Le montagne rischiano di essere distrutte dalla crisi climatica. Dobbiamo agire per proteggerle. - THE VISION

Quest’estate, purtroppo, non serviva avere particolari competenze in termini di glaciologia per rendersi conto, mentre scendevamo dalla Skyway Monte Bianco sulla cima di punta Helbronner – una montagna di oltre tremila metri sopra Courmayeur –, di quanto fossero precarie le condizioni dei ghiacciai d’alta quota. Il ghiacciaio del Gigante, proprio lì di fronte, si presentava già a fine primavera in condizioni tipicamente estive. A metà giugno le guide alpine paragonavano il manto glaciale a quello che si trova normalmente a fine stagione, con le temperature che ne ammorbidivano lo strato superficiale già di prima mattina. Basta dare uno sguardo ai rapporti di alcune vie storiche della zona per rendersi conto di quanto le condizioni siano variate nel corso di una sola estate: oggi, infatti, a causa della perdita di spessore del ghiaccio sono cambiati di molto gli attacchi dei percorsi alpinistici rispetto alle linee definite qualche decennio fa. Naturalmente, tutto ciò non accade soltanto in Val d’Aosta: sul Monte Rosa, i monitoraggi effettuati dal Comitato Glaciologico Italiano in collaborazione con Legambiente hanno rilevato come il ghiacciaio di Indren sia arretrato di 64 metri in due anni. Fino a una trentina di anni fa, lassù, si sciava anche d’estate; il corpo glaciale più a sud d’Europa, “Il Calderone”, sul Gran Sasso, è ormai stato declassato da ghiacciaio a glacionevato. Non sono molto diverse le situazioni nell’altro emisfero: negli ultimi cinquant’anni si è sciolto ben il 63% del ghiaccio perenne sulle Ande a cavallo tra Colombia, Venezuela, Perù, Ecuador e Bolivia; mentre secondo uno studio pubblicato in occasione della Cop27, anche se le emissioni crollerebbero i poli continueranno a sciogliersi provocando la scomparsa dell’Artide nei prossimi dieci anni.

Quello dei ghiacciai è solo uno degli enormi problemi che le aree montane di tutto il mondo si trovano ad affrontare negli ultimi tempi. Gli effetti del cambiamento climatico, tra cui l’aumento delle temperature, sta infatti mettendo in seria difficoltà l’ecosistema montano. Una realtà di cui sembra essersi finalmente accorto anche l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, che ha incluso nel suo ultimo rapporto una sezione incentrata sulle montagne per la prima volta in più di vent’anni. Dati che non fanno che confermare una situazione che chi vive in montagna o la frequenta assiduamente percepisce già da anni: una crescita dei problemi legati alle crisi idriche e agli eventi naturali estremi, un serio impatto sugli ecosistemi e sullo slittamento verso l’alto delle fasce altitudinali – ovvero la tendenza di fauna e flora ad occupare ambienti a quote più elevate a causa delle temperature in aumento e la crescente difficoltà di vivere in territori già di per sé disagiati – per via della carenza di servizi e infrastrutture –, che si fanno sempre più vulnerabili. 

Uno dei problemi più concreti dovuti al cambiamento climatico è inoltre rappresentato dall’alterazione del ciclo dell’acqua. A fronte di una diminuzione delle precipitazioni nevose, si registra infatti un aumento di sporadiche precipitazioni intense che si alternano a lunghi periodi secchi, con conseguenze dirette sulla portata stagionale di torrenti e fiumi. Ciò rappresenta certamente un problema a livello di approvvigionamento idrico, anche per territori che fino a pochi anni fa non percepivano nemmeno il rischio di trovarsi in situazioni di questo tipo. Ma, allo stesso tempo, questa problematica si ripercuote in campo energetico e crea ulteriori squilibri a livello di habitat ittico. L’aumento delle temperature sta spostando poi l’attenzione sulla questione della migrazione di piante e animali verso l’alto, con le specie meno reattive ai cambiamenti destinate a soffrire maggiormente di questa situazione, rischiando in certi casi l’estinzione.

Se le conseguenze di questi eventi sono di per sé tremende, lo sono a maggior ragione in aree in cui i ritmi naturali richiedono tempi più lunghi per adattarsi a diverse condizioni. A questo proposito, negli ultimi anni si è poi fatto sentire in modo spiccato il problema degli incendi boschivi. I lunghi mesi di siccità costringono i territori alpini a lunghi periodi di allerta e ad affrontare con maggior frequenza situazioni di emergenza. Gli incendi, oltre a creare problemi alla popolazione, hanno naturalmente un impatto fortissimo sugli ecosistemi. Ciò che resta una volta spente le fiamme, infatti, sono territori con un maggior pericolo di erosione e di caduta massi, con una destabilizzazione geologica importante.

