In una società in cui facciamo fatica a sopravvivere, mettere al mondo dei figli è un’utopia - THE VISION

Nell’ultimo anno, in Italia, si è registrato un calo delle nascite pari a 14mila unità. Ma c’è di più: dal 2008 – ultimo anno in cui, nel nostro Paese, si è registrato un aumento della natalità – a oggi, il calo è di ben 197mila unità. Un fatto allarmante ma probabilmente inevitabile, che non solo è sintomo di una crisi a tutto tondo, ma pare irreversibile e potrebbe apparire quasi come un manifesto inconsapevole di noi “giovani adulti” che, a oggi, viviamo in un Paese in cui provvedere alla nostra sussistenza, in completa autonomia, diventa sempre più complicato, se non in molti casi impossibile. Per molti risulta difficile provvedere anche al proprio sostentamento individuale, e sempre più spesso si finisce per chiedere aiuto ai genitori – anche se si è già “grandi”, si lavora e si vive magari lontani da casa –, così il proposito di costruirsi una famiglia diventa un’utopia, e spesso quindi non viene neppure preso in considerazione. Il risultato è presto detto: la popolazione italiana è sempre più vecchia, e anche mettere al mondo un solo figlio, per tante coppie, è economicamente troppo oneroso.

Oggi, viviamo nel pieno di una gerontocrazia, in cui a passarsela meglio è chi ha costruito la propria vita – professionale e privata – già da decenni. Al contempo aumentano gli “eterni figli”, con un’età dai trenta ai quarant’anni e più, che spesso, dopo un regolare – magari anche brillante – percorso di studi, si ritrovano precari, a contare esclusivamente sul supporto economico di mamma e papà. E sono ben diversi dai cosiddetti “bamboccioni”. No, i giovani adulti di oggi vivono a queste condizioni, il più delle volte, loro malgrado: lo stipendio che guadagnano non permette loro di mantenersi autonomamente e, nonostante i sacrifici che molti sono disposti a fare, continuano a condurre una vita da studenti in Erasmus, non potendosi permettere neppure una piccola casa in affitto.

Affittare un appartamento comporta una spesa inadeguata ai guadagni di un trentenne o di un quarantenne laureato nel mercato attuale. Con uno stipendio medio di 1332 euro subito dopo la laurea, e di 1544 e 1697 rispettivamente a tre e a cinque anni dalla laurea, i dati italiani sono notevolmente inferiori alla media europea. Con questi introiti, affrontare anche solo una spesa sui 650/850 euro per un bilocale, quando va bene, diventa complicato. A questo si aggiunge l’onere delle utenze, che in seguito agli aumenti vertiginosi degli ultimi anni, spesso e soprattutto nei mesi invernali, possono comportare un’ulteriore spesa di 200/250 euro ogni mese. Va da sé poi che per poter mangiare, mantenere magari un mezzo di trasporto e provvedere ad altri piccoli bisogni di prima necessità è facile che si spenda il resto dello stipendio, che talvolta risulta persino insufficiente al monte spese. È vero che, per chi sceglie di convivere, le spese risultano, in qualche modo, attenuate, ma il risparmio non sarà mai sufficiente a mettere da parte un gruzzolo consistente e utile ad affrontare, un domani, le spese per una famiglia.

Insomma: un “giovane lavoratore”, oggi, lavora per spendere tutto ciò che guadagna nei beni di sostentamento; il più delle volte fatica a permettersi qualche sfizio e, per eventuali bisogni extra, deve farsi aiutare. Questo ci dice non solo che l’Italia non dà più dignità nemmeno a chi affronta un percorso di studi – con tutte le spese che ne derivano – e desidera costruire una vita economicamente indipendente affrancandosi dai genitori; ma, soprattutto, che non si può chiedere a questi giovani adulti di mettere al mondo figli, perché questa oggi sembrerebbe più una scelta quantomeno avventata e rischiosa, invece del desiderio di una coppia. La diffusa categoria di figli quarantenni che si ritrovano precari a contare sul supporto economico di mamma e papà ci racconta una realtà inevitabile, che sembra poter solo peggiorare.

