Ad ogni raffreddore della stagione le raccomandazioni di bere litri di spremute d’arancia si sprecano. La vitamina C è una delle sostanze con cui siamo più in confidenza. Tutti l’hanno sentita nominare e tutti sono convinti di conoscerla bene, eppure non è così. Abbondano infatti le inesattezze e le lacune a riguardo, a partire dalle dosi utili, passando dalle forme in cui assumerla fino all’effettiva funzione di questa vitamina. L’acido L-ascorbico – che è uno dei due enantiomeri dell’acido ascorbico (ovvero la vitamina C) – è l’unico ad avere attività biologica e ha visto accrescere l’attenzione nei suoi confronti lo scorso anno, diventando protagonista di molti approfondimenti durante il periodo di pandemia. Se è vero che mangiare limoni aiutò i marinai che, nei lunghi viaggi in mare tra il 1500 e il 1700, soffrivano di scorbuto – la patologia che insorge dalla carenza di vitamina C e che, secondo le testimonianze dell’epoca, arrivava a comportare perdita di denti, emorragie e gengive sanguinanti – questa vitamina, purtroppo, non è una sostanza miracolosa come potrebbe sembrare dai racconti delle nostre nonne, in grado di guarirci da qualsiasi malattia, ma è vero però che ha un’azione di fondamentale importanza sul nostro organismo, confermata da evidenze scientifiche. Imbottirsi di integratori a base di questa sostanza– magari pensando che siccome fanno bene in certi casi, allora è meglio abbondare – è inutile e a volte persino dannoso.
Per quanto riguarda l’acido L-ascorbico, ad esempio, la quantità giornaliera raccomandata è di soli 80mg. Questa, così come tante altre sostanze, è, in effetti, essenziale per il nostro organismo: contribuisce al buon funzionamento del sistema immunitario e di quello nervoso, oltre che alla sintesi degli ormoni che regolano la risposta agli stress, risultando quindi particolarmente utile durante i cambi di stagione e nei periodi di maggiore stanchezza, inoltre contribuisce alla formazione del collagene. L’essere umano è tra le specie che non sono in grado di sintetizzare questa vitamina e deve quindi assumerla attraverso la dieta. L’immaginario comune ignora che, oltre a limoni e arance, di vitamina C ne sono ancor più ricchi kiwi, fragole, ciliegie e ananas, oltre a diversi ortaggi, come peperoni, pomodori, spinaci e broccoli; e più ancora, l’acerola, una pianta arbustiva originaria dell’America meridionale e tropicale, che contiene fino a 50 volte più acido L-ascorbico degli agrumi.
La maggior parte degli integratori che vediamo in commercio è spesso di sintesi, prodotta con diversi passaggi in laboratorio. E anche nei casi in cui la vitamina C sia in effetti ottenuta da fonti naturali, il prodotto è però spesso addizionato con eccipienti artificiali.
Si sente spesso parlare di “naturale”, dando per scontato che sia qualcosa di benefico, innocuo e necessariamente migliore di qualsiasi altra cosa, ma molte volte lo si fa a sproposito, sul sottile confine che separa informazione incompleta e green washing. Per questo, a battersi per fare chiarezza c’è Safe Food Advocacy Europe (SAFE), un gruppo di associazioni, professionisti della sanità e del settore alimentare e privati cittadini, che si occupa di contrastare disinformazione e falsi miti e che, con la campagna WeValueTrueNatural, chiede ai decisori politici europei norme definitive e trasparenti sull’etichettatura dei prodotti alimentari definiti “naturali”: quelli che lo sono davvero, precisa la campagna, devono essere biodegradabili, prodotti senza impiego di OGM né sostanze sintetiche – cosa che spesso non avviene quando su una confezione si trova in bella vista la scritta “naturale”.
Tanti prodotti di sintesi sono indispensabili, specialmente in ambito terapeutico, ma bisogna ammettere che il consumatore medio, anche volendo un prodotto naturale, non ha una formazione – e un’informazione – adeguata a capire davvero cosa sta acquistando. L’acquisto consapevole è un diritto in qualsiasi ambito, compreso quello degli integratori alimentari destinati a integrare la comune dieta, rispetto cui i cittadini possono orientare la loro scelta, limitando, se lo desiderano, la quantità di sostanze sintetiche che ingeriscono La vitamina C, ad esempio infatti può essere ottenuta anche in modo naturale attraverso la lavorazione dell’estratto di acerola. In più, le vitamine che si avvicinano alla forma molecolare presente in natura sembrerebbero più facilmente assorbibili e utilizzabili dall’organismo, poiché agiscono in linea con gli stessi meccanismi fisiologici che il corpo mette in atto.
Ma c’è di più: anche le sostanze chimiche usate nei procedimenti attraverso cui ciò di cui ci nutriamo viene prodotto, infatti, possono accumularsi nell’ecosistema, in modo meno evidente rispetto alle confezioni di plastica che ci scandalizzano, ma non per questo meno preoccupante. I prodotti naturali al 100%, da questo punto di vista, possono rappresentare una soluzione interamente biodegradabile e, non contenendo eccipienti di sintesi, il processo produttivo con cui sono ottenuti non ha effetti sull’ambiente. Nell’ambito farmaceutico, per esempio, se gli sforzi e gli investimenti per la riduzione delle emissioni negli ultimi anni sono in crescita, il comparto chimico continua però a presentare problemi. Le conseguenze possono essere importanti: un caso limite è quello dell’India, dove sono stati riscontrati elevati livelli di inquinanti nell’ambiente, comprese le acque interne, dovuti a una gestione non corretta dei rifiuti farmaceutici, come residui di farmaci antibiotici e antimicotici, un problema che, tra le altre cose, contribuisce alla farmacoresistenza. Non a caso i rifiuti del comparto farmaceutico vanno smaltiti secondo un preciso protocollo, perché possono danneggiare l’ambiente e avere effetti di disturbo sulla biologia della flora e della fauna.
Anche laddove i farmaci siano smaltiti correttamente, però, sono inevitabili gli scarti del processo produttivo da un lato e quelli che l’organismo umano fisiologicamente espelle dall’altro, prima negli scarichi delle fogne e poi nell’ambiente. Si tratta di un problema serio, tanto che l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) promuove il servizio di Ecofarmacovigilanza, per vigilare sui rischi ambientali del comparto, e afferma che la soluzione sarebbe la riduzione della quantità di farmaci e prodotti di cura della persona impiegati e consumati; un’opzione, però, costosa e difficile da praticare nel breve periodo.
Questi sono aspetti a cui si pensa poco quando si tratta di prodotti per la salute, ma laddove c’è possibilità di scelta ci si può informare e orientare anche verso l’opzione meno impattante, ricordandoci che siamo parte integrante del pianeta e la nostra salute viene anche da questa consapevolezza.
Questo articolo nasce dalla collaborazione fra THE VISION e Aboca, healthcare company italiana che si occupa di cura della salute, le cui formulazioni sono realizzate nel rispetto dell’organismo e dell’ambiente. Aboca, grazie alla sua ricerca ha ottenuto un integratore alimentare, Vitamin C Naturcomplex, 100% naturale e biodegradabile, con Acerola fonte di Vitamina C, che fornisce la dose giornaliera consigliata di Vitamina C insieme alle altre sostanze naturalmente presenti nell’estratto di acerola.