L’Ottocento è stato un secolo di grande fermento, non solo artistico, ma soprattutto scientifico, tecnico e industriale, ambiti che proprio da allora iniziarono a intersecarsi in modo sempre più stretto. La vita che conosciamo oggi affonda le sue radici in quei decenni di fermenti, tentativi, dubbi e scoperte, in cui tutto era nuovo e il futuro sembrava una visione – basti pensare ad Alessandro Volta, Thomas Edison e Nikola Tesla, alle scoperte rivoluzionarie di cui sono stati fautori, o alla capacità di immaginazione fantascientifica dei racconti di Jules Verne. È proprio in questo contesto storico che nel 1845 Bernardino Branca inventò il Fernet-Branca, a partire da una piccola bottega domestica, da cui arrivò poi all’apertura del primo opificio in corso di Porta Nuova, a Milano. È da allora che l’amaro – diventato poi famoso in tutto il mondo – iniziò a stringere un profondo rapporto con il capoluogo della “locomotiva d’Italia”, all’epoca – e per un abbondante secolo a seguire – coperta dalla coltre di fuliggine nera prodotta dalle tante industrie insieme alla promessa del progresso e di un benessere inedito e sempre più diffuso, sicuramente alla portata di molte più persone.
L’immaginario legato all’amaro, e sviluppato dal famoso logo creato nel 1895 dall’artista Leopoldo Metlicovitz, legava il paesaggio naturale – le montagne rocciose, inaccessibili e acuminate – a una condizione urbana, passando da un contesto legato all’avventura e al rischio, a una situazione del tutto sicura, controllata, eppure piena di vitalità (“Fernet-Branca è vivere”). L’aquila che ci planava sopra, dall’alto, con una bottiglia tra gli artigli, sembrava voler servire in tutto e per tutto questo desiderio umano, portando la libertà degli habitat più impervi, in cui da sempre le tribù nomadi e stanziali raccoglievano le piante necessarie al loro sostentamento e ai loro riti sociali, a una cornice civilizzata.
Il mondo dei distillati è molto più complesso di quanto si potrebbe pensare: se è dall’alba dei tempi che gli esseri umani hanno ottenuto decotti e bevande fermentate da vari frutti e piante – a partire dai cactus, che iniziavano a diventare famosi proprio a quelle Esposizioni universali che poi portarono alla celebrità anche l’amaro italiano –, ancora oggi tanti professionisti e appassionati si avventurano lungo sentieri poco battuti dei nostri boschi, o in altri habitat poco frequentati dai loro simili in cerca di sostanze naturali da cui ricavare o arricchire sapori, preparazioni e bevande. Fernet-Branca è frutto di un processo di produzione e di una ricetta segreta immutata fin dall’Ottocento: 27 erbe, radici e spezie, provenienti da ben quattro continenti diversi, amalgamati in una miscela unica, con pochissimo zucchero. Ed è proprio nell’Ottocento, che come per quanto riguarda altre branche scientifiche si sviluppa sempre di più il sapere botanico ed etnografico-antropologico – che sembra informare questo distillato, che si è guadagnato un posto importante nella nostra cultura –, aiutato dalla possibilità di viaggiare più facilmente e di pari passo alla posta, così come grazie alle Esposizioni universali (di Milano e Torino), in cui davvero all’epoca c’era l’occasione di entrare in contatto con i prodotti e le culture più disparate (per quanto influenzate da una filosofia colonialista) – e allora sconosciute – del mondo. Stefano Branca, successore di Bernardino, ne intuì subito le immense potenzialità e decise di presentare proprio in quel contesto il Fernet-Branca, ottenendo un successo incredibile.
All’interno di un sorso di Fernet-Branca c’è lo zafferano dell’Iran, il rabarbaro dalla Cina, la Genziana dalla Francia, la Camomilla dall’Europa e dall’Argentina. Per ottenere questa stratificazione di sapori, una volta raggiunta la fabbrica le erbe vengono suddivise per l’infusione a caldo e a freddo, e poi mescolate e lasciate riposare per trenta giorni, e a maturare oltre sei mesi in botti di rovere. Nel 1907 questa stessa produzione si spostò in via Resegone, sito che rappresenta tuttora la sede produttiva delle Distillerie Branca. La “fabbrica del Fernet” occupa un’area di 23mila metri quadrati in quella che all’epoca era periferia, tra Viale Jenner e Viale Lancetti. Tra il 1930 e il 1941 la produzione da Milano si espanse all’estero grazie all’apertura di uno stabilimento a Buenos Aires e a Saint Louis, in Alsazia, trasformato nel 2004 nell’Espace d’art contemporain Fernet-Branca, che si inserisce nel vivace contesto culturale e artistico transfrontaliero collegato alla vicina città di Basilea e seguita nel 2009 dall’apertura a Milano di Collezione Branca, che raccoglie all’interno del complesso in via Resegone il patrimonio culturale dei 178 anni di attività dell’azienda, con manifesti promozionali (a firma Metlicovitz, Cappiello, Jean d’Ylen, Mauzan, Codognato), macchinari, materie prime come, erbe, radici e spezie, bottiglie da collezione, bozzetti di alcune campagne pubblicitarie degli anni Sessanta e Settanta, video delle famose pubblicità con la plastilina di Carosello, strumenti tecnici, fotografie e documenti d’epoca, che raccontano le storie che non solo testimoniano un sistema produttivo, ma anche l’atmosfera di una città e di un Paese intero.