In Italia, poi, il tasso di disoccupazione giovanile è ancora nettamente superiore alla media europea. A tre anni dal conseguimento di un titolo di studio magistrale, un italiano su quattro è ancora disoccupato, diversamente dalla gran parte degli altri Paesi europei – nei quali la media scende a 1 su 10. Senza contare l’alto tasso di laureati impegnati in percorsi di formazione, stage e tirocini con retribuzioni molto basse, condizione usuale in cui, sempre più spesso, viene letteralmente sfruttata forza lavoro malpagata – e per un periodo di tempo sempre più lungo. In questo scenario desolante sono sempre meno le persone che decidono di costruirsi una famiglia: in Italia, la media di figli per donna è scesa a 1,2 nel 2023, con flessione rispetto al 2021 e un tasso di fecondità vicino al minimo storico, registrato nel 1995. Questa flessione, oltre alle cause sopracitate, è il frutto dell’assenza di politiche a sostegno delle famiglie – e, come sappiamo, a risultare penalizzata in Italia è quasi sempre la carriera delle donne che diventano madri. Questi fenomeni concomitanti ci impediscono di soddisfare il bisogno fondamentale di sicurezza che dovrebbe permetterci di accedere al soddisfacimento di altri bisogni e desideri, come quello di avere dei figli o di realizzarci nella dimensione affettiva e relazionale.

Secondo la “teoria della motivazione umana” sviluppata nel 1943 dallo psicologo statunitense Abraham Maslow i bisogni che ciascun individuo avverte nel corso della vita possono essere schematizzati in una piramide. E benché negli anni gli studi di Maslow siano stati ampliati possono rappresentare tuttora una chiave di lettura per analizzare il crollo delle nascite in Italia. Secondo questa piramide, i bisogni di sicurezza occuperebbero il secondo gradino dal basso, emergendo subito dopo i bisogni fisiologici. Tra i bisogni di sicurezza rientrerebbero: l’integrità fisica e la salute, la stabilità economica, la certezza di una casa in cui vivere e di un mezzo di trasporto di proprietà. Subito dopo i bisogni di sicurezza compaiono i bisogni di appartenenza, di stima e, in cima, di autorealizzazione. Oggi, solo in pochi possono dire di riuscire ad appagare i propri bisogni di sicurezza in modo autonomo e costante, a causa di tutte le problematiche sopracitate – per non parlare del gravissimo problema dei tagli alla sanità. Vivere in una realtà con questi presupposti, ci costringe a ignorare i bisogni che si situano ai gradini più alti della piramide di Maslow, e a rimanere invischiati in una continua ricerca di sicurezza e stabilità che, probabilmente, non appagheremo mai – o di sicuro, stando così le cose, non in maniera indipendente.

Continuare a parlare di questa piaga e non smettere di indignarsi è un dovere di tutti, per non abituarsi al fenomeno sociale estremamente diffuso della late adolescence, contro cui quasi non abbiamo più la forza di ribellarci, e questo perché in molti subentra la stanchezza e la rassegnazione dovuta alle enormi difficoltà che bisogna fronteggiare. Il rischio di rimanere invischiati in una continua ricerca di sicurezza e stabilità che, probabilmente, non sarà possibile appagare autonomamente, paralizza la nostra società ed è una delle maggiori cause del crollo delle nascite. Una società in cui trentenni e quarantenni sono impossibilitati a rendersi autonomi, anche se plurilaureati e disposti a grandi sacrifici per lavorare, è una società in cui mettere al mondo dei figli, ai più, fa paura. Sebbene ormai possa sembrare scontato, per incentivare le nascite bisogna attivare politiche che creino le condizioni adeguate a far sentire protetto e sostenuto chi sceglie di avere dei figli. Oggi, in Italia, i neogenitori sono esposti a una precarietà insostenibile e, per chi non ha la fortuna di avere una famiglia benestante alle spalle, l’unica possibilità che gli rimane è la rinuncia.

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