei confini nazionali, del protezionismo economico, della chiusura delle frontiere.
Il presidente ungherese Viktor Orbàn è forse il più grande interprete del pensiero identitario: “Non c’è identità culturale nella popolazione senza una stabile composizione etnica. L’alterazione dell’etnia di un Paese equivale all’alterazione della sua identità culturale,” diceva in un discorso tenuto in Romania il 24 luglio. A maggio, i gruppi di sinistra dell’Europarlamento hanno fatto passare una risoluzione per l’attivazione del famigerato articolo 7 del Trattato dell’Unione, il quale prevede la possibilità di comminare sanzioni e togliere il diritto di voto in sede di Consiglio nel caso in cui un Paese membro non rispetti i diritti umani e i valori fondanti dell’Europa unita. Colpa della riforma costituzionale di Budapest con il quale Orbàn si è dato un potere illimitato.
L’indagine e la scrittura della risoluzione contro l’Ungheria è stata affidata alla Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni (Libe) del Parlamento europeo. Il 6 novembre, però, è stato deciso in una commissione a porte chiuse di non mandare la missione a Budapest. Arriverà comunque la risoluzione del Libe, ma bisogna vedere quanto sarà approfondita ed efficace. Nel frattempo, è stata introdotta una misura simile anche nei confronti della Polonia, colpevole di riforme che hanno minato l’indipendenza della magistratura. C’è stata una reazione immediata dell’Ungheria, che ha definito la procedura “scandalosa”, dichiarando il suo voto contrario in ogni sede
In questo scenario, chi ci guadagna sono gli Identitari. Che sognano in grande. L’obiettivo numero uno ora è vincere la sfida contro Bruxelles. E l’Unione Europea non sembra pronta per affrontare lo scontro.