La prima molecola di LSD venne scoperta e sintetizzata dal chimico svizzero Albert Hofmann a partire da un fungo parassita delle graminacee, l’ergot della segale cornuta. Era il 1938, ma prima del 1943, quando ne assunse per errore una dose, non avrebbe mai potuto immaginare gli incredibili e inediti effetti sulla mente che poteva riservare. In realtà da centinaia di anni già in diverse culture, in particolare di Messico e America Centrale, le sostanze psichedeliche – dalla psilocibina contenuta nei cosiddetti funghi allucinogeni a tè come l’ayahuasca in Sud America – venivano utilizzati in riti individuali o collettivi per espandere la propria coscienza e agevolare le esperienze di tipo spirituale.
A rendere queste pratiche note al mondo occidentale fu Robert Gordon Wasson, un banchiere di Manhattan e appassionato micologo recatosi 1955 a Oaxaca, in Messico, per partecipare insieme alla moglie a un rituale a base di funghi psichedelici officiato dalla curandera della tribù dei mazatechi. Il resoconto in parole e fotografie – ad accompagnarli c’era anche un reporter – uscì sulla rivista Life nel 1957. Come racconta Michael Pollan nel suo saggio del 2019 Come cambiare la tua mente, se la conoscenza dell’LSD scoperto qualche anno prima e della psilocibina era stata confinata ai ricercatori e ai professionisti della salute mentale, in quel momento le due molecole divennero “mainstream”.
La rivoluzione degli psichedelici che esplose negli anni Sessanta fu innanzitutto il frutto del moltiplicarsi delle ricerche da parte di moltissimi scienziati americani impegnati nella sperimentazione dei trattamenti, soprattutto con l’LSD, di disturbi come l’alcolismo, la dipendenza da nicotina, la sofferenza mentale dei malati terminali e i disturbi di tipo depressivo, contribuendo a curare migliaia di persone, come testimoniamo oltre 1000 articoli e 40mila volontari coinvolti. Gli effetti furono considerati così straordinari che divenne di moda sottoporsi a questi trattamenti e pian piano crebbe un mercato nero di queste sostanze, usate a scopo sempre più ricreativo, finché non vennero messe al bando nel 1968 da parte della Federal Drug Administration statunitense (FDA), che le classificò come droghe dal massimo potenziale di danno e dipendenza da proibire per qualsiasi uso medico. La responsabilità viene generalmente attribuita allo psicologo statunitense Timothy Francis Leary, bollato dal presidente Nixon come l’uomo più pericoloso d’America per la sua propaganda esagerata sull’efficacia della psilocibina nel rivoluzionare la mente umana ed espandere la coscienza. Giocarono la loro parte anche i rarissimi casi di suicidi legati all’assunzione di allucinogeni o all’utilizzo dell’LSD da parte di Charles Manson per controllare gli adepti della sua setta, tutti aspetti che contribuirono a dare di queste sostanze una percezione sbagliata.
Dopo alcuni decenni di stop, dalla fine degli anni Novanta la ricerca a livello internazionale sull’LSD e le altre sostanze psicoattive è ricominciata, trainata dai vecchi baluardi della ricerca e dagli eredi come Rick Doblin, fondatore nel 1986 dell’associazione MAPS – Multidisciplinary association for Psychedelic Studies, il primo centro studi internazionale per la ricerca psichedelica nato con lo scopo di riabilitare queste sostanza per legalizzarne l’uso terapeutico, aiutando gli scienziati a progettare, finanziare e ottenere l’approvazione ufficiale di studi sulla sicurezza e l’efficacia di una serie di sostanze controllate da parte della FDA e dell’EMA (Agenzia europea per i medicinali). Il clima non sembrava il migliore, dato che l’anno prima era appena stata messa al bando l’MDMA, ma a poco a poco questo rinnovato impegno ha cominciato a dare i suoi frutti, soprattutto nell’esplorare le possibilità di trattare la depressione, facendo parlare di un vero e proprio rinascimento psichedelico con studi in Germania, Svizzera, Stati Uniti e Inghilterra.
