Come il governo Conte ha patrocinato una lobby che vuole la pena di morte per gli omosessuali
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Aggiornamento del 12 marzo 2019, ore 17.38

L’ufficio stampa di Palazzo Chigi, nella persona di Massimo Prestia, ha comunicato quanto segue:

“Premettendo che la concessione del patrocinio e l’utilizzo del logo della Presidenza del Consiglio sono state frutto di un’iniziativa del ministero della Famiglia, Palazzo Chigi ha chiesto al Dipartimento per le politiche della famiglia (cui fa capo il ministero di Fontana, ndr) e al dipartimento dell’editoria un supplemento di istruttoria per verificare la totale assenza di lucro che, come invece è stato fatto notare, sembrerebbe esserci dato che è previsto un biglietto a pagamento.”

Prestia ha quindi smentito la notizia della revoca del logo al Congresso.

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In seguito alla pubblicazione dell’articolo Il congresso contro le “donne lavoratrici” e i diritti LGBTQ+ è in Italia, firmato da Jennifer Guerra, si è accesa la polemica sul patrocinio del governo concesso al World Congress of Families, in programma dal 29 al 31 marzo a Verona. Com’è possibile, ci si è chiesti, che il governo appoggi e promuova la convention di una lobby con un budget annuale di 216 milioni di dollari, che lega le associazioni pro-life italiane (CitizenGo, ProVita, Comitato Difendiamo i Nostri Figli, Generazione Famiglia), con la Russia e con l’estrema destra italiana, che è stata definita “hate group” da varie associazioni che si occupano di diritti umani, che crede che le donne lavoratrici, il divorzio e l’omosessualità siano la causa del declino della “famiglia naturale”, e che ospiterà personaggi che sostengono la pena di morte per gli omosessuali?

La cosa ha dell’incredibile, anche perché in una nota, Palazzo Chigi ha precisato che “La Presidenza del Consiglio non ha mai ricevuto nessuna richiesta di patrocinio per il ‘World congress of families’, in programma a fine marzo a Verona, né quindi ha potuto mai concederlo. Si tratta di una iniziativa autonoma del ministro per la Famiglia Lorenzo Fontana, attraverso procedure interne agli uffici e che non hanno coinvolto direttamente la Presidenza del Consiglio”. La nota è stata lo spunto per la presa di posizione dei sottosegretari Cinque Stelle Stefano Buffagni e Vincenzo Spadafora, che hanno condannato l’iniziativa in quanto portatrice di ideologie medievali. Spadafora ha anche dichiarato di aver scoperto che “Il patrocinio era firmato dal capo di gabinetto del ministro e non aveva seguito i percorsi che formalmente si seguono quando viene richiesto il patrocinio della presidenza del Consiglio. Generalmente, queste pratiche devono essere autorizzate non da una capo di gabinetto ma dalla dirigenza della presidenza del Consiglio”. 

Stefano Buffagni

Tutto molto, troppo strano, tanto che Giuditta Pini, deputata del Pd e firmataria di un’interrogazione parlamentare rivolta alla Presidenza del Consiglio depositata il primo marzo, in un commento su Facebook ha dichiarato: “La smentita di Palazzo Chigi, o meglio di Spadafora, semplicemente non ha senso. La Presidenza del Consiglio dei ministri ha un iter preciso per i patrocini, non è che un ministro prende e regala il patrocinio.” Eppure, è esattamente quello che pare sia successo.

Giuditta Pini

Jacopo Coghe, contatto da The Vision, ha infatti ribadito di avere tutta la documentazione in ordine, con tanto di numero della pratica – che però non ha voluto condividere con noi. Abbiamo allora provato a contattare il capo di gabinetto del ministro Fontana, Cristiano Ceresani, che però non ha voluto rilasciare dichiarazioni, come del resto nessuno dal Ministero. Purtroppo anche il sottosegretario Spadafora non ha voluto fornire ulteriori chiarimenti. Avremmo voluto domandargli come è possibile che sia venuto a conoscenza della vicenda solo “un paio di settimane fa” se già il 5 febbraio l’onorevole Emma Bonino aveva depositato un’interrogazione parlamentare – la prima – sulla vicenda. Avremmo avuto bisogno di qualche dettaglio in più riguardo la documentazione dal lui analizzata, ma per ogni delucidazione il sottosegretario ha preferito rimandarci al Dipartimento del Cerimoniale di Stato, che si occupa proprio della concessione dei patrocini. 

