La figura del bartender – e della barlady – è a tutti gli effetti un archetipo moderno. Il bar è una sorta di tempio laico delle nostre emozioni, scenario di alcuni dei momenti e sentimenti più importanti della nostra vita, eccezionali o quotidiani che siano, parte di un rituale intimo e sociale al tempo stesso. E i baristi sono figure mitiche, punti di riferimento abili nello sdoppiare tutti i loro sensi, capaci di fare attenzione alla sala intera e a ogni singola persona presente, di svoltarci la serata con un singolo sorso, se è quello giusto.
Non a caso sono state dedicate a queste figure alcune delle più belle pagine della letteratura. Basti pensare a Ernest Hemingway, al racconto “Un posto pulito, illuminato bene”, o a Francis Scott Fitzgerald, a una delle ultime scene di Tenera è la notte, ma anche alle scorribande per i locali di New York dei suoi racconti “dell’età del jazz”. Oppure ancora alla barista che apre Il porto dei sogni incrociati dello scrittore svedese Björn Larsson. È chiaro a qualsiasi narratore che i bar siano prismi esistenziali, in cui la tecnica e la professionalità sono messe a servizio dell’intuito, delle emozioni e della sensibilità. Spazio per eccellenza della relazione tra esseri umani, arene dove scaricare il proprio entusiasmo e al tempo stesso rifugi dove ricoverare la propria solitudine. Forse proprio perché in un bar non si è mai davvero soli, ci sarà sempre un barista. Eppure, in pochi sanno che un buon barista non esisterebbe senza un buon barback, la persona che si occupa di tenere tutto in ordine e pronto affinché possa incarnare la sua professione al meglio. È proprio a questa figura che sono dedicati i “Barback Games”, il competition-show ideato da Fernet-Branca per stringere il legame tra il marchio e la comunità dei bartender e in particolare dei barback.
Se il mondo dello sport nel corso degli ultimi decenni è finito spesso sotto i riflettori della stampa per una serie di scandali, sono rimasta stupita di quanto invece ai “Barback Games” emergano gli aspetti più positivi che dovrebbero animare lo sport (passione, responsabilità, impegno e collaborazione): forse proprio perché sono “giochi”, o forse perché ricordano l’atmosfera goliardica dei Giochi senza frontiere – anche se la maggior parte dei partecipanti quando sono andate in onda le ultime stagioni aveva in media due anni.
Nati nel 2007 a San Francisco, i “Barback Games” sono diventati un vero e proprio trend, diffondendosi in diverse città degli Stati Uniti fino alla East Coast – New York, Chicago, Boston, San Diego e New Orleans. Oltre a essere ormai una tradizione per il mondo della mixology, sono anche un’occasione per incontrare professionisti del settore provenienti da ogni parte del mondo, un momento di festa, connessione e condivisione che celebra i valori profondi che animano questa professione unica nel suo genere, a metà tra il mondo della ristorazione e dello spettacolo, ma anche dello sport: basti pensare alla prima sfida dei giochi di quest’anno, in cui i partecipanti dovevano spostare tra corse e salti in mezzo a un percorso di copertoni dei pesantissimi fusti.
La competizione, infatti, è composta da diverse prove che possono cambiare di volta in volta: dal trasporto di casse piene di bottiglie, oppure di lattine di bibite, al traino dei fusti, fino alla preparazione di longdrink, al tenere in mano più fusti di alluminio alla volta, o trasportare secchielli di ghiaccio senza perderne il contenuto. Ovviamente nel minor tempo possibile. Queste sfide mettono a dura prova le capacità necessarie a qualsiasi buon barback: velocità, precisione e resistenza. Queste quelle di quest’anno (per la prima volta a Milano): 40 cartoni di soda in lattina, dieci fusti e il maggior numero di ghiaccio a blocchi portati a destinazione da un angolo dell’area di gioco all’altro nel minor tempo possibile (evitando gli ostacoli, perché un vero barback supera con agilità qualsiasi imprevisto); “Fernet Pong” facendo centro nei tumbler di Fernet-Branca; infine, l’ultima sfida per i finalisti: 15 Fernet e Cola perfettamente eseguiti e un servizio al tavolo nei comodi e freschi panni di una bottiglia gigante di Fernet-Branca.
