I bambini, invisibili per il governo, sono tra le vittime principali di questa pandemia
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Quasi un miliardo e mezzo di bambini al mondo sono stati o sono in isolamento sociale a causa della pandemia da COVID-19. Privati per ragioni di sanità pubblica di contatti sociali, scuola e gioco all’aria aperta e con i coetanei. Le necessarie misure di contenimento del contagio, infatti, non hanno pesato solo sui lavoratori in difficoltà, sugli anziani isolati e sul personale sanitario sottoposto a turni infiniti, ma anche sui più piccoli. Le conseguenze a lungo termine sui bambini di quello che è il più lungo periodo di chiusura delle scuole dal dopoguerra a oggi non sono ancora note, ma saranno evidenti nel futuro prossimo; la privazione della socialità e del contatto con i coetanei hanno infatti un grosso impatto sui bambini, che potrebbero subirne conseguenze durature. A lanciare l’allarme sono pediatri ed esperti dell’infanzia in tutto il Paese, sottolineando i rischi connessi alla privazione del gioco e alla chiusura delle scuole.

La sospensione delle lezioni e le restrizioni ai movimenti durante l’isolamento sociale hanno fatto venir meno non solo la routine – e con lei i passatempi – dei bambini, ma anche la rete di supporto sociale per numerose famiglie, rendendoli più fragili ed esposti anche alla noia e al malessere psichico, minandone così la serenità sociale ed emozionale garantita dal confronto e dal gioco con coetanei e adulti. Attraverso il gioco si impara infatti a gestire le emozioni, si sviluppano abilità sociali e ci si crea un senso di identità: se il lockdown lo impedisce, il rischio è il senso di isolamento, tanto che uno studio britannico ha rilevato come più del 50% dei genitori è preoccupato per il benessere emotivo dei propri figli. Preoccupazione che riguarda anche molte famiglie italiane, che in più occasioni hanno denunciato di essere state lasciate allo sbando dal governo, che a oggi non sembra avere un’idea chiara su come e quando riaprire le scuole, nonostante una vaga ipotesi di riprendere l’anno scolastico a settembre. Ora si attende l’esito di un vertice convocato oggi da Giuseppe Conte con i rappresentanti sindacali per cercare di stabilire delle linee guida e una data per l’effettiva ripartenza dell’anno scolastico. Che si arrivi o meno a un accordo, l’esecutivo continua a ignorare la salute mentale di centinaia di migliaia di studenti, lontani dai banchi e dalla loro routine da sei mesi, e le ripercussioni anche gravi che questo potrebbe significare per il loro futuro.

Giuseppe Conte

In questo lasso di tempo l’angoscia che arriva dalle notizie e l’ansia trasmessa dai genitori sono una fonte di disagio più grande del virus stesso per i bambini in età pre-scolare, che già hanno subìto il trauma della brusca interruzione dell’asilo e delle scuole, senza la possibilità per gli educatori di salutarli adeguatamente e di dare spiegazioni. Più ancora degli adolescenti – che attraversano un’età delicata – a essere a rischio da questo punto di vista sono proprio i bambini con meno di sei anni, che non hanno ancora sviluppato la logica e la capacità di un pensiero ipotetico e hanno bisogno di spiegazioni chiare e rassicuranti. Il 40% dei genitori ritiene di aver bisogno di un sostegno nella gestione delle emozioni dei figli, eppure non sono state diramate indicazioni adeguate su come comportarsi. Possono così emergere disturbi latenti e stress, una reazione comune aggravata dalla difficoltà ad accedere ai servizi di supporto alla salute mentale durante il lockdown. Un’altra manifestazione di questo disagio è quella di bambini che sembrano persino troppo calmi, possibile indizio di un’eccessiva responsabilizzazione e “congelamento” delle emozioni.

Se la percentuale di minori che hanno sofferto la solitudine durante il lockdown è stata del 40-50% più elevata rispetto al solito, anche i bambini che apparentemente sopportano meglio la chiusura delle scuole sul lungo periodo potrebbero risentirne, perché la vita scolastica e il contatto con i propri coetanei serve per acquisire gli strumenti che permettono di gestire nella vita adulta situazioni di ansia e paura. Essere privati di questo bagaglio esperienziale rischia di avere ripercussioni molto gravi nel futuro dei bambini.

L’Unicef ha messo in luce anche altri fattori che pesano sulla psiche dei bambini, a partire da stigma e discriminazioni nelle prime fasi dell’epidemia, che hanno reso più vulnerabili a violenze e razzismo le persone di origine asiatica, bambini compresi. Per il venir meno della rete di supporto e socialità rappresentata da scuole e asili, specie in situazioni di disagio pregresso, il rischio è quello di negligenza nella cura dei bambini, se non addirittura di abusi, a cui si aggiunge una maggiore difficoltà a denunciare. Nel complesso, durante il lockdown i bambini sono più esposti alla violenza domestica, sia come vittime che come testimoni; per gli stessi motivi – a cui si aggiungono la dipendenza della famiglia da estranei per il trasporto di beni e servizi e una ridotta protezione familiare – i piccoli sono anche più a rischio di abusi e sfruttamento sessuale. Come sottolinea su Internazionale la pedagogista Cora Erba, quando la pandemia sarà finita e i bambini saranno cresciuti, quelli ben accuditi ricorderanno questo periodo con tenerezza, mentre altri avranno vissuto abusi e violenze o le avranno viste su persone a cui vogliono bene. Se l’aumento di lavoro minorile – a cui si assiste nel mondo a causa di una concomitanza di riduzione del reddito familiare, chiusura delle scuole e difficoltà o impossibilità a seguire le lezioni a distanza – riguarda il nostro Paese in modo marginale, dobbiamo invece aspettarci anche in Italia un aumento degli abbandoni scolastici. Per evitarlo bisogna includere nei piani di emergenza anche delle misure per difendere i minori durante le epidemie, non solo per proteggere la loro salute fisica, ma anche quella mentale.

