L’industria farmaceutica deve garantire l’accesso a cure e vaccini a tutti i Paesi del mondo - THE VISION

Le persone che si affidano ai professionisti del risparmio gestito dedicano sempre più attenzione alla sostenibilità degli investimenti. Oggi i gestori non devono soltanto garantire un rendimento accettabile, ma sono spesso tenuti a investire in realtà che contribuiscono a migliorare le condizioni di vita della comunità in cui operano. Per rafforzare questa tendenza l’Unione europea ha approvato la direttiva Sustainable Finance Disclosure Regulation che impone degli specifici obblighi di informativa agli operatori dei mercati finanziari in materia ambientale, sociale e di governance. Si tratta di informazioni non finanziarie che riguardano il rispetto della natura, dei diritti dei lavoratori e delle minoranze. Attraverso questa nuova normativa si cerca di sensibilizzare gli investitori e i risparmiatori, consentendo loro il confronto tra le molteplici possibilità di investimento e le attività offerte dai gestori. Chiedersi “dove vanno a finire i miei soldi?” può essere una buona pratica per i risparmiatori. L’introduzione degli obblighi di trasparenza per le imprese di investimento, se accompagnato da seri programmi di alfabetizzazione finanziaria per i cittadini, può essere un efficace strumento per aiutarci a “votare con il portafoglio”. Pensiamo, per esempio, al settore farmaceutico. 

La finanza etica ha sempre guardato con prudenza a questo settore. Molte imprese del ramo hanno infatti diverse criticità di natura reputazionale o sono associate a gravi controversie in ambito ambientale o sociale. Esistono tre criteri fondamentali con cui chi fa finanza etica valuta la sostenibilità di un’impresa attiva