Quando sento un multimilionario parlare dei problemi che non lo riguardano, come per esempio tirare la cinghia per arrivare alla fine del mese, mi rendo conto di come il punto non sia la ricchezza in sé, ma una percezione totalmente sfasata del mondo reale, quello fuori dalla propria “gabbia dorata”. Questo avviene anche quando si sforza di capire i sacrifici di chi ha un portafoglio decisamente meno gonfio e, con un impeto tanto dirompente quanto goffo, si lancia in un’arringa sociale che conferma ancora di più la contrapposizione tra i due mondi.
È successo qualche giorno fa a Flavio Briatore, quando nel corso di una puntata del podcast 2046 si è chiesto come possa fare una famiglia con due stipendi a sopravvivere con 4000 euro al mese, aggiungendo: “Sono questi i veri eroi”. Non so se in Briatore ci sia malafede o se sia dissociato dalla realtà, ma nel 2024 una coppia che porta a casa 4000 euro al mese purtroppo non è composta da eroi ma, dati sull’occupazione e sui salari alla mano, da eccezioni, da intendersi in positivo.
Secondo l’Istat, vengono considerati “poveri assoluti” i cittadini che non possono permettersi le spese basilari e condurre una vita accettabile. Se nel 2005 il 3,3% degli italiani versava in questa condizione, i più recenti rapporti ci dicono che adesso siamo arrivati al 9,7%, ovvero 5 milioni e 674mila poveri assoluti. Le cause possono essere molteplici: la crisi economica del 2008, la pandemia, l’inflazione e gli errori della classe politica. Sta di fatto che un italiano su dieci non riesce a vivere una “vita accettabile”. Per gli altri nove non ci sono i fuochi d’artificio.
Intanto Briatore sbaglia quando dà per scontato che in una coppia con figli entrambi i genitori abbiano un contratto a tempo indeterminato o comunque un lavoro full time. Secondo l’Istat, in una coppia con figli con la madre tra i 25 e i 64 anni soltanto nel 27% dei casi entrambi i genitori lavorano a tempo pieno. Il Censis inoltre rivela che, in Italia, una donna lavoratrice su tre passa dal tempo pieno al part time dopo essere diventata madre. Un’altra statistica che delinea questo quadro è quella delle ore al giorno dedicate a quelli che l’Istat considera “lavori domestici non retribuiti”. 2 ore al giorno per gli uomini, 5 ore al giorno per le donne tra i 20 e i 74 anni. Tradotto: per le dinamiche del mondo del lavoro e per retaggi culturali della società patriarcale, nel 73% dei casi in una famiglia italiana non c’è la doppia occupazione a tempo pieno, e dunque già da qui si percepisce come quei 4000 euro al mese citati da Briatore siano una chimera.
Nonostante alcune statistiche dell’Istat e diversi studi a riguardo, è pressoché impossibile definire con esattezza quanto guadagni in media un cittadino italiano. Intanto perché la tara va fatta considerando la differenza tra contratti a tempo determinato e indeterminato con datori di lavoro privati, dipendenti pubblici e partite iva, e soprattutto la piaga che maggiormente affligge il nostro Paese: il lavoro irregolare. Quest’ultimo sfasa inevitabilmente ogni statistica, e soprattutto al Sud impedisce di far capire allo Stato quale sia la reale occupazione di un cittadino e il suo salario. Possiamo affermare, secondo i dati OCSE, che lo stipendio medio di un insegnante di scuola media e superiore si assesta tra i 1400 e i 1700 euro netti al mese a seconda delle ore della cattedra assegnata, quello di un commesso al supermercato sui 1200, la stessa cifra di un operaio. Tra le professioni più praticate abbiamo anche il bancario con la media di 1500 euro al mese, l’ingegnere con 2000 e l’infermiere con 1700. Se per un insegnante statale abbiamo qualche certezza in più, sull’operaio dobbiamo mettere un asterisco, considerando che magari ci sono quelli che prendono 900 euro al mese in nero e sono invisibili per tutti gli enti statali. Anche bilanciando tutto questo insieme contorto di dati, la cifra sparata da Briatore non rispecchia la realtà del Paese.
A questo dobbiamo aggiungere inevitabilmente una riflessione: gli italiani Under35 sono gli unici nell’Unione Europea ad avere stipendi inferiori a trent’anni fa. Il tutto mentre il costo della vita si è alzato e non di poco, e non va di pari passo con l’aumento dei salari. L’inflazione negli ultimi vent’anni ha portato gli italiani a non poter più sostenere un tenore di vita da ceto medio, quindi una vita “normale” e non da nababbi, se anche il prezzo di un semplice tramezzino al bar con l’inflazione è aumentato del 198% nell’ultimo ventennio. Restiamo consumatori senza avere più le risorse per potercelo permettere.
