Non è mai facile decretare chi è il migliore o la migliore di tutti, in particolare in un ambito complesso e variegato come il cinema. Ciascuno di noi può avere il suo attore o la sua attrice preferita, il suo genere di film che più lo coinvolge e appassiona, e lanciarsi in classifiche universali, per quanto esistano anche dei dati oggettivi per valutare l’arte, vuol sempre dire muoversi su un terreno scivoloso. I gusti sono gusti, i premi invece spesso sono perlopiù simboli, assegnati anche per ragioni funzionali al mercato del cinema e che spesso non hanno nemmeno criteri particolarmente puri e disinteressati. Nella storia del cinema italiano, specialmente in quello degli anni Sessanta e Settanta, il periodo di massimo splendore in cui la produzione nostrana primeggiava per qualità e varietà, ci sono una serie di attori e attrici – mettendo da parte registi, sceneggiatori e compositori – che hanno scavallato la questione “De gustibus non disputandum est” per diventare vere e proprie icone culturali. I famosi mattatori della commedia all’italiana, Tognazzi, Sordi, Mastroianni, Gassman, Manfredi, le donne come Vitti, Loren, Melato; difficile fare una classifica, dal momento che ciascuno di questi artisti potrebbe essere considerato il migliore per ragioni diverse. C’è un attore italiano, però, che negli stessi anni ha scelto una strada diversa dalla maggior parte dei suoi colleghi, utilizzando ogni film in cui ha recitato non solo come forma di espressione artistica ma come vera e propria missione politica e sociale: Gian Maria Volonté. In questo senso, Volonté ha trasformato la sua carriera in un manifesto politico, diventando non solo un volto del nostro cinema ma anche dell’Italia della contestazione. E in questo, possiamo essere tutti d’accordo, è stato senza dubbio il migliore.
Gian Maria Volonté, infatti, apparteneva a una categoria artistica che potremmo definire quasi del tutto estinta, quella di chi ha fatto della propria immagine pubblica un mezzo di comunicazione e di impegno civile costante. Non perché si stava meglio prima o si faceva tutto meglio in altri anni, ma semplicemente perché c’è stato un periodo storico del Novecento in cui il legame tra arte e politica era talmente forte da farle diventare una cosa sola. Le ragioni per cui oggi questo rapporto si è eroso fino quasi a sparire sono tante, alcune più evidenti, altre molto profonde e difficili da cogliere. In Italia, da questo punto di vista, ci sono ancora alcuni attori e registi, sia uomini che donne, che portano avanti un’idea di cinema fatto non solo per intrattenere, ma anche per denunciare e rappresentare i lati più deprecabili della realtà in cui viviamo – giusto per citarne un paio, Elio Germano da attore, Alice Rohrwacher da regista. Ma la spinta di contestazione sociale e culturale dei decenni tra il dopoguerra e gli anni Ottanta che per anni ha prodotto letteratura, teatro, musica e cinema cosiddetto “impegnato” si è sfumata sempre di più, ragione per cui il lavoro di Gian Maria Volonté non può rimanere solo materiale da cineforum e retrospettive. Il cinema di Volonté è un patrimonio che, per quanto storicizzato e ormai archiviato nella memoria collettiva, vive ancora in piena autonomia, riuscendo nell’impresa miracolosa di non invecchiare di un singolo giorno.
Quando si parla di un attore, ovviamente, si parla anche di registi, e sebbene la carriera di Volonté sia cominciata con opere teatrali di Shakespeare, Beckett o Dostoevskij, è stato poi grazie a una collaborazione fitta e consolidata con alcuni nomi del cinema di quel periodo che ha raggiunto l’apice del suo potenziale. Volonté ha avuto infatti la peculiarità di aver dato vita sia a personaggi di finzione rappresentativi della politica e della società italiana, sia a uomini realmente esistiti, adattando alla forma cinematografica le biografie di personalità del calibro di Giordano Bruno o Enrico Mattei. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza il lavoro di alcuni tra i migliori registi italiani di sempre che, non a caso, hanno sfruttato alla perfezione il talento espressivo e camaleontico dell’attore milanese, famoso proprio per la sua capacità quasi inquietante di immedesimarsi con il ruolo che si trovava a interpretare. Il primo regista importante che ha intuito il suo potenziale fu, negli anni Settanta, Sergio Leone, che gli affidò ruoli da cattivo sia in Per un pugno di dollari che in Per qualche dollaro in più: una scelta molto intelligente, dal momento che la caratteristica principale del genere spaghetti-western era proprio l’espressività penetrante del primo piano, una cornice in cui l’attore milanese si trovava alla perfezione, grazie alla sua mimica facciale inconfondibile. Ma la tecnica icastica di Volonté non si limitava solo alla parte più formale e pittoresca, visto che già a partire dall’inizio della sua carriera portò avanti l’esplorazione di ruoli socialmente densi e significativi, come quello del sindacalista in Un uomo da bruciare, del 1962, diretto dai fratelli Taviani.