Non dobbiamo dimenticare che il territorio montano è abitato da più di 14 milioni di persone, la cui vita è inscindibilmente legata all’evoluzione climatica che il contesto sta vivendo, che si ripercuote anche nella crescente fragilità che si sta delineando per chi è occupato nel settore primario. Lo studio dell’evoluzione dei pascoli alpini in ottica di cambiamento climatico, per esempio, è stata oggetto del lavoro di Pastoralp, progetto Life dell’Unione Europea, a testimonianza dell’esigenza di trovare nuovi sbocchi e modi di evolversi da parte di chi fa del rapporto con il territorio il proprio mestiere. È evidente infatti quanto l’impatto ambientale possa essere drammatico per chi vive di agricoltura, trovandosi magari con migliori condizioni in termini di temperature, ma dovendo costantemente far fronte a lunghi periodi di siccità e a repentini sbalzi termici.

Non sono tempi semplici nemmeno per chi pratica sport invernali, d’alta quota o l’alpinismo. Da tempo si parla di un lento tramonto dello sci, travolto dalle difficoltà legate all’innevamento e dalla crisi socio-economica degli ultimi anni, a cui si è sommata quella dovuta alla pandemia. Agli oltre 5.700 chilometri di piste presenti in Italia si deve infatti accostare il crescente numero di impianti dismessi, spesso messi a dura prova dallo scarso innevamento naturale e dai costi proibitivi di quello artificiale, il quale, tra l’altro, ha impatti ambientali pesantissimi. Secondo il dossier Nevediversa di Legambiente, la richiesta energetica per l’innevamento artificiale delle piste è paragonabile a quella per alimentare il consumo annuo di una città grande come Genova. Senza dimenticare che l’innevamento artificiale necessita di temperature al di sotto dello zero termico, che somma alle problematiche economiche e ambientali quelle dovute alla continua mitigazione del clima. La necessità di ripensare il settore e lo sviluppo economico in modo più sostenibile delle aree montane, come quella alpina, fa però i conti con un radicamento profondo dello sci da discesa nel nostro Paese, a cui si stima siano legati circa 400mila posti di lavoro, diretti e indiretti. Per chi ama avventurarsi tra le vette più alte praticando alpinismo e sport d’alta quota, invece, i cambiamenti delle montagne sono soprattutto una questione di sicurezza. Ciò che è accaduto nel luglio scorso sulla Marmolada, con il distacco di un seracco che ha causato la morte di diverse persone, ne è uno degli esempi più recenti. Il periodo luglio-settembre 2022 ha infatti registrato un +1,3°C di media, con lo zero termico rimasto per gran parte dell’estate ben al di sopra le quote alpine. La diretta conseguenza è la degradazione del permafrost, con maggiori rischi di frane e distaccamenti. Per questa ragione, la difficile gestione dell’evoluzione climatica di questi periodi richiede una rivisitazione del modo e dei tempi di fruizione della montagna, con la necessità di una ancor più attenta valutazione delle condizioni degli itinerari.

Gli impatti del riscaldamento globale rappresentano una profonda minaccia per tutte le regioni montuose del mondo. La tutela di queste aree, che non possono essere lasciate sole di fronte a tali stravolgimenti, deve essere una priorità assoluta nell’agenda governativa internazionale. In primo luogo, con un’azione finalizzata ad accompagnare i territori nell’adattamento alle nuove condizioni esistenti, attraverso ingenti investimenti in termini di pianificazione, ricerca e prevenzione degli eventi che rappresentano una conseguenza diretta e indiretta dei cambiamenti climatici, a cui le terre alte sono particolarmente soggette. Allo stesso tempo, serve sostenere lo sviluppo di queste aree da un punto di vista turistico ed economico, oltre che ampliando l’offerta di servizi essenziali, pur mantenendo e amplificando la consapevolezza dei limiti ambientali come uno dei punti cardine dell’intervento. Valori che – come spiegato dal giornalista Luciano Caveri e dal meteorologo Luca Mercalli durante la 97esima sessione plenaria del Comitato delle Regioni a Bruxelles nel 2013 – “possono essere integrati in una visione moderna attraverso l’aiuto delle nuove tecnologie, producendo conoscenza e modelli di sviluppo che siano utili non solo alle stesse aree di montagna, ma anche alle zone periferiche, e che in molti casi possono assumere valore universale”.

In sostanza, è fondamentale rendersi conto che i territori montani possono rappresentare una risorsa chiave solo se li si aiuta a svilupparsi dal punto di vista dei servizi e a livello turistico, evitando di insistere su modelli ormai insostenibili e poco lungimiranti, ma salvaguardando le peculiarità dei territori in un’ottica che superi lo sfruttamento e promuova la protezione degli habitat naturali e di chi vive tutto l’anno in montagna, e che nonostante tutto continuerà a farlo.


Questo articolo è realizzato da THE VISION in collaborazione con Telepass, tech company all’avanguardia nella rivoluzione della mobilità in un’ottica sempre più innovativa e sostenibile. Grazie a un’unica app che tiene insieme un esclusivo metodo di pagamento e una pluralità di servizi legati alla smart mobility, come le strisce blu, il carburante o la ricarica dell’auto elettrica, l’uso di monopattini, bici e scooter in sharing, l’acquisto di biglietti per treni e pullman, dello skipass per sciare, Telepass trasforma ogni spostamento, anche quelli in montagna, in un’esperienza senza confini.

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