A chiunque sarà capitato di chiedersi come sarebbe la propria vita senza la preoccupazione di ingrassare o di perdere i capelli. Nessuno, abbiamo sempre pensato, ha però il potere di influire, chirurgia a parte, sul proprio aspetto: è tutto scritto nei nostri geni, unità di informazione codificate dal nostro DNA, che ereditiamo dai nostri genitori e che dovrebbero essere immutabili per l’intero corso della nostra vita. Negli ultimi anni, tuttavia, gli scienziati hanno fatto passi da gigante per riuscire a sfuggire al “destino” e studiato e sviluppato tecniche che permettono di correggere quei geni e di curare mali ben più seri di una calvizie precoce.
Molte malattie genetiche ereditarie mettono seriamente a rischio la qualità della vita o la stessa sopravvivenza: sclerosi multipla, distrofia muscolare, progeria o malattie metaboliche come il diabete, per citarne alcune. Tutte disfunzioni che hanno origine nella stessa causa, la mutazione di almeno un gene. Quando un gene muta, una piccola parte di esso cambia in maniera casuale; un fenomeno raro, per cui il gene può perdere la propria funzione originaria, “spegnendosi”, o può invece acquisire un comportamento anomalo, interferendo con altri processi e causando danni maggiori.
Ecco che entra in scena il gene editing, la “correzione dei geni” – di cui abbiamo tutti sentito parlare, ad esempio, riguardo alla produzione di OGM. Nel tempo, le tecniche di modificazione genetica si sono moltiplicate ed evolute: alcune, per esempio, prevedono il trattamento di virus altamente infettivi, che vengono “svuotati” del genoma per essere resi innocui e poi “riempiti” con quelle sequenze di DNA che si vorrebbero inserire nelle cellule. Questo processo è molto efficace, ma richiede un’attenta analisi dei luoghi in cui questi geni andrebbero a inserirsi, per evitare che ne distruggano altri o che causino mutazioni indesiderate. I virus, infatti, non hanno la capacità di decidere in che punto del DNA collocare la sequenza, e visto che la maggior parte del nostro DNA non contiene nessuna informazione (viene chiamato “DNA spazzatura”), mentre solo il 10-25% contiene geni, è molto probabile che i virus possano in maniera casuale intervenire in un punto della sequenza priva di geni. Inoltre, il gene editing sul corpo umano impone delle cautele ancora diverse dalla sperimentazione in vitro, come ad esempio la certezza assoluta della qualità dei geni utilizzati.
Nel 2012 una nuova tecnica ha letteralmente rivoluzionato la biologia molecolare e le sue possibilità: si tratta di CRISPR/Cas9, definita da molti la “forbice molecolare” perché, a differenza di tutto il gene editing che si è fatto in precedenza, permette di individuare un punto preciso del DNA e di intervenire esclusivamente su esso, tagliandolo. CRISPR sta per Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats, in italiano “ripetizioni palindromiche raggruppate e spaziate regolarmente”: è questo il nome che descrive una sequenza di RNA, l’acido nucleico analogo al DNA che serve a esportare dal nucleo le informazioni; una sequenza creata in laboratorio e “gemella” rispetto a quella di DNA che si vuole tagliare. Cas9 invece è una nucleasi, una proteina-forbice che, servendosi delle informazioni di CRISPR, individua e taglia quel punto preciso.
Quando viene tagliato, il DNA normalmente si ripara da solo. “Richiama” degli enzimi che possano ricucirlo e viene da essi aggiustato. Se per caso, però, nei paraggi c’è un segmento di DNA omologo, cioè che contiene ai suoi estremi delle sequenze di DNA identiche a quelle che sono state tagliate, questo nuovo frammento viene inserito al posto del segmento mancante. In questo modo è possibile aggiungere un intero gene o sezioni di esso: basta infatti inserire nelle cellule sia CRISPR/Cas9 che il nuovo gene, con le estremità modificate in modo che risultino uguali alla zona del taglio. Questa tecnica sta semplificando enormemente la vita degli scienziati.