Con il personaggio di Salvatore, Volonté intraprende uno studio approfondito sia del movimento operaio che del marxismo, materie di indagine che negli anni successivi saranno fondamentali per la costruzione di altri ruoli simili. E non a caso, solo due anni dopo, nel 1964, l’attore si scontra per la prima volta con le conseguenze della contestazione e dell’arte impegnata, visto che per via della sua rappresentazione de Il Vicario, opera teatrale che critica fortemente il collaborazionismo di Pio XXII con il nazifascismo – nonostante fosse stata messa in scena a Terni e non a Roma a causa del suo contenuto ritenuto blasfemo – venne scomunicato. Ma questo fu solo l’inizio della sua missione, un fine ultimo che portò avanti con costanza e dedizione attraverso i decenni successivi, collaborando in particolare con Elio Petri, Francesco Rosi e Giuliano Montaldo, tre registi che, specialmente grazie a questo sodalizio artistico, di fatto hanno scritto la storia del cinema italiano politico e di denuncia. Il punto di contatto tra questi tre registi e l’attore era senza dubbio la matrice ideologica marxista, l’attenzione per temi sociali molto caldi e divisivi di quel periodo, dalle lotte sindacali alla corruzione, ma anche, indubbiamente, l’intento di creare un “cinema verità” che fosse in qualche modo al contempo sia erede del neorealismo che foriero di un’idea di arte che stimolasse quanto più possibile le reazioni nel pubblico.
Grazie a Elio Petri Volonté diventa il volto del protagonista di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, un film sulla corruzione e sull’abuso di potere talmente iconico e penetrante – anche grazie alla colonna sonora di Ennio Morricone e alla sceneggiatura di Ugo Pirro – da diventare tra le pellicole più celebri sia in Italia che all’estero, visto che vinse addirittura un Oscar come miglior opera straniera. Poi ci sono A ciascuno il suo, La classe operaia va in paradiso, Todo Modo: negli anni Settanta Petri, Volonté e Pirro diventano un vero e proprio marchio di qualità, raccontando in modo spettacolare e angosciante i lati oscuri della società italiana, dalla vita nelle fabbriche alla Democrazia Cristiana fino al film documentario Documenti su Giuseppe Pinelli, una vera e propria inchiesta cinematografica sulla morte dell’anarchico. Nello stesso periodo, Francesco Rosi e Volonté girano insieme pellicole come Uomini contro e Il caso Mattei, e negli anni Ottanta Cronaca di una morte annunciata. Anche in questi caso, l’intento comune di mettere in scena non solo un’opera qualitativamente impeccabile, ma anche profondamente incisiva e stimolante dal punto di vista dei contenuti fa sì che il risultato finale si concretizzi in film di culto, rimasti intatti negli anni per il modo in cui raccontano pezzi di storia del nostro Paese.
Volonté sviluppa così la capacità istrionica di farsi volto di personaggi storici realmente esistiti, sostituendo senza oscurare, esaltando i tratti del carattere della persona raccontata, ma allo stesso tempo riesce a rendere – grazie alla sua voce, al suo tono, al suo modo di articolare il viso – l’essenza di personaggi di finzione che rappresentano intere categorie sociali, dall’operaio al politico, fino al direttore di un giornale come in Sbatti il mostro in prima pagina, di Marco Bellocchio. Così, per esempio, nei film di Giuliano Montaldo – sia in Giordano Bruno che in Sacco e Vanzetti, in cui Volonté interpreta Bartolomeo Vanzetti – la biografia dei protagonisti, entrambi martiri per motivi diversi e in epoche diverse, diventa un tutt’uno con l’espressività dell’attore, che riesce a tracciare un ritratto allo stesso tempo sia personale che simbolico delle due figure storiche simili.
Essere un attore impegnato, dissidente, rivoluzionario vuol dire non solo scegliere accuratamente ogni pellicola in cui recitare, ma anche vivere in prima persona proteste, manifestazioni e lotte. Gian Maria Volonté non si è limitato a interpretare ruoli e a dare forma a personaggi, ma si è messo in prima linea accanto a quegli operai di cui si parlava nei film in cui recitava. Non solo sullo schermo, ma anche nella realtà: il suo impegno non è si è mai limitato a una raffigurazione distante. Accanto agli operai della Coca Cola, della Metalfer e di molte altre fabbriche, durante contestazioni per cui venne anche arrestato; attivo in prima persona nella politica sia dei partiti – era iscritto al Pci e venne eletto consigliere regionale nel Lazio, carica che abbandonò poco dopo per via dei compromessi che avrebbe dovuto accettare – sia in quella extraparlamentare, avendo aiutato il suo amico Oreste Scalzone, attivista di Potere Operaio e di Autonomia Operaia. Gian Maria Volonté è stato fino ai suoi ultimi giorni di vita non solo un interprete di altissimo livello, capace di spaziare tra personaggi completamente diversi tra loro, senza rimanere ancorato a un modo ripetitivo di recitare, senza mai accomodarsi sul successo e sul nome che si era costruito negli anni. Gian Maria Volonté ha rappresentato la sintesi perfetta tra teoria e prassi, tra realtà e arte, tra impegno, contestazione, dissidenza e bellezza. Se non possiamo dire chi sia stato il migliore attore di tutti i tempi, di sicuro, però, il migliore a combinare tutti questi elementi insieme è stato lui.