Isabella Rossellini, con i corti sul sesso animale, mostra che siamo animali più di quanto accettiamo - THE VISION

Anni fa, sul vecchio scaffale tarlato di una casa al mare, trovai un libro impregnato di salsedine che a uno sguardo superficiale attirò sicuramente la mia attenzione più del dovuto; o forse proprio in virtù della mia inclinazione per la categoria ontologica dei libri-brutti e dei cani-vecchi da non sottovalutare. Il titolo era: “Come lo fanno gli animali?”. Era stato pubblicato negli anni sessanta e al suo interno c’erano – come scoprii senza sorpresa, promessa mantenuta – un sacco di aneddoti interessanti, ma non tanto riguardo all’etologia, su noi esseri umani. Il libro insomma innescava qualcosa di ben più profondo di un confronto, ma un’immedesimazione, un gioco intellettuale da pomeriggi estivi in provincia. L’occasione di far finta di vivere una vita molto diversa dalla nostra, informata da norme aliene all’umano.

È ciò che accade anche in Green Porno, Seduce me e Mammas, le serie realizzate da Isabella Rossellini a partire dal 2008, e visibili su MUBI, sulle abitudini sessuali degli animali, che iniziano con la formula magica d’apertura che dipana mondi, esperienze e possibilità per la fantasia: “If I were…”, se fossi – e che al tempo stesso ci ricorda tutto ciò che non siamo, come una sorta di immagine complementare, di impronta negativa che pure sottintende un’espansione della nostra identità. Se fossi ape, libellula, lucciola, mosca, mantide religiosa, lumaca, ragno, verme che forma avrei, e come questa forma entrerebbe in contatto con l’altro, entrerebbe nell’altro? Se fossi acciuga, balena, stella marina, calamaro, gamberetto, patella, cirripede, pesce abissale, leone di mare come farei sesso, o come farei l’amore, e perché lo farei, cosa mi piacerebbe?

In Seduce Me – che per certi aspetti fanno pensare a tutta quella parte di mitologia greca che racconta gli stupri compiuti da Zeus in veste di diversi animali – la formula cambia. La protagonista riceve un input strampalato per poi chiedersi: “Is he seducing me? What am I… a seahorse” e poi un serpente, un salmone, una papera, un cervo, un delfino, una cimice. Il tono è quello dei libri per bambini molto piccoli, in cui con una serie di semplici immagini e domande vengono introdotti animali sotto forma di una sorta di indovinello esperienziale-cognitivo per sviluppare associazioni e linguaggio. Ho la proboscide, chi sono? Sono bianco e nero, mi piace nuotare, eccetera. La seconda stagione della serie si apre con un episodio sull’arca di Noè. Noè, guidato da Dio, raccoglie tutti gli animali in vista del diluvio, alcuni, però, non hanno bisogno di stare in coppia, come il lombrico, che è ermafrodito, oppure gli animali trans, che cambiano sesso a seconda della necessità, eppure quando non sono né maschi né femmine continuano pure a esistere, o ancora specie formate da soli esemplari femmina, come le lucertole Aspidoscelis uniparens. Così Noè-Rossellini si chiede com’è possibile ridurre tutti questi animali all’eterosessualità e alla monogamia, è assurdo, oltre che sbagliato da un punto di vista “organizzativo” ed epistemologico.

Rossellini, rifacendosi all’antica forma del catalogo e dell’enumerazione, che mescola il desiderio di scoperta scientifica alla brama della collezione – che fa confluire appunto ricerca, studio ed eros, mente e corpo – a sapori di dongiovannesca memoria, mette in scena una sorta di allegra, innocente (perché scevra da giudizi umani) perversione – gioiosa, ariosa, leggera. Ci mostra quanto sia bello il mondo perché vario, come dice il proverbio. Nel bene e nel male, infatti, la diversità è ricchezza, e l’uniformità non è altro che l’ennesima illusione della nostra mente, che per sentirsi unita deve immedesimarsi in una forma, in un corpo, in un’abitudine, separandosi dal resto, spesso soffrendo a causa di questa cesura, confinando peraltro in maniera piuttosto brutale e violenta anche quelle sue enormi possibilità immaginifiche, che invece le potrebbero far vivere esperienze finanche extracorporee. Meccanismo che fin dall’antichità è stato facilitato dall’essere umano attraverso alcune sostanze psicotrope, ma che alla base è lo stesso della lettura e dell’immaginazione. È infatti stato scoperto che quando leggiamo i nostri neuroni si attivano proprio come se stessimo effettivamente compiendo l’esperienza narrata.