Nel 1965 ha inizio poi la produzione e la commercializzazione di Brancamenta, con l’aggiunta della menta piperita piemontese. Ideato da Pierluigi Branca, grazie alle campagne pubblicitarie – che ancora ci echeggiano nelle orecchie, “Brrr” – il prodotto riuscì a rinnovarsi, pronto per diventare uno dei simboli del Boom economico, e caratterizzare un momento di puro piacere, sempre in dialogo con uno dei capisaldi di Milano, il design, con l’iconico bicchiere scolpito con martello e scalpello in un blocco di ghiaccio. Ancora una volta l’idea era quella di riportare la natura selvaggia al dominio dell’umano, capace di dominarla, migliorarla (“Brancamenta migliora il ghiaccio”), darle forma e servirlo – che a ben vedere è da sempre l’impulso – e in parte l’illusione, ormai ampiamente smentita – che ci affascina della progettazione.
Molto della visione del Novecento che ci è arrivata in eredità è ingiusto, falso, o sbagliato, eppure è difficile non emozionarsi studiando la storia dei primi grandi ponti e grattacieli, vere e proprie sfide che interessarono anche la città di Milano. Negli anni Trenta, nell’allora radura del Parco Sempione, infatti, mentre tutta la città saliva, viene costruito una torre che si staglia tuttora come landmark, progettata da Gio Ponti e composta totalmente in tubi Dalmine, di acciaio speciale, flangiati e imbullonati. Il “totem” – alto ben 108,60 metri – vuole essere considerato un simbolo “in cui l’architettura moderna e la tecnica nuova trovano un punto di contatto”. La torre sottilissima, con sezione esagonale, per l’epoca rappresenta una grande scommessa ingegneristica. Viene alzata in soli due mesi e mezzo e inaugurata in occasione della V mostra Triennale del 1933, insieme a sei grandi “archi isolati” temporanei, progettati da Mario Sironi. Milano diventa così sede dell’esclusiva “esposizione internazionale triennale delle arti decorative e industriali moderne e dell’Architettura moderna”. Considerata inagibile dal 1972, nel 1985 viene firmata una convenzione fra il Comune di Milano e Fratelli Branca Distillerie – il cui motto è da sempre “Novare serbando” – per la “concessione per un periodo di anni 29 dell’esercizio in esclusiva della Torre del Parco quale corrispettivo dell’esecuzione a cura e spese della società dei lavori di ripristino della struttura”. La società si impegna quindi a restaurare e a mantenere il famoso architettonico tanto caro ai milanesi e che ora porta il suo nome. Nel 2002 la Torre Branca viene riaperta permettendo di nuovo ai cittadini di vedere il panorama dall’alto, o di incontrarsi e intrattenersi nel locale belvedere coperto.
Se un tempo le tradizioni affondavano le radici nell’arte, nei testi e nei cicli dettati dalla natura e dai mestieri artigianali, oggi, per forza di cose si sviluppano dall’industria, che volenti o nolenti ha segnato la nostra cultura contemporanea e il nostro modo di vivere, nel bene e nel male. La nostra esistenza prende forma dai ritmi e dalle necessità della produzione, le nostre abitudini sono fatte a sua immagine e somiglianza, e così il nostro tempo è scandito dal loro ritmo. In questo contesto, Fernet-Branca rappresenta una realtà più unica che rara, che è riuscita in maniera ben poco scontata – grazie al suo sapore ma anche alla lungimiranza dei suoi produttori – a sopravvivere per tutti questi anni, attraversando epoche e profondissimi ribaltamenti storici, economici e culturali, espandendosi davvero – e pacificamente – in tutto il mondo, come alla fine dell’Ottocento, si augurava il suo logo visionario, nato dall’immaginazione, sicuramente ignara, delle tempeste che avrebbero letteralmente sconvolto di lì a poco l’assetto mondiale, per poi incarnare il desiderio di gioia, piacere e rinascita.
Gli ingredienti erboristici da cui si ottiene questo amaro portano con sé un enorme patrimonio di conoscenze, tra cui odori e sapori da sempre associati a una dimensione mistica e spirituale, oltre che rituale e medicinale, che affonda le sue radici nella percezione corporea. Forse è anche per questo che il suo gusto ci risveglia tuttora ed è stato in grado di parlare a così tante realtà diverse, apparentemente lontanissime tra loro, come una sorta di infuso culturale capace di raccogliere le migliori essenze e visioni delle popolazioni di tutto il mondo, mescolando in una singola goccia reminiscenze di pratiche e saperi millenari e l’esperienza di piacere attuale, come una sorta di prisma sensoriale e immaginifico.
Questo articolo è stato realizzato da THE VISION in collaborazione con Fernet-Branca, marchio della storica distilleria milanese tra le più famose a livello mondiale, Fratelli Branca Distillerie S.p.A., in occasione dei Barback Games 2023 – una competizione nata per celebrare i barback, gli instancabili protagonisti del dietro le quinte dei locali, e per dimostrare la centralità di questa figura per il funzionamento del locale ed il successo di ogni serata. Fernet-Branca ha da sempre saputo integrare identità e storia in un approccio sempref contemporaneo, in linea con il motto aziendale “Novare Serbando”. L’8 maggio, durante MIxology Experience, verrà decretato il migliore “Night Hero” 2023.
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