Vincenzo Spadafora

In base alla circolare UCE 0000901 P-2.11.1.2 del 16/02/2010, le richieste volte a ottenere la concessione del patrocinio della Presidenza del Consiglio devono essere preventivamente inviate al Dipartimento del Cerimoniale di Stato “Che effettuerà un’istruttoria al fine di una valutazione comparativa circa la validità della manifestazione, l’affidabilità, la serietà dell’organizzatore e dei promotori”, avvalendosi anche del parere delle prefetture. L’iter è contraddistinto da una certa cautela, ed è la stessa circolare a spiegarne il motivo: la concessione è infatti vincolata “all’alto rilievo culturale, sociale, scientifico, artistico, sportivo” dell’iniziativa e, soprattutto, “all’assenza di scopi o finalità commerciali”. La mancanza di lucro è dirimente, tanto che si specifica che “non si considera opportuno fornire adesioni e concedere patrocini ad iniziative che abbiano, anche indirettamente, un fine lucrativo”. 

Deve essere chiaro che in base a queste prerogative il WCF di Verona non avrebbe mai potuto ottenere il patrocinio: è infatti promosso da organizzazioni fondate sull’omofobia e sulla misoginia, prima tra tutte il WCF stesso: un gruppo d’odio che fra le sue fila può vantare numerosi personaggi condannati per aver rilasciato dichiarazioni omofobe e razziste, nonché firmatari di leggi che criminalizzano l’omosessualità. Un evento che farà salire sul palco Lucy Akello, ministra ombra per lo sviluppo sociale in Uganda, che vorrebbe reintrodurre la pena di morte per le persone gay, o la nigeriana Theresa Okafor, una sostenitrice della famiglia naturale convinta che gli attivisti LGBTQ+ cospirino con il gruppo terroristico Boko Haram. 

E che dire del fine lucrativo? Non solo l’evento è promosso da una lobby con un budget annuale di 216 milioni di dollari, ma per di più la convention di Verona non è né gratuita né aperta a tutti, ma prevede il pagamento di un biglietto di 15 euro a persona, 7 a persona invece per i membri di una famiglia. Sul sito si possono addirittura comprare una serie di pacchetti per il soggiorno veronese, che vanno dal “Bronze” da 280 euro fino al “Platinum” che, alla modica cifra di 1250 euro, comprende tre notti in un hotel a 5 stelle per due persone, servizio di limousine da e per l’aeroporto o la stazione e accoglienza Vip. Non è dato sapere a chi andranno gli introiti dell’evento, ma con tutta probabilità il lucro c’è, e si vede.

Lorenzo Fontana

Quanto detto rende evidente come, con ogni probabilità, dall’istruttoria del Cerimoniale sarebbe scaturito un parere negativo. Ma ecco l’escamotage: la circolare prevede un caso in cui tale istruttoria non viene attivata: “Qualora le richieste provengano da organismi ad alta rappresentatività o da strutture pubbliche“ i singoli Ministeri e i Dipartimenti della Presidenza del Consiglio dei ministri “possono accordare direttamente patrocini ed adesioni ministeriali nelle materie di propria competenza senza il preventivo nullaosta del Dipartimento per il Cerimoniale”. Ed è a questa particolare fattispecie che sarebbe ricorso il ministro Fontana, come sembra confermare lo stesso Cerimoniale, che ha anche specificato una volta di più che a loro non è pervenuta alcuna richiesta. 

Il ministero avrebbe quindi potuto far passare come organo ad “alta rappresentatività” (termine che si riferisce solitamente ad associazioni di categoria come i sindacati) una lobby statunitense, e così concedere di “personale iniziativa”, e senza consultare altri organi, il patrocinio. Tutta la faccenda assume toni ancora più foschi se si considera la ragione per cui si è potuto utilizzare il logo della Presidenza del Consiglio. Normalmente infatti, per la concessione del logo è necessaria un’ulteriore trafila, che coinvolge il Dipartimento per l’informazione e l’editoria (Die). Ma non in questo caso, e la motivazione, nella sua assurdità, è tipicamente italiana: il Ministero della Famiglia e dei Disabili infatti è stato creato ad hoc da questo governo, e fa parte del Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio. Non ha portafoglio e non ha un suo logo, per questo gli è concesso utilizzare quello della Presidenza. 

Ricapitolando, oggi il WCF può godere del patrocinio del governo – fino a prova contraria questo ministero fa parte dell’esecutivo – e del logo di Palazzo Chigi perché il ministro avrebbe sfruttato una “falla burocratica” che ha fatto sì che nessuno si interessasse e controllasse sia la natura degli organizzatori sia i fini, economici e culturali, dell’iniziativa. 