Queste “forbici molecolari” stanno segnando la storia perché danno la possibilità di curare in maniera estremamente precisa, e relativamente semplice, non tanto la sintomatologia e gli effetti di malattie complesse, gravi e invalidanti, quanto le cause stesse. I ricercatori stanno conducendo ogni anno sempre più studi che coinvolgono questa tecnica, con lo scopo di trovare una cura per le malattie esistenti o in grado di contrastare, in prospettiva, nuove patologie. In un futuro non troppo lontano, i risultati di queste ricerche potranno essere applicati per curare effettivamente le persone.
Queste tecnologie, oltre a risolvere malattie come il diabete, i tumori e le leucemie, potrebbero essere utilissime anche nella cura dell’AIDS, malattia che si sviluppa dopo essere stati infettati dal virus HIV. È una sindrome da immunodeficienza acquisita, il che significa che il virus attacca e uccide tutti i linfociti del paziente, rendendolo così vulnerabile da rischiare la vita anche per un banale raffreddore. Ben lontani dagli anni in cui la morte era quasi inevitabile, ora i pazienti possono sopravvivere grazie a un cocktail di farmaci da prendere ogni giorno, per tutta la vita, purtroppo con svariati effetti collaterali. Pare che ora la prospettiva di una guarigione sia possibile: si è infatti scoperto qual è il recettore che permette al virus di infettare la cellula. Al mondo esiste una minoranza di persone che presentano naturalmente una mutazione di tale recettore, che le rende resistenti all’HIV. In coloro che invece non hanno questa mutazione il recettore potrebbe essere eliminato, come è già successo con Timothy Brown. Ammalatosi di HIV a Berlino, dove si era trasferito nel 1995 per motivi di studio, dieci anni dopo Brown aveva sviluppato anche una forma di leucemia. È stata proprio la leucemia a costringerlo a un trapianto di midollo osseo, unica cura per questo tipo di patologia. I medici hanno trovato un donatore di midollo compatibile con Timothy – circostanza già rara – e, caso più unico che raro, questo donatore presentava anche la mutazione del famoso recettore che rende immuni all’HIV. Oltre a guarire dalla leucemia, quindi, Timothy è stato il primo uomo a guarire dall’AIDS.
Prendendo questa storia come riferimento, i ricercatori hanno trovato il modo per replicare il meccanismo su altri pazienti, senza bisogno di cercare un donatore compatibile, bensì solo modificando geneticamente il midollo osseo del paziente, per trasmettergli la mutazione.
Anche in Italia abbiamo le nostre eccellenze nel campo. L’anno scorso è stato pubblicato su Nature, una delle riviste scientifiche di riferimento, un risultato senza precedenti ottenuto dal team di ricerca di Michele De Luca, all’Università di Modena e Reggio Emilia, nella trattazione dell’epidermolisi bullosa. Si tratta in questo caso di una malattia genetica che rende la pelle molto fragile a causa della mancanza di una particolare proteina, che porta a ogni urto o sfregamento alla formazione di bolle, fino al distacco della pelle. Oltre a essere una patologia molto dolorosa, è facile che le lesioni si infettino e, nei casi più gravi, le persone sono costrette all’immobilità per evitare la perdita della pelle a ogni movimento. Hassan, bambino siriano affetto da questa malattia, scappato in Germania per via della guerra nel Paese d’origine, a seguito di una brutta infezione ha perso l’80% della propria pelle ed è stato per questo rinchiuso in ospedale, tenuto sotto cure costanti e immobilizzato, ma con ben poche speranze di farcela. L’équipe di De Luca ha ottenuto i permessi per utilizzare un trattamento sviluppato nel proprio laboratorio come cura compassionevole: è stata così inserita la correzione al gene responsabile della malattia in alcune cellule staminali della pelle di Hassan, e da queste sono stati sviluppati in laboratorio sottilissimi fogli di pelle da trapiantare poi sul bambino. La procedura ha funzionato e oggi Hassan può di nuovo giocare all’aperto come un bambino normale.
Oggi queste tecniche si utilizzano per curare malattie potenzialmente mortali riparando di fatto un deficit, ma è già possibile immaginare applicazioni diverse. In altre parole, un giorno si potranno probabilmente modificare geni che non sono responsabili di malattie, potenziando capacità che già abbiamo, oppure introducendone di nuove. E, in prospettiva, sarà possibile modificare gli embrioni, per decidere come saranno i propri figli.
