Il vaginismo è un disturbo molto diffuso, più di quanto si pensi, ma non se ne parla abbastanza - THE VISION

Una donna su cinquanta non riesce ad avere rapporti sessuali completi a causa del vaginismo, un disturbo di cui si parla ancora troppo poco. Da non confondere con la dispareunia – il dolore acuto che la donna può avvertire per svariate ragioni durante la penetrazione – il vaginismo è un disturbo che procura lo spasmo involontario del muscolo elevatore dell’ano, che si riflette sul resto della muscolatura pelvica che circonda la vagina. Nella maggior parte dei casi questo fenomeno ha una matrice psicologica. La contrazione eccessiva e involontaria dei muscoli vaginali può impedire la penetrazione stessa o rendere molto doloroso il rapporto, cosa che spesso suscita un profondo senso di frustrazione. 

Le donne affette da vaginismo raccontano di percepire un vero e proprio ostacolo, poiché la contrazione muscolare riflessa induce la chiusura dell’introito della vagina. Il vaginismo, a dispetto di quanto alcuni potrebbero essere indotti a credere, non ha nulla a che vedere con la mancanza di desiderio sessuale; la contrazione muscolare non influenza in alcun modo la lubrificazione, né la possibilità di provare piacere e di raggiungere l’orgasmo attraverso altre stimolazioni. Eppure l’impossibilità di avere un rapporto sessuale completo in vari casi può risultare invalidante e causa di malessere.

Spesso, le donne che soffrono di questo disturbo esitano però a chiedere aiuto per paura e imbarazzo, o anche per semplice disinformazione. È un fatto: di vaginismo non si parla a sufficienza e, se i casi diagnosticati rappresentano circa il 1-2% delle donne in età fertile, è probabile che quelli non diagnosticati siano molti di più; la percentuale sale infatti al 15-17% se si prendono in considerazione solo le donne che si sottopongono a visite ginecologiche con regolarità. Poiché questo disturbo è causa di sofferenza in chi ne è affetto, è bene che si faccia chiarezza non solo sulle sue caratteristiche, ma anche e soprattutto sulle cause di varia natura che possono scatenarlo. Come spesso accade, una diagnosi precoce è uno dei fattori più importanti per una pronta guarigione. Quel che è certo, infatti, è che dal vaginismo si può guarire, come è vero che una diagnosi tardiva rende il processo di guarigione più lento e faticoso, eppure possibile. In alcuni casi, il vaginismo può essere diagnosticato in giovanissima età. Un sintomo precoce da non sottovalutare è l’impossibilità di utilizzare i tamponi interni per la protezione mestruale, a causa dell’incapacità di rilassare i muscoli perivaginali. Individuare i sintomi precoci è molto importante per procedere in tempi rapidi a un percorso terapico che dia aspettative di guarigione. Poiché solo in rarissimi casi il vaginismo è causato da una malformazione ai genitali, molte donne riescono a guarire anche dopo solo 10-15 sedute di terapia sessuologica.

È compito del medico specialista accorgersi, attraverso un colloquio conoscitivo e una visita approfondita, quale sia l’entità dello spasmo muscolare e, dunque, a quale grado di intensità sia ascrivibile il disturbo. Si va dal vaginismo più lieve, di primo grado, al più grave, di quinto. Il vaginismo poi si definisce permanente (o primario), nel caso in cui la donna ne soffra fin dall’inizio della sua attività sessuale; oppure acquisito (o secondario) laddove il disturbo subentri in seguito. Nella maggior parte dei casi, alla base del disturbo vi sono motivazioni psicologiche e psicosomatiche. All’origine di alcuni casi possono esserci episodi traumatici legati alla sfera sessuale e, in modo particolare, all’atto della penetrazione. È possibile che le donne che ne soffrono abbiano subito violenze o abusi e che i ricordi traumatici legati a quelle esperienze facciano sviluppare loro un vissuto fobico e di evitamento verso l’atto. Per questo motivo, per risalire alle cause è importante innanzitutto ricostruire la storia personale della paziente. Talvolta, infatti, anche senza traumi specifici un’educazione particolarmente rigida e retrograda può aver indotto nella donna un senso di colpa legato all’atto sessuale, tramutatosi in vera e propria fobia della penetrazione. Ma anche la semplice paura di restare incinta o la paura di contrarre malattie possono portare a sviluppare un’angoscia profonda e un rifiuto nei confronti dell’amplesso. In alcuni casi, poi, visite mediche invasive e dolorose possono creare nella donna danni psicologici persistenti.

