“Se cambio io, cambia il mondo” è uno slogan efficace e incisivo, che ci fa cogliere immediatamente il valore della responsabilità individuale nel dare un contributo per migliorare l’ambiente in cui si vive. Eppure, rischia anche di essere una trappola. Spesso, infatti, ci autoassolviamo dai problemi sociali, ambientali e politici raccontandoci che tanto noi facciamo “la nostra parte”, ma le cose sono più complesse di così, e il caso della crisi climatica è lampante. Per quanto, per esempio, possa essere utile adottare una dieta vegetariana o limitare al minimo i viaggi in aereo, l’impegno di ciascuno di noi deve essere affiancato da politiche istituzionali, in grado di rendere sistematiche e strutturali alcune fondamentali pratiche virtuose, educando e sensibilizzando cittadini e aziende e prevedendo importanti programmi di riconversione. Proprio perché prima di essere animali sociali, sembreremmo essere individui irrimediabilmente pigri, ed è più facile riuscire a cambiare le nostre abitudini tutti insieme piuttosto che ciascuno trovi la voglia e le risorse per farlo da solo. Tra questi interventi su larga scala rientra senza dubbio l’urgenza di cambiare il nostro modo di spostarci in città e di viaggiare e gli investimenti nella smart mobility.
Secondo Renato Mazzoncini, professore al Politecnico di Milano, per smart mobility si intende “il servizio personalizzato disponibile on demand, che fornisce agli individui l’accesso istantaneo a un sistema continuo di trasporti puliti, ecologici, efficienti e flessibili per soddisfare tutte le loro esigenze”. La necessità di intervenire con decisione per cambiare il paradigma della mobilità – urbana, ma non solo – infatti, deriva direttamente dalla lettura dei dati a riguardo. Il settore dei trasporti è uno dei principali responsabili dell’inquinamento globale, contribuendo al 24% delle emissioni di anidride carbonica. Nello specifico, quasi la metà dell’anidride carbonica che viene rilasciata dipende dai veicoli per il trasporto personale, come auto, moto, autobus e taxi, proprio quelli che sarebbero maggiormente toccati dalla smart mobility.
In particolare, negli ultimi anni è emerso il concetto di Mobility as a Service (MaaS), una nuova idea di mobilità che permette ai cittadini di usufruire di diversi mezzi di trasporto pubblici e privati – come bus, metro, treni, car sharing, scooter, bici e monopattini – attraverso un unico canale digitale, combinandosi in una filiera che permette di viaggiare in maniera più sostenibile. In sostanza, si tratta di passare da un modello di trasporto urbano inquinante e frammentato tra vari attori – l’auto privata, l’autobus dell’azienda a partecipazione pubblica e così via – a uno in cui i vari attori che si occupano di mobilità cooperino tra di loro attraverso la tecnologia digitale, offrendo un servizio su misura meno impattante dal punto di vista ambientale, in cui gli utenti possano accedere attraverso una sola app a vari servizi di trasporto pubblico e privato. Come riporta il Future Mobility Finland, il MaaS combina le opzioni di trasporto di diversi fornitori, gestendo tutto, dalla pianificazione del viaggio ai pagamenti e offrendo informazioni di viaggio in tempo reale, grazie alla condivisione dei dati. Non esiste un’unica forma di MaaS e si possono sviluppare diversi modelli a seconda delle necessità di ciascuno. Gli utenti, per esempio, possono scegliere di acquistare viaggi su richiesta o abbonarsi a un pacchetto mensile. Tuttavia, l’importante è che il trasporto pubblico rappresenti sempre la spina dorsale del sistema, in modo da ridurre al minimo gli sprechi e le emissioni di CO2.
Il MaaS si basa quindi non solo su novità tecnologiche e infrastrutturali, ma anche culturali. Il punto cruciale infatti è passare da una cultura del possesso a una cultura dell’uso. Le varie esperienze di car o bike sharing, che hanno finalmente raggiunto anche le città italiane negli ultimi anni, vanno in questa direzione. Questo tipo di visione però non deve essere abbracciata solo dagli utenti, ma anche da chi fornisce i vari servizi. Come sottolinea nuovamente il professor Mazzoncini, infatti, il Mobility as a Service, può funzionare soltanto se c’è un alto livello di cooperazione tra i vari attori che compongono l’ecosistema della mobilità urbana: dalle aziende private locali al Comune, dalle multinazionali di sharing fino ai singoli cittadini.
Dall’altra parte non bisogna sottovalutare i potenziali rischi di questo sistema. Spesso l’aggettivo “smart” viene utilizzato come sinonimo di modernità, innovazione e trasparenza, per legittimare in realtà pratiche che rischiano di danneggiare i cittadini, come la raccolta non consensuale di dati. Per questo motivo è importante che le nuove tecnologie adottate per la MaaS rispettino criteri come l’anonimità dei dati, la libertà di scelta dell’utente su eventuali tracciamenti e la chiarezza delle condizioni di utilizzo. Più la società diventa digitale, più infatti diventa cruciale la sicurezza e il controllo dei propri dati da parte dell’utente, per esempio attraverso sistemi di data trust.
