A chi lo fa, l’Erasmus dà nuove prospettive e una maggiore apertura mentale: consentendo di viaggiare, instaurare nuove amicizie e acquisire conoscenze linguistiche, favorisce lo sviluppo di quella capacità di adattamento tanto preziosa nella vita quanto nel mondo del lavoro. L’Erasmus è un’opportunità che l’Europa ha messo a disposizione di migliaia di studenti, lo strumento forse più efficace di tutti per diffondere i valori europei e rafforzare l’identità comunitaria. Qualcosa, cioè, di cui c’è un gran bisogno in questa fase storica, e che invece migliaia di ragazzi nel 2020 si sono visti togliere a causa della pandemia.
Le domande di scambio – che a febbraio 2020 risultavano più numerose del 3% rispetto all’anno precedente – si sono scontrate con le frontiere chiuse, i voli annullati e le lezioni relegate allo schermo di un computer praticamente in tutta Europa. Erano circa 165mila i giovani impegnati nei programmi Erasmus e 5mila quelli dei progetti del Corpo europeo di solidarietà – che, dal 2018, sostituisce il servizio volontario europeo – nella primavera dell’anno scorso, quando il 25% degli scambi è stato cancellato. Secondo i dati della Commissione europea, infatti, nei primi mesi dell’emergenza sanitaria circa sei studenti Erasmus su dieci hanno deciso di rientrare: tra gli italiani, erano 13mila gli studenti all’estero quando è stato indetto il primo lockdown e la metà di loro ha deciso, davanti alle incertezze di quel momento, di tornare in Italia. Inoltre, alle cancellazioni si sono aggiunti altri problemi: il programma stesso ha subito il contraccolpo economico della pandemia, da un lato con fondi ministeriali ridotti per far fronte all’emergenza economica e, dall’altro, a causa delle criticità legate alle restrizioni che ogni Paese europeo stava gestendo in modo diverso. A tutto ciò si sono aggiunte le lungaggini o i ritardi delle agenzie europee, proprio incaricate dell’Erasmus, nell’applicazione delle nuove regole.
Inevitabilmente, il programma ha dovuto adattarsi alla situazione, ad esempio – come raccomandato dalla Commissione Europea – adottando forme di mobilità blended, cioè che integrano attività virtuali per preparare e completare la mobilità fisica. Una scelta praticamente obbligata, ma che difficilmente può accontentare, con un’attività online, un ragazzo che non vedeva l’ora di sbarcare a Parigi o a Barcellona, mettersi in gioco, fare nuove esperienze, conoscere persone, andare alle feste e magari incontrare l’amore. Per un po’ è sembrato di nuovo possibile farlo, tanto che a ottobre 2020 erano partiti, o erano pronti a farlo, in poco meno di 22mila studenti, quando la situazione è precipitata di nuovo, inducendo alcuni atenei (come Genova e Salerno) a bloccare le partenze, mentre altri (come Torino, Milano, La Sapienza e Roma Tre) hanno proseguito. E di nuovo si è caduti nell’incertezza e nel caos: così, complessivamente, dall’inizio della pandemia circa il 40% degli studenti Erasmus ha affrontato difficoltà importanti, come problemi di alloggio o addirittura l’impossibilità di tornare a casa. Metà di coloro che, invece, sono potuti partire o completare il loro Erasmus hanno seguito le lezioni online, il 34% le ha seguite parzialmente online o posticipate.
Con il nuovo anno accademico le partenze sono riprese, ma c’è da chiedersi se questa esperienza fondamentale sia rimasta la stessa, in una fase storica segnata da un lato dalla voglia di riprendere a vivere appieno e dall’altro dalla paura del contagio. La domanda di borse di studio c’è, tanto che per rispondervi, garantendo ai ragazzi le stesse opportunità di chi li ha preceduti, alcune università hanno scelto di finanziare il progetto per sopperire alle carenze. Come ha fatto la Ca’ Foscari di Venezia, che, in vista del nuovo anno accademico 2021-2022, a giugno ha stanziato 500mila euro a integrazione delle borse Erasmus europee; viceversa, per facilitare l’arrivo di studenti stranieri, tra cui quelli regolarmente iscritti ai corsi italiani e i partecipanti a Foundation Year – un corso propedeutico per studenti stranieri che intendono iscriversi a un’università italiana – e Marco Polo-Turandot, lo scambio focalizzato sulla Cina, l’ateneo veneziano ha anche stipulato due nuove convenzioni per 200 posti totali.