“Questo centro rappresenta uno spartiacque per la scienza psichedelica; un simbolo del suo riconoscimento a livello mainstream. Gli psichedelici avranno un forte impatto sulle neuroscienze e sulla psichiatria nei prossimi anni”. Con queste parole il professor Robin Carhart-Harris, a capo dell’Imperial Centre for Psychedelic Research di Londra e inserito tra le 100 personalità più influenti dell’anno secondo Time, ha inaugurato il nuovo centro studi nato a Londra nel 2019, il primo nel mondo a investigare gli effetti sul cervello dell’LSD attraverso il brain imaging (una tecnica diagnostica che consente di visualizzare l’attività cerebrale in corso) e a studiare la psilocibina come trattamento per la depressione maggiore, in particolare nei malati terminali. Appena qualche mese dopo è stato inaugurato l’osservatorio della John Hopkins di Baltimore, in Maryland, e a settembre 2020 è stata la volta del centro di ricerca presso l’università di Berkeley in California, mentre a gennaio 2021 è stato annunciata l’apertura di un centro per la ricerca psichedelica presso il Mount Sinai Health System di New York.
Forse hanno però fatto più scalpore il boom di notizie nel corso del 2017 sul microdosing di droghe utilizzate per esaltare la creatività e la reattività del cervello – come racconta Pollan nel suo libro, la nascita della Silicon Valley e di imperi come quello di Steve Jobs e Bill Gates potrebbero dovere molto all’uso degli stupefacenti in questo senso –, ma anche i risultati degli studi su disturbi che fino a oggi sono stati sempre trattati con psicoterapia e farmaci sono incoraggianti, e potrebbero davvero fare la differenza. A inizio maggio 2021 è arrivata la conferma che l’MDMA, anche nota come ecstasy, si è dimostrata efficace anche nella fase 3 di test nel supporto alla psicoterapia e nel trattamento di coloro che soffrono di sindrome da stress post traumatico, secondo una ricerca della Johns Hopkins finanziata da Doblin e dal MAPS. Prima che questa sostanza possa essere approvata per uso terapeutico dalla FDA ci vorrà un secondo esito positivo alla Fase 3, la cui ricerca si dovrebbe concludere nel 2023. Secondo gli esperti il potenziale dell’MDMA nel trattamento di disturbi come il disordine ossessivo compulsivo – ma anche quelli alimentari come l’anoressia, la depressione e l’ansia, compresa quella delle persone adulte che soffrono di autismo, oltre che la cefalea – è altissimo. In alcuni casi hanno già dimostrato di poter cambiare la vita a persone su cui gli antidepressivi non hanno mai avuto effetto, come il 20% degli affetti da depressione.
Grazie alle tecniche di neuroimaging, alcuni studi hanno mostrato risposte del cervello simili nell’utilizzo di psilocibina ed LSD, ma anche ketamina, DMT, il principio attivo dell’ayahuasca e della mescalina, sintetizzata a partire dal fungo peyote. Cos’hanno in comune gli antidepressivi tradizionali e queste sostanze? La loro azione sulla serotonina, banalmente conosciuta come l’ormone della felicità. Gli antidepressivi tradizionali, come l’Escitalopram, funzionano come inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI). La loro azione sul cervello ne inibisce la risposta, soprattutto nelle situazioni di stress, standardizzando quindi la risposta in caso di situazioni positive o negative e stabilizzando così l’umore: “Questo attenua non solo i sentimenti più debilitanti, ma smorza anche le emozioni positive”, spiega Robin Carhart-Harris. Il tutto accompagnato da effetti collaterali di vario tipo, tra cui i più classici “cefalea, insonnia, sonnolenza, capogiri, parestesie, tremore, riduzione dell’appetito, ansia, irrequietezza, sogni anomali, nausea, vomito, stipsi, bocca secca, affaticamento”, ma anche riduzione della libido e anorgasmia, che possono rendere la vita sessuale di uomini e donne molto difficile, se non a loro volta traumatica.
“Quello che avviene con gli psichedelici”, spiega il professor Carhart-Harris, “è praticamente l’opposto. Questi permettono un confronto brutale con le radici della propria sofferenza che può portare le persone a capire meglio da dove abbia origine la loro depressione”. La psilocibina, rispetto agli antidepressivi, aumenterebbe la connessione emotiva dei pazienti, anziché sedarla, e permetterebbe di accettare con più facilità le emozioni negative. Questo accade perché, come dimostrato da studi clinici su animali, gli psichedelici favorirebbero la neuroplasticità, cioè la capacità del cervello di produrre nuove connessioni neuronali. Proprio grazie a questi effetti si è parlato di espansione della coscienza, e molte di queste esperienze sono state interpretate in senso spirituale, dando il via negli anni Sessanta al movimento New Age. Sperimentando una progressiva dissoluzione del sé e dell’ego, la mente umana, una volta superata la paura di lasciarsi andare alle visioni scaturite dalle sostanze, arriverebbe secondo i resoconti a emanciparsi dai modelli costruiti e consolidati dell’esperienza, accettando più facilmente il corso degli eventi e ritrovando quel senso di meraviglia tipico dell’infanzia. Per alcuni questo tipo di esperienza costituisce una vera e propria illuminazione, connotata da riferimenti spirituali anche a seconda della propria cultura o dalle informazioni che vengono associate prima del viaggio alle sostanze assunte.