Il gene editing su embrioni umani è già stato realizzato, ma si è trattato semplicemente di una dimostrazione di fattibilità – anche perché mantenere un embrione in coltura in laboratorio per più di 14 giorni è vietato dalla comunità scientifica internazionale. Nel 2017 è stato pubblicato uno studio sviluppato alla Oregon Health and Science University: i ricercatori hanno utilizzato CRISPR/Cas9 su embrioni umani per correggere una mutazione che causa cardiomiopatia ipertrofica, malattia genetica che porta all’ingrossamento delle pareti del cuore, causando infarti e arresti cardiaci in persone anche molto giovani. Questo studio ha portato a un acceso dibattito sull’utilità di tale tecnica, poiché la maggior parte di coloro che sono consapevoli di essere portatori di una malattia genetica può anche evitare di ricorrere a metodi così drastici e costosi, scegliendo piuttosto la fecondazione in vitro e la selezione pre-impianto di embrioni sani. Esiste però una ristretta minoranza di individui per le quali la selezione pre-impianto non è un’opzione: ad esempio, nel caso in cui entrambi i genitori abbiano la malattia, non c’è possibilità di selezionare un gene sano da salvare. In un futuro queste persone potranno ricorrere alla scienza per avere un figlio sano.
Al momento i costi per ingegnerizzare cellule o esseri umani sono altissimi, per non parlare delle istanze etiche che limitano ampiamente l’utilizzo di queste tecniche ai soli casi in cui possano costituire davvero l’unica soluzione di guarigione. Con il tempo, tuttavia, le tecniche si evolvono, diventando meno costose, e i limiti etici possono spostarsi. Dipende solo dallo Stato in cui ci si trova e dalla commissione che ne ha stabilito le linee guida, utili a evitare che per raggiungere uno scopo si vada a ledere il bene comune, nel breve e lungo termine. La bioetica, però, ha a che fare con dilemmi morali tutt’altro che semplici, visto che non è sempre immediata la decisione di dove si trovi il bene comune. Ad esempio, per una certa comunità può essere molto importante mantenere dei tratti specifici, pena l’esclusione. Nel 2002, seguendo questo principio, una coppia di lesbiche sorde ha cercato un donatore di sperma sordo per avere un figlio con lo stesso deficit. Se, da un lato, la normalizzazione delle disabilità è un principio socialmente inclusivo, al quale è giusto puntare in funzione di migliori condizioni di salute, dall’altro l’idea di programmare la nascita di un figlio disabile risulta immorale.
Decidere cosa sia fondamentale o meno, cosa rappresenti una cura e cosa un potenziamento è un fatto tutt’altro che universale. Dipende dalla cultura di riferimento, ed è quindi difficile trovare il limite tra il progresso scientifico e un futuro distopico alla Huxley, in cui la dignità umana è calpestata. È un lavoro da bioeticisti ed è proprio a immaginare il futuro e a capire come plasmarlo che servono i comitati etici e le convenzioni internazionali di biodiritto, come la dichiarazione di Helsinki e la convenzione di Oviedo. C’è chi dice che modificare e selezionare gli embrioni prima dell’impianto per eliminare malattie genetiche sia un dovere, un modo per evitare future spese al sistema sanitario e garantire vite più felici; c’è chi invece ci vede una riedizione ingentilita dell’eugenetica nazista dell’Aktion T4. Rimane un fatto: nessuna tecnica è intrinsecamente buona o cattiva, sono le scelte delle persone ed il modo in cui viene applicata a renderla tale.
In ogni caso, viste le possibilità che CRISPR/Cas9 offre, non è da escludere che si possa un giorno creare persone più intelligenti, più alte, con sensi più sviluppati, libere da ogni malattia e che potranno vivere più a lungo. Possiamo immaginare un mondo in cui tutti abbiano accesso a queste tecniche, oppure immaginarne uno in cui chi ne ha la possibilità potrà permettersi vite e figli perfetti, mentre gli altri dovranno accontentarsi di ciò che la genetica tradizionale offre loro. Evitiamo di essere impreparati alla scelta, quando toccherà a noi decidere, con il referendum di turno.