Non a caso il ventiseienne Giorgio Frigeni, del Caffè Dei Portici di Bergamo, il vincitore di quest’anno (il “Night Hero 2023”), è un appassionato rugbista, oltre che di Fernet-Branca, tanto che si è fatto tatuare su una gamba un enorme tributo all’amaro storico di Fratelli Branca Distillerie che da sempre unisce simbolicamente l’altra comunità di cui fa parte, quella del rugby. Bere insieme alla squadra Fernet e Cola è infatti una sorta di iniziazione e rappresenta il drink in cui si identifica il mondo del rugby durante i festeggiamenti. Tra l’altro, Fernet&Cola è anche uno dei cocktail più apprezzati dalla movida Argentina, Paese con cui fin dalla prima metà del Novecento Fratelli Branca Distillerie ha un legame speciale.
Giorgio ha una lunga barba rossa e folta – ordinatissima – e uno sguardo buono, e sembra sfatare ogni mito sulla competizione e l’aggressività necessarie per vincere. “È dall’anno scorso che puntavo a questo risultato, avevo in ballo una scommessa col mio capo,” mi dice Giorgio, “o vincevo o cambiavo lavoro, l’anno scorso sono arrivato quarto per un secondo. La prima sfida è la più difficile, ti sfianca, devi dare il tutto per tutto, la seconda invece dipende molto dalla fortuna. Sono felicissimo di questo risultato, perché io nutro un amore per Fernet-Branca secondo solo a quello per la mia ragazza. Ora che ho vinto i Barback Games il mio secondo obiettivo è riuscire a ottenere il mio primo coin firmato Fernet-Branca! Fin da piccolo Fernet-Branca è stato presente nella mia vita, sia come amaro che bevevano i miei nonni dopo il caffè, sia per la connessione del Fernet-Branca al mondo del rugby, per festeggiare dopo le partite importanti. L’ho sempre amato”. E da come gli si illuminano gli occhi è impossibile non credergli. “Se dovessi scegliere il mio drink preferito con Fernet-Branca, dopo il Fernet e Cola con cui sono cresciuto,” continua, “direi l’Hanky Panky [inventato da Ada Coleman, la prima barlady della storia, per l’attore Charles Hawtry che voleva qualcosa di energizzante a fine serata]… con più Fernet che vermut. ”.
Gli chiedo quale sia la caratteristica principale a fare di un barback un buon barback, e ancora una volta emerge la profonda dimensione di squadra di questo lavoro: “Un buon barback deve sempre anticipare il bartender, devi avere tutto pronto, mai aspettare che ti chiedano le cose, perché allora è già troppo tardi, sei in ritardo, non può mancare mai il ghiaccio, la tonica, la bottiglia. Il bartender ci mette la faccia, la bravura, ma senza barback non va da nessuna parte”. Se infatti uno degli obiettivi di ogni barman è animare l’atmosfera di un locale, garantendo a tutti i presenti divertimento e cocktail di alta qualità, lo scopo principale di un barback è di assicurarsi che ci siano tutte le condizioni giuste per offrire sempre e in qualsiasi condizione un servizio impeccabile, è ciò che mi ha ribadito anche Kerim Amor, il secondo classificato, che i “Barback Games” li ha già vinti una volta, a Roma, nel 2019, per poi arrivare secondo anche all’edizione europea dei giochi, a Berlino. Il ventiseienne siciliano, che si riconferma sul podio, viene da Comiso, in provincia di Ragusa, e lavora al Piper di Torre di Mezzo, vicino a Punta Secca. “Per vincere queste sfide è fondamentale la resistenza e la forza,” mi dice Kerim, “Io mi alleno quasi tutti i giorni. Il barback è il pilastro del locale. Se c’è un buon barback il bar funziona, altrimenti per quanto i bartender siano bravi si lavora male. Se hai un barback veloce, sveglio, che si rende conto da solo di quel che manca e che serve, cambia tutto. La dote principale di un buon barback è l’essere attento alla postazione del proprio barman. I riflessi poi sono fondamentali. Bisogna aver la capacità di muoversi in mezzo agli ostacoli, perché mentre sei dietro un bancone hai chi sta facendo drink, chi sta battendo scontrini, chi sta spillando birre: è uno slalom!”. Secondo Kerim l’opportunità più bella che regala questa iniziativa è la possibilità di entrare in contatto con grandi professionisti di tutto il mondo, condividendo storie, drink ed esperienze incredibili.