Nell’aprile 2021, un trial clinico alla fase due, condotto dai ricercatori dell’Imperial College, è riuscito a mettere a confronto l’uso terapeutico della psilocibina rispetto ai più tradizionali antidepressivi come l’Escitalopram, dimostrando analoga se non maggiore efficacia nel trattamento. E con effetti duraturi. Il risultato, secondo Roland Griffiths, direttore del Center for Psychedelic and Consciousness Research della Johns Hopkins University – che non ha partecipato a questo particolare studio, ma fa ricerca nello stesso ambito – sarebbe “grandioso”. Uno studio del 2020 condotto dalla sua Università e pubblicato su Jama Psychiatry riporta che in alcuni casi la psilocibina si era dimostrata quattro volte più efficace degli antidepressivi tradizionali sul mercato e un altro che si era dimostrata efficace anche sulla depressione maggiore, raggiungendo anche una completa remissione. Il suo effetto può manifestarsi dopo solo una o due dosi, mentre percorsi di psicoterapia o di cura con antidepressivi possono richiedere mesi, se non anni di lavoro, grazie allaloro capacità di intervenire sulla consapevolezza del sé e sulla rottura del cosiddetto meccanismo di “ruminazione” dei pensieri negativi, che rende ancora più difficile l’auto aiuto.
Terapie di questo genere dovrebbero ovviamente avvenire sotto lo stretto controllo medico, e non solo abbinate a un percorso parallelo di psicoterapia, ma soprattutto in un setting studiato e particolare che permetta all’esperienza di aver luogo in sicurezza e nelle migliori condizioni possibili, sotto il controllo di una guida esperta e formata che possa evitare i cosiddetti “bad trip”, impossibili da escludere al 100% come anche le reazioni psicotiche in coloro che hanno in famiglia storie di schizofrenia e altre psicosi – anche se uno studio del 2015 ha comunque escluso la correlazione e da quando sono ricominciate le ricerche negli anni Novanta non risultano eventi avversi in fase di sperimentazione. L’importanza del setting e di una guida erano già stati teorizzati durante le prime ricerche a metà del Novecento da Leary, a partire dalle esperienze dei ricercatori Humphry Osmond e Abram Hoffer. Poiché queste sostanze, quando fanno effetto, possono portare infatti a una progressiva dissoluzione del sé e dell’ego, insieme a condurre i soggetti alle radici del proprio trauma attraverso allucinazioni, la sicurezza di un ambiente controllato, accogliente e con un giusto sottofondo musicale, diventano fondamentali per la riuscita del viaggio.
“Gli psichedelici, sono sostanze estremamente potenti, e per questo non devono essere usate per divertirsi”, ci tengono a sottolineare gli scienziati, ben attenti a non generare o alimentare fraintendimenti che potrebbero rivelarsi pericolosi e a evitare sensazionalismi che potrebbero minare la percezione della ricerca e i processi di depenalizzazione come accaduto nel secolo scorso. Escluse MDMA e ketamina, che in quanto derivato anfetaminico potrebbe dare dipendenza, LSD, psilocibina e ayahuasca non pongono pericoli di questo genere. Il numero delle persone esaminate nei trial di questi ultimi anni è senz’altro minore di quelli a cui sono stati sottoposti i volontari per la sperimentazione di altri medicinali, ma questo non deve impaurire, soprattutto tenendo conto di uno studio della rivista medica The Lancet che nel 2007 posizionava in una scala di pericolosità, dietro ai primi posti di eroina e cocaina, alcol e tabacco, considerati più dannosi di canapa, LSD e MDMA, sostanze fino a quel momento considerate e legalmente classificate come droghe pesanti. L’alcol, nel portare a devianza e soprattutto a dipendenza, come dimostrano nuovamente studi recentissimi, è sicuramente il peggiore. Qualche anno dopo la stessa rivista si è chiesta se la psilocibina sia da considerarsi una panacea o un placebo, e la risposta dovrebbe probabilmente essere nessuna delle due ipotesi. “Le persone mi chiedono in cosa credo, e io rispondo che credo nei dati”, dice Roland Griffiths. “La terapia con psilocibina non funzionerà senz’altro per tutti e siamo ancora a una fase di ricerca molto acerba nel capire quali persone potrebbero essere più sensibili al trattamento. Ma che ci sia qualcosa di vero è indubitabile”.