Forse, rendendosi conto della gravità del colpo inferto in questo modo all’istruzione e alle opportunità per i ragazzi – che la pandemia nonostante le accuse l’hanno principalmente subita vedendo svanire anni fondamentali del loro percorso – la Commissione Europea ha deciso di intervenire a sostegno del programma Erasmus, per supportare un mezzo capace di rinsaldare un’Unione che vede allentati sempre più i propri legami. Per questo, ad aprile, in una lettera alla Commissaria europea per i giovani e l’istruzione Mariya Gabriel, gli eurodeputati hanno chiesto la massima flessibilità per aiutare chi è stato costretto a rientrare per ragioni di sicurezza e rimborsare tutti i costi extra legati alla pandemia; alla quale si è aggiunta poi quella di consentire agli studenti di ottenere i crediti necessari online per non perdere l’anno accademico, mantenendo lo status di Erasmus o volontari del Corpo europeo di solidarietà.
Così si è arrivati anche a siglare il primo programma annuale Erasmus+ del periodo 2021-2027, che prevede uno stanziamento per oltre 26 miliardi di euro (rispetto ai poco meno di 15 miliardi del settennato precedente), integrati da circa 2,2 miliardi provenienti dagli strumenti esterni dell’UE; con questi fondi il programma finanzierà progetti di mobilità e di cooperazione transfrontaliera in una forma più inclusiva, per contribuire a rendere più flessibili i sistemi d’istruzione e formazione. L’Erasmus dovrebbe, cioè, allargarsi a comprendere non solo opportunità di studio e tirocinio – i cui progetti di mobilità continueranno a essere la priorità, con il 70% del bilancio loro destinato – ma anche apprendistato e scambio di personale in diversi settori, rivolgendosi alle università, alle scuole superiori, agli istituti di formazione professionale, e non solo più solo ai giovani, ma anche agli adulti. Tra gli obiettivi di questo impegno c’è lo sviluppo delle competenze digitali, in linea con il piano europeo d’azione per l’istruzione digitale, perché la pandemia ha evidenziato la necessità di accelerare la transizione anche in questa direzione, oltre che verso quella ecologica. A questo proposito, poi, l’Erasmus dovrebbe anche diventare più verde; in linea, almeno sulla carta, con il Green Deal europeo, ci saranno infatti incentivi finanziari ai partecipanti che utilizzano mezzi di trasporto sostenibili e investimenti in progetti di sensibilizzazione sui temi ambientali. Si punta su ambiente e digitale, quindi, non a caso le due direttrici del Recovery Fund, che dovrebbe rilanciare il mercato e lo sviluppo sociale dopo la crisi portata dalla pandemia.
Appena la Commissione europea ha aperto il nuovo accreditamento, le Agenzie Erasmus+ sono state inondate di candidature, chiaro segno – a sua volta – che di Erasmus ed esperienze simili ce n’è più che mai voglia. Nonostante la pandemia, sono in tanti i giovani (almeno tra quelli che se lo possono permettere) che hanno il desiderio di arricchire la propria formazione con un’esperienza all’estero, confrontarsi con altri sistemi educativi e altre culture, sperimentare la ricchezza delle differenze di cui è piena l’Europa. Negli ultimi 30 anni hanno potuto farlo oltre 10 milioni di persone in 33 Paesi diversi, cogliendo le possibilità offerte da questo vero e proprio simbolo del sogno europeo. Dopo un anno e mezzo abbondante di allontanamento, distanziamento sociale, ritorno a barriere che sembravano cadute, paura dell’Altro – sia per ragioni sanitarie, ma anche e sempre di più ideologiche – sembra quasi assurdo pensare a quella allegra contaminazione tra lingue e culture che fino a poco tempo fa era la norma per tanti.
Eppure, il bisogno e il desiderio di andare a scoprire nuovi posti, incontrare l’altro e far nascere amicizie per coltivare le quali bisogna poi salire su treni e aerei, restano le stesse, sia sul piano personale che su quello lavorativo, se si considera che partecipare all’Erasmus aumenta drasticamente le possibilità di trovare lavoro subito dopo la laurea. Tornare a incontrarsi nelle aule universitarie e fuori, imparare sulla propria pelle cosa significhi vivere e cavarsela lontani da casa, sono esperienze molto formative, essenziali per stare al passo con i colleghi degli altri Paesi europei e non.
L’Erasmus va difeso e sostenuto anche per questo, così come tutte quelle forme di incontro e di scambio di cui i quasi due anni di pandemia ci hanno tolto l’abitudine. Di fronte alla diffidenza, alla paura, all’atrofia delle competenze sociali, all’arroccamento in quelle comfort zone che sono diventate spesso le nostre mura di casa e le cerchie ristrette, diventa ancor più importante riprendere a fare esperienze. Oggi, tanti ragazzi chiedono di avere questa opportunità e tutte quelle che dall’Erasmus derivano.