Un tema che viene spesso trascurato quando si parla di smart mobility è anche quello della giustizia sociale. È importante che nella transizione a un modello MaaS non vengano escluse parti della popolazione che per vari motivi potrebbero fare più fatica a essere integrate nel sistema. Tra queste, bisogna includere anziani con basso livello di alfabetizzazione digitale, coloro che risiedono in zone periferiche, e che sono quindi più difficilmente raggiungibili dai servizi pubblici, o persone che vivono in aree interne del Paese dove ancora manca una connessione internet di qualità. È fondamentale tenere presenti questi elementi affinché la smart mobility possa essere uno strumento democratico, capace di ridurre le disuguaglianze, invece di allargarle.
L’Unione Europea sta provando ad andare in questa direzione, destinando la maggior parte delle risorse del piano Next Generation EU a progetti che mettano al centro la transizione energetica e digitale. Secondo gli obiettivi delle istituzioni comunitarie dichiarati nell’European Green Deal e nel documento “Sustainable and Smart Mobility Strategy”, l’UE punta a ridurre del 90% le emissioni di anidride carbonica entro il 2050. Tra le misure proposte c’è quella di supportare la smart mobility, consentendo per esempio ai passeggeri di acquistare biglietti per viaggi su più mezzi di trasporto, o alle merci di passare da una modalità di trasporto all’altra senza soluzione di continuità. In particolare, la Commissione Europea supporta il progetto MaaS4EU, finalizzato a facilitare l’implementazione del MaaS nelle città europee.
Anche in Italia qualcosa si sta muovendo in questo senso. Milano è la città più all’avanguardia in Italia, essendo dotata di tutti i servizi di vehicle sharing e posizionandosi al primo posto per percorrenze, numero veicoli e numero noleggi, a cui però andrebbe affiancata anche un’educazione stradale dedicata ai nuovi mezzi della micromobilità, monopattini in primis, per aiutare a garantire la sicurezza tanto del guidatore quanto di chi si trova sulla sua strada. Insieme al capoluogo lombardo, sono Torino, Bologna e Firenze a guidare la classifica italiana, ma secondo l’Osservatorio Smart City del Politecnico di Milano, che combina la prospettiva tecnologica con quella dell’effettiva valorizzazione di progetti e applicazioni a favore delle pubbliche amministrazioni e dei cittadini, sarebbero ben 1 Comune su 3 (28%) quelli che nell’ultimo anno hanno avviato un progetto per diventare smart cities. Percentuale che sale al 50% per quelli con più di 150mila abitanti. La progressiva transizione dei motori all’elettrico, tra gli investimenti più attuati, non permetterà solo di tagliare le emissioni, ma anche di ridurre la dipendenza dal petrolio, suscettibile, come mai in questo periodo, di fluttuazioni di prezzo per effetto delle complesse condizioni geopolitiche nei Paesi produttori.
Se alle opportunità più avveniristiche, come i veicoli a guida autonoma, l’utilizzo di droni e la connessione tra semafori e app dei guidatori si aggiungono misure come gli incentivi all’acquisto di auto ibride ed elettriche, il rimborso delle spese e detrazioni per realizzare infrastrutture di ricarica e la possibilità di accedere alle aree a traffico limitato, diventa più facile superare le resistenze nei confronti delle opportunità della Smart Mobility. Ed è un’ottima notizia: in Italia sistemi più capillari avrebbero ricadute enormi, se si pensa che l’87% dei lavoratori usa un mezzo di trasporto, che nel 75% dei casi è l’auto. La mobilità smart ci permetterebbe di passare il tempo in modo più piacevole, oltre a farci respirare aria più pulita. Rivedere le nostre abitudini alimentari, come ridurre determinati consumi, è fondamentale, ma senza modificare il nostro approccio alla mobilità resterà insufficiente per dare un contributo significativo alla lotta al cambiamento climatico e dar vita a un Paese più civile.
Questo articolo è realizzato da THE VISION in collaborazione con Telepass, tech company all’avanguardia nella rivoluzione della mobilità in ambito urbano ed extraurbano in un’ottica sempre più innovativa e sostenibile. Grazie a un’unica app che tiene insieme un esclusivo metodo di pagamento e una pluralità di servizi legati alla smart mobility, come le strisce blu, il carburante o la ricarica dell’auto elettrica, l’uso di monopattini, bici e scooter in sharing, l’acquisto di biglietti per treni e pullman, il noleggio di auto, il pagamento del bollo o a favore della Pubblica Amministrazione, Telepass trasforma ogni spostamento in un’esperienza senza confini.
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