Questi blocchi di natura psicologica hanno come abbiamo visto importanti conseguenze fisiche: la contrazione muscolare, infatti, reiterata nel tempo, “finisce per automantenersi e stabilizzarsi”. Di conseguenza, nei casi più gravi, lo stato di spasmo nella zona perivaginale diventa parte della postura abituale, scompensandola – disturbo questo che colpisce anche gli uomini. In altri casi, invece, la contrazione involontaria può somigliare al riflesso incondizionato che tutti abbiamo quando qualcuno avvicina un dito al nostro occhio: in modo del tutto involontario, siamo portati a chiuderlo “difendendoci” da un possibile attacco esterno. Oltre ai fattori psicologici, anche alcune componenti neurobiologiche possono contribuire alla nascita di questa disfunzione. “Nelle donne che soffrono di vaginismo sono più reattive le parti del cervello che coordinano i livelli d’ansia”, e non di rado questo disturbo è associato ad altre fobie o veri e propri attacchi di panico. In alcuni casi, dunque, è consigliabile associare alla terapia sessuologica e psicologica anche un trattamento farmacologico specifico. In alcuni casi, poi, si possono affiancare delle terapie non invasive che si avvalgono di bio-attivatori. Tramite una corrente ad alta frequenza i bio-attivatori alleviano il dolore.

Queste terapie però hanno dei costi che non tutte possono sostenere. Una seduta da un sessuologo ha infatti un costo medio che va dai cinquanta agli ottanta euro, così come quella da uno psicoterapeuta e per un singolo trattamento con bio-attivatori. A oggi, per il vaginismo in Italia non è prevista copertura da parte del sistema sanitario: questa patologia, infatti, non è stata inserita nei LEA (Livelli essenziali di assistenza). Per quanto riguarda la terapia psicologica è possibile recarsi nei consultori della propria città che offrano un servizio gratuito, ma una terapia psicologica completa, che agisca a fondo sui traumi della persona e su una problematica tanto specifica, difficilmente viene condotta  e portata a termine in un consultorio. Per questa ragione le donne vengono spesso indirizzate verso percorsi sessuologici in studi privati, che richiedono però un investimento economico notevole. Questo aspetto può quindi costituire un forte deterrente a intraprendere una terapia.

Parlare di vaginismo è ancora oggi un tabù. Per questa ragione spesso le donne nascondono il loro problema, sviluppando un senso di colpa e di inadeguatezza profondi e andando incontro a frustrazione non solo sul piano sessuale. Il primo passo da compiere è prendere consapevolezza del proprio disturbo senza farsi prendere dal panico. Per non accentuare ansie e angosce, che non giovano alla guarigione, è bene confidarsi con persone vicine e fidate e figure professionali specializzate, in modo da liberarsi un passo alla volta dai tabù e dalla vergogna che ne deriva e intraprendere un percorso di guarigione. Ciò che oggi è quanto mai necessario è parlare apertamente dell’esistenza di questa problematica; in questo modo potremo abbattere più facilmente i muri che ci impediscono di chiedere aiuto quando serve e porre rimedio alla diffusa ignoranza e alla scarsa informazione che orbitano intorno a questa patologia, che compromette gravemente la vita sessuale delle donne che ne sono affette. Dal vaginismo si guarisce. L’unica cosa da fare è prenderne coscienza ed essere consapevoli di non essere sole, in modo da intraprendere un percorso terapeutico adeguato alle esigenze di ciascuna.

Segui Giulia su The Vision