Una scappatoia alla situazione di malessere sempre più diffusa in queste settimane è rappresentata dalla rete, di cui i ragazzini sono fruitori precoci e che spesso i genitori usano per tenerli occupati mentre lavorano: quasi il 50% dei bambini tra i 4 e i 10 anni ha accesso a una connessione internet, mentre l’età media per possedere un proprio smartphone è di 11 anni e mezzo. Questo li espone a situazioni critiche prima di avere gli strumenti per affrontarle: secondo un’indagine Ipsos, il 13% degli adolescenti ha ricevuto, da utenti conosciuti sul web, foto o video di contenuto violento o disturbante, il 9% ha subito cyberbullismo e ben il 29% ha letto commenti violenti online. A confermare l’aumento dei casi di cyberbullismo e adescamenti durante il lockdownsegnalato il 17 marzo dalla Polizia Postale – è la Fondazione Carolina, nata per volontà di Paolo Picchio, padre di Carolina Picchio, la prima vittima ufficiale di cyberbullismo in Italia che si tolse la vita a soli 14 anni nel gennaio 2013. Alla Fondazione sono arrivate 145 segnalazioni di casi di cyberbullismo tra coetanei a marzo e 121 ad aprile, 23 casi di condivisione di immagini intime di minori a marzo e nove ad aprile, 11 di revenge porn a marzo e altri 4 ad aprile e 25 segnalazioni di diffusione di foto di minori in gruppi Telegram a marzo e 23 ad aprile.

Si intensifica cioè un fenomeno già radicato, anche per la facilità con cui i ragazzi condividono foto private: il 24% degli intervistati da Ipsos, infatti, ha inviato ad amici o postato proprie foto intime e il 22% ha inviato foto o attivato la webcam in condizioni compromettenti per ottenere regali; altrettanti hanno inviato ad adulti conosciuti online foto o video personali. Oltre al pericolo di adescamento online, l’esposizione al web, senza la maturità o gli strumenti per gestirla, e l’assenza di alternative espongono ad altri rischi: disturbi del sonno, stress, dipendenza dai like e Fear of missing out, una forma di ansia sociale che porta a rimanere costantemente connessi per paura di essere tagliati fuori dalla propria cerchia sociale di riferimento. L’educazione all’uso del web e ai rischi connessi a un uso improprio favorirebbe la consapevolezza tra i ragazzi e i loro genitori, mentre l’educazione all’affettività li aiuterebbe a comprendere e gestire le emozioni. Purtroppo in Italia siamo anni luce indietro rispetto alla scuola danese, dove si insegna l’empatia anche per prevenire il bullismo.

I bambini sono stati considerati dal governo italiano solo come possibili vettori di contagio e non sul piano educativo, formativo, sociale e psicologico. Non è andata allo stesso modo in altri Paesi europei che hanno preferito applicare ai più piccoli restrizioni meno stringenti, anche durante il lockdown: il Belgio consentendo le passeggiate, i Paesi Bassi persino il gioco in piccoli gruppi. Le famiglie italiane sono state abbandonate a tentare di incastrare il lavoro da remoto dei genitori – o lo stress per la perdita dell’impiego – con la gestione dei figli sempre a casa, senza più servizi per l’infanzia e con le lezioni online degli adolescenti che in alcuni casi hanno impiegato settimane per essere organizzate. E questo anche senza tenere conto del digital divide (nel 2019 il 24% delle famiglie italiane non disponeva di una connessione internet) e delle disuguaglianze economiche tra le famiglie: alcune non hanno computer e tablet, in alcuni casi distribuiti su iniziativa dei comuni e grazie della solidarietà di privati e associazioni solo dopo settimane. Settimane in cui l’isolamento degli alunni è aumentato, soprattutto per chi ha bisogni speciali o a scuola stava imparando l’italiano e la cui integrazione ha quindi subito una brusca interruzione.

Il pedagogista Daniele Novara si è appellato al governo per la creazione di un team composto da pedagogisti, psicologi dell’età evolutiva e tecnici dell’apprendimento per scongiurare i peggiori effetti a lungo termine di isolamento e chiusura delle scuole, non solo sulla formazione dei bambini, ma anche sul loro benessere psichico e sociale. Altri provano a farlo, per esempio con una fase 2 che in Francia, Germania, Austria, Danimarca, Svizzera, Portogallo e Grecia ha visto una parziale riapertura delle scuole, talvolta solo per i bambini più piccoli e chi deve sostenere esami. Dove questo non è possibile, per far fronte ai problemi legati all’isolamento l’Unicef consiglia di limitare l’impatto dell’interruzione scolastica tramite un’educazione a distanza a misura di bambino con l’utilizzo di strumenti adeguati che coinvolgano TV, radio o appositi programmi online. Un altro punto è sostenere tra governo e datori di lavoro un accordo di lavoro flessibile per i genitori che non hanno accesso ai servizi per l’infanzia, consentendo loro di prendersi cura del benessere dei figli e di lavorare. La pandemia ha fatto emergere, tra le altre carenze strutturali italiane, anche quelle di cui la vittima principale sono i minori spesso abbandonati a loro stessi. Agire ora e agire in fretta è fondamentale per impedire che i bambini e gli adolescenti, meno colpiti dal Coronavirus, ne diventino la vittima numero uno con ripercussioni che non durano alcuni mesi di lockdown, ma rischiano di accompagnarli per tutta la vita.

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