Come detto, due stipendi da 2000 euro al mese in una famiglia vuol dire due eccezioni che escono dalla media italiana supposta. Il discorso si espande se sottolineiamo che esistono differenze sostanziali tra i salari al Nord e al Sud – una forbice fino all’11% – e tra uomini e donne – con quest’ultime che guadagnano in media, sempre secondo l’Istat, il 15% in meno rispetto agli uomini. È quasi pleonastico sciorinare questi numeri, visto che chiunque può accorgersi delle difficoltà degli italiani semplicemente guardandosi intorno. Posso già prevedere i commenti di qualche lettore, l’accusa per il solito papello da comunista contro un famoso imprenditore, reo di essere ricco. Ma io non me la prendo con Briatore per il suo conto in banca, ma per la boria con cui sentenzia su ogni argomento usando lo scudo della sua ricchezza, per la cafonissima ostentazione dietro ogni sua parola. Siamo nell’era del libero mercato, arrivo anche ad accettare che metta in commercio una pizza a 68 euro o che faccia pagare 600 euro al giorno per una tenda nel suo lido.
Ciò che invece mi fa venire il sangue amaro è quando afferma: “I figli dei falegnami dovrebbero fare i falegnami, invece li mandano a scuola, all’università e tra vent’anni non ci sarà più gente che fa i controsoffitti”. Non è nemmeno classismo, è lo stadio successivo, che prevede la certificazione dell’ascensore sociale rotto. Non si capisce per quale motivo il figlio di un falegname non possa iscriversi alla facoltà di Medicina, non possa aspirare a esporre le sue opere d’arte al MoMa o non tenti la strada dell’ingegneria aerospaziale. Certo, restano due problemi: in Italia ci sono ancora degli ostacoli che rendono l’università non accessibile a tutti e, inoltre, dopo la laurea resta comunque complicato trovare lavoro. È però svilente la mentalità medioevale del figlio del re che diventa re e quello del contadino che resta contadino. L’occupazione in base a una discendenza di sangue. Non a caso sempre Briatore ha dichiarato di non voler iscrivere suo figlio all’università, “obbligandolo” a lavorare con lui: “Se non lo vuole fare va fuori casa”.
D’altronde stiamo parlando della stessa persona che ha dichiarato: “Non ho mai visto un povero creare posti di lavoro”. Quella di Briatore è un’arroganza selettiva, e di solito i suoi bersagli sono proprio “i poveri” o, in maniera altrettanto generale, “i meridionali”. Briatore non usa metafore per esprimere i suoi concetti, se deve dire che “Il Sud fa schifo” non si tira indietro, a costo di mostrare il problema di fondo dietro il suo pensiero: la superficialità. Per lui la gente va in vacanza al Sud “solo per il mare e per il cibo, non per la cultura”, e questa è la dimostrazione che i soldi non portano automaticamente la conoscenza del territorio e della storia, la sensibilità artistica e, soprattutto, la cultura.
All’arroganza si aggiunge la strafottenza, per cui non si fa scrupoli a dire che “in Italia se crei corsie preferenziali e qualcuno passa avanti tutti si arrabbiano perché è un Paese che non ama i ricchi”. No, ci si arrabbia perché dietro le disparità di trattamento si annidano l’abuso di potere, la corruzione, il conflitto di interessi e l’arbitrarietà. Briatore Ha proprio un’ossessione nel rimarcare il suo patrimonio, nel differenziarsi da “un Paese comunista che vorrebbe tutti sfigati”. E dunque quando si è trasferito a Montecarlo ha tenuto a dirci che “qui i poveri non esistono, non li fanno manco entrare”.
Il problema non è solo Briatore in sé, ma l’incapacità di molti milionari e multimilionari di capire il mondo che li circonda. Come quando Berlusconi, nel mezzo della più grande crisi economica degli ultimi decenni, disse che per lui tutto andava bene perché vedeva i ristoranti pieni. Fatico a immaginare un Berlusconi nel 2011 a mangiare in una trattoria a conduzione familiare, e dunque il meccanismo è quello della falsa immedesimazione. Come quando Silvio si definiva il “presidente operaio” e lo faceva notare sui cartelloni elettorali lungo tutta la penisola. La verità è che certi personaggi non solo non hanno mai tastato il polso di certe condizioni di povertà, ma hanno anche snobbato il crollo del ceto medio. Hanno inoltre basato la loro intera esistenza sul mito del dio denaro, sull’ostentazione dei soldi e del potere. Briatore emana classismo da tutti i pori, ma purtroppo non è solo un fenomeno della destra kitsch, visto che una parte della sinistra per anni non ha criticato il Reddito di Cittadinanza per essere stato scritto male, ma ha offeso i cittadini in difficoltà definendoli nullafacenti o divanari. Così come è fuori dal mondo definire con disprezzo “pescivendola” Meloni e non, per esempio, estremista di destra, retrograda, oscurantista o altri aggettivi più calzanti al suo programma politico e meno classisti. Con l’era Schlein la sinistra sembra essere tornata più vicina alle fabbriche e agli operai, ma bisogna arginare con più veemenza gli attacchi agli indigenti e l’interpretazione errata della condizione economica degli italiani. Perché tutto è più semplice di quanto possa sembrare: la stragrande maggioranza degli italiani firmerebbe per “una vita di sacrifici” con 4000 euro al mese.