L’Organizzazione mondiale della sanità definisce la depressione “la maggior causa di disabilità nel mondo”, di cui soffrirebbero 264 milioni di persone, per la maggioranza donne. ll mercato degli antidepressivi vale circa 12,5 miliardi di euro l’anno mentre per il momento non è chiaro come questo tipo di ricerca possa divenire monetizzabile, soprattutto visto che, come già accennato, potrebbero bastare anche un paio di sedute per risolvere alcuni disturbi, rendendo superflui cicli infiniti di terapia psicologica e psichiatrica. Eppure, anche volendo considerare la produttività e il profitto come obiettivi a tutti i costi, più importanti del benessere psicofisico dei singoli e dunque della società, gli psichedelici curando disturbi che affliggono milioni di persone e lavoratori ogni anno e potrebbero ridurre i costi umani ed economici delle patologie mentali (come dimostra la recente quotazione in borsa della Mindmed Company). Proprio per questo numerosi Stati degli Stati Uniti stanno progressivamente legalizzando e depenalizzando la psilocibina a scopi terapeutici – e ricreativi – come l’Oregon a fine 2020 e la California nell’aprile 2021, dopo che la FDA nel 2018 ha approvato l’utilizzo della psilocibina per una sperimentazione sulla depressione. Secondo David Nutt, ricercatore dell’Imperial College al fianco del professor Carhart-Harris, entro cinque anni questi trattamenti potrebbero diventare pratica comune negli Stati Uniti.
È bello immaginare, se davvero si realizzassero le promesse di queste sostanze capaci di curare in modo rapido e senza rischi di dipendenze, di poter lenire la depressione in un paio di somministrazioni, permettendo in un futuro prossimo di non dover sostenere mesi o anni di costosa psicoterapia che lo Stato e gli enti professionali in Italia non rimborsano – e che pochi possono permettersi di portare avanti con continuità. Allo stesso modo, sarebbe bello avere uno strumento per alleviare la sofferenza non solo fisica ma anche mentale dei malati terminali, che possa in qualche modo portare a ridurre i numeri di suicidi e, perché no, a combattere il trauma di una pandemia che lascerà dei segni a lungo termine. Mentre all’estero, tra Stati Uniti, Canada e alcuni Paesi europei la ricerca prosegue con ottimi risultati, in Italia la coltivazione di funghi allucinogeni, considerati sostanze psicotrope, è a oggi vietata e costituisce un reato per cui è prevista la reclusione in base al testo unico sugli stupefacenti (art. 73 D.P.R. 309/1990).
I farmaci cannabinoidi, invece, sono circondati dallo stigma, e ogni volta che si parla di droghe a scopo terapeutico per alleviare dolore fisico o disagio mentale si grida al pericolo delle dipendenze, a chissà che tipo di pericolo e cospirazione, senza mai trovare un accordo a livello legislativo. “In materia di droghe in Italia prevale l’ideologia sulla scienza, i pregiudizi sui fatti”, ci dice in merito Marco Cappato, fondatore dell’Associazione Luca Coscioni. “L’ideologia proibizionista non può ammettere che si dia importanza al potenziale terapeutico di una droga proibita, perché andrebbe contro all’imperativo di trattare ogni sostanza come un male assoluto, indipendentemente dalla qualità, dalla quantità e dalle modalità di utilizzo”. Il contesto internazionale, continua Cappato, “è la nostra più grande speranza, perché aiuta a riconoscere che il Re è nudo. Gli Stati Uniti hanno guidato per decenni la War on drugs. Oggi molti loro Stati legalizzano cannabis e psichedelici a colpi di referendum. L’onda arriverà anche da noi, cerchiamo però di non lasciar passare troppo tempo”.