I barback danno poco nell’occhio, ma quando non ci sono te ne accorgi subito: il ghiaccio scarseggia, le bottiglie vuote abbondano e il disordine sul bancone si accumula. I “Barback Games” danno l’occasione ai protagonisti del dietro le quinte di prendersi la scena, me lo ha detto anche il terzo classificato, il trentatreenne di origini bulgare Dimitar Vassilev, che lavora al Duke of Tokyo Amsterdam. Capello lunghissimo e nero, occhi di ghiaccio: sembra incarnare l’archetipo del pirata del nord e guardandolo non stupisce che il suo modo preferito di bere Fernet-Branca sia uno shot gelato, oppure un Brancamenta rigorosamente on the rocks. Milano è stata la sua seconda esperienza dopo la competizione berlinese, in cui – proprio come Giorgio a Roma – non era riuscito a qualificarsi per un secondo, anche a causa di una precedente operazione alla clavicola che aveva reso tutto più difficile. “Per me i ‘Barback Games’ di Berlino sono stati una grande lezione di umiltà,” mi dice Dimitar, detto Dimi, “È da tanti anni che lavoro in questo ambiente, e ho capito che i bartender sono come gli showman, sempre sotto i riflettori, a farsi notare, ma per me vincere non significa arrivare primo, per me vuol dire non essere deluso di me stesso, e non deludere le persone che mi stanno vicine: il mio superiore, i miei colleghi, i miei amici, la mia ragazza, il Paese che rappresento. Vincere significa dare sempre il proprio meglio, anche se poi non si arriva al risultato sperato. Ho imparato crescendo a partecipare solo a quelle sfide a cui so che posso dedicare tempo ed energie per farle bene”. Gli chiedo, al di là dei ruoli e delle apparenze, quali siano le principali differenze tra la professione del barback e del bartender. “Ogni bravo bartender è stato un bravo barback e ogni bravo barback diventerà un grande bartender,” mi dice, “siamo sempre entrambe le cose. In questo lavoro, come in questa competizione, sono fondamentali: dedizione, impegno e responsabilità”.
Quello che ho visto a Milano è un settore professionale unito, una community giovane e legata da valori semplici e chiari, con tanta voglia di fare bene il proprio mestiere, imparare e quando serve pronta a mettere il proprio ego da parte – nonostante la dimensione profondamente soggettiva di questo lavoro. Come se, a forza di mixare ingredienti diversi, e a parlare con tante persone – ascoltandone i desideri, i gusti, i progetti, le storie – i barback e i bartender – queste due facce di una sola medaglia – si mescolassero al mondo, proprio come succede agli attori in scena col pubblico presente a uno spettacolo. I “Barback Games”, oltre a essere un momento di divertimento, proprio come i loro partecipanti sembrano promuovere, innescano una competizione allegra, che si fonda su generosità, curiosità nei confronti dell’Altro e collaborazione, cosa tutt’altro che scontata oggi e che dovremmo impegnarci a riscoprire in ogni ambito della nostra vita.
Questo articolo è stato realizzato da THE VISION in collaborazione con Fernet-Branca, marchio della storica distilleria milanese tra le più famose a livello mondiale, Fratelli Branca Distillerie S.p.A., in occasione dei Barback Games 2023 – una competizione nata per celebrare i barback, gli instancabili protagonisti del dietro le quinte dei locali, e per dimostrare la centralità di questa figura per il funzionamento del locale ed il successo di ogni serata. Fernet-Branca ha da sempre saputo integrare identità e storia in un approccio sempref contemporaneo, in linea con il motto aziendale “Novare Serbando”. L’8 maggio, durante MIxology Experience, è stato decretato il migliore “Night Hero” 2023.
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