E lo stesso vale per le immagini: se riusciamo a figurarci mentre compiamo uno sport o un movimento che magari non sappiamo fare, è molto probabile che poi la nostra performance migliorerà. Lo stesso vale anche con le paure e la cosiddetta esposizione controllata, che può appunto prevedere l’immaginarsi a contatto con l’elemento che ci terrorizza. Si tratta quindi dell’esercitare la nostra capacità di aderire a forme ed esperienze altre, a sconfinare, allentando per un momento la tenuta di quelle briglie che ci costringiamo a portare per procedere sulla retta via. Insomma, a empatizzare, in un certo senso. Così, i corti di Rossellini ci aiutano anche a rimettere in prospettiva l’orizzonte dei nostri diritti e della nostra morale, delle regole e delle rigide imposizioni che rivolgiamo in primis a noi stessi, e poi agli altri, come se volessimo “tenerli in riga”, a partire dall’identità di genere e dalle abitudini sessuali, dal desiderio, dalla possibilità di riprodurci. Al tempo stesso ci fanno anche ridere di noi stessi, e dei ruoli che ci diamo, a partire dal genere, ci mostrano come quello stesso costrutto culturale possa avere moltissime sfaccettature diverse, alcune parossistiche, altre violente, altre ancora incomprensibili, o deliranti, eppure perfettamente ragionevoli per ciò che chiamiamo “natura”, per la vita.

Alla fine, questo gioco, da un lato ci fa capire che siamo animali molto più di quanto siamo disposti ad accettare, nonostante tutti i nostri istinti chiusi nel cassetto inutilizzati. Questo genere di prodotti sembra sempre tracciare la distanza tra noi e gli altri animali, come appunto se quegli animali fossero oggetto di studio, di indagine, eppure il risultato è diametralmente opposto. È questo il fenomeno attraente, che rendeva il libro trovato nella casa al mare un amuleto. Un dispositivo che permette di viaggiare tra i mondi, e di imparare, di prendere spunto, di ampliare il nostro universo. È questo il fenomeno che esplora in maniera allegra e irriverente Isabella Rossellini coi suoi corti. In cui travestita da vari animali mima accoppiamenti e rituali di seduzione, e infine esplora il cosiddetto “istinto materno”, mostrando come sia un costrutto totalmente labile per come lo intendiamo, e le due facce della frase tanto amata da noi italiani “La mamma è sempre la mamma”.

I corti di Rossellini sul mondo animale ricordano qualcosa a metà tra l’immaginario onirico di Michel Gondry, in particolare col sapore de L’arte del sogno, e le scenografie di un programma per bambini, a metà tra la bidimensionalità della carta e le strutture di gommapiuma o altri materiali morbidi ma duttili, malleabili e capaci di ottenere un ingombro. L’immaginazione infatti spesso assume forme tratteggiate, fulminee, rapide, che sacrificano il dettaglio ai sensi, alla possibilità della mente di attingervi grazie alla creazione di una scena fantastica, immaginaria. I costumi da animale che l’attrice indossa sono ingombranti. Sono l’opposto della nudità. Ricordano gli imbarazzanti costumi che sono costretti a indossare mascotte sottopagate nei parchi divertimento. Così il corpo dell’animale – l’alterità indossata – diventa una maschera assoluta, che non occupa più solo il volto come nella commedia dell’arte italiana, o nelle cerimonie animiste africane – ma tutta la figura. L’opposto della nudità, insomma, che qualcuno potrebbe pensare fondamentale per approcciare il sesso. Eppure, in questa goffaggine, la percezione cambia, cambia l’istinto, cambiano le voglie, cambino i fini, cambiamo noi e cambia il nostro modo di vedere le cose. Appariamo buffi perché ci prendiamo sul serio, meglio, ci immedesimiamo completamente nella forma che abbiamo assunto, più o meno per scelta, più spesso subendo la pressione del contesto su di noi – sostanzialmente sotto forma di trauma.

Se con perversione si indica una deviazione, ma nell’ambito del paesaggio si parla di “desire path”. Il sentiero del desiderio – certo, in italiano sarebbe più corretto parlare di sentiero desiderato, ma mi concedo una licenza poetica – è un sentiero solcato sull’erba, in cui quindi il verde smette di crescere, dal passaggio di diverse persone, o biciclette, fuori da quello che sarebbe il tracciato previsto, questo segno rivela dunque quella che sarebbe una strada preferita tra due punti, a volte più breve, ma non sempre. Una traccia disegnata dall’esperienza del momento, informata da una lunga serie di esperienze passate e previsioni future. Questo tipo di sentieri si notano solitamente nei parchi urbani o nei campus universitari, in cui i camminamenti formalizzati non riescono a soddisfare l’istinto di seguire il percorso più breve, diretto, interessante. Vi sarà senz’altro capitato di notare – e di tracciare – sentieri di desiderio, ma d’ora in poi fateci caso, perché sono il simbolo della nostra spinta immaginativa, che ha a che fare col nostro corpo, col nostro desiderio e con la nostra fantasia, punto di contatto tra noi e il mondo, tra intimità e politica, germe di qualsiasi piccolo o grande cambiamento, personale e collettivo.


La rassegna “Isabella Rossellini: Green Porno e altri corti” è disponibile in streaming su MUBI. Iscriviti qui per guardarlo gratis e ottieni 30 giorni di prova. 

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