Se così fosse, non ci sarebbe di che sorprendersi. Lorenzo Fontana starebbe semplicemente facendo quello per cui sembra sia stato messo lì, e cioè fare lobbying per curare gli interessi della Lega e dei gruppi pro-life. Non a caso tra gli sponsor del WCF di Verona ci sono anche Generazione Famiglia, Comitato Difendiamo i Nostri Figli e ProVita Onlus, vicinissime alla Lega e a Lorenzo Fontana. Ma sono estremamente vicini anche a un altro personaggio, il senatore Simone Pillon – creatore del gruppo interparlamentare “Vita, famiglia e libertà”, di cui fa parte anche Massimo Gandolfini, presidente del Family Day, ma soprattutto promotore dell’insostenibile Ddl su affidi e divorzi. 

Massimo Gandolfini

Si è già avuto modo di analizzare il modus operandi della lobby WCF, basato sulle pressioni esercitate non solo sull’opinione pubblica, ma anche sugli organi politici e statali, in occasione di votazioni riguardanti leggi o mozioni sui temi a loro cari. Come quando qualche giorno prima dell’approvazione della legge “anti propaganda gay” in Russia, l’attuale presidente del World Congress of Families Brian Brown ha testimoniato in favore di queste leggi a Mosca, di fronte alla Duma. È successa la stessa cosa proprio a Verona in occasione della mozione anti-aborto: il 2 ottobre Brian Brown è passato dal capoluogo veneto, dove insieme con Jacopo Coghe del Comitato Difendiamo i Nostri Figli, e Toni Brandi, sono passati a trovare il sindaco Federico Sboarina, e il consigliere della Lega Alberto Zelger, promotore della mozione anti-aborto che prevede il finanziamento di associazioni “a favore della vita”. Il 4 ottobre 2018, il consiglio comunale di Verona ha approvato la mozione. Lo stesso giorno il ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini dava ufficialmente il suo appoggio al WCF di Verona.

In questo periodo i parlamentari si stanno occupando proprio di un disegno di legge molto caro alla compagine pro-life. Il 23 ottobre infatti è iniziata in commissione Giustizia al Senato la discussione sul Ddl Pillon. Essendo sede redigente, la Commissione può fare tutto il lavoro sulla legge, emendandola, esaminandola e poi votandola articolo per articolo. Quale momento migliore allora per una convention internazionale organizzata proprio dalle lobby e dalle associazioni che appoggiano quella politica, soprattutto se può vantare il patrocinio del governo e il logo della Presidenza del Consiglio dei ministri?

C’è poi un altro aspetto, ancora più oscuro. Se in questa vicenda risultano evidenti gli interessi politici della Lega – il partito di Salvini da anni è strenuo difensore della “famiglia tradizionale”, oppositore delle leggi sull’aborto e di qualsiasi norma preveda un allargamento dei diritti anche in direzione LGBTQ+ – c’è una figura che lascerebbe intravedere ulteriori scenari: Alexey Komov. L’ambasciatore del World Congress of Families e presidente onorario dell’Associazione Culturale Lombardia Russia di Luca Savoini è uno stretto collaboratore di Konstantin Malofeev, l’oligarca russo titolare del fondo d’investimento Marshall Capital Partners e socio della più grande compagnia telefonica del Paese. Dall’inchiesta sui finanziamenti illeciti alla Lega, pubblicata in questi giorni su L’Espresso, proprio Komov risulta essere il collegamento fra il partito di Salvini e Malofeev, che tra le altre cose è anche sospettato da Stati Uniti e Unione europea di aver finanziato la conquista della Crimea e la guerra nel Donbass, e per questo è stato inserito nella black-list del Tesoro statunitense e del Consiglio d’Europa.

Tutta la storia del World Congress of Families è sì assurda, grottesca, a tratti paradossale, ma del tutto prevedibile. Era abbastanza prevedibile infatti che un politico con le posizioni di Fontana una volta al governo si comportasse in questo modo. Era prevedibile che la Lega facesse entrare dalla porta principale organizzazioni fondate su ideali tipici dell’Inquisizione. E purtroppo era anche prevedibile che questo governo concedesse il proprio patrocinio a un tale scempio. Ovunque tranne che in Italia, sarebbe prevedibile anche che il governo ritirasse quel patrocinio e quel logo. Ma siamo in Italia, e prevedibilmente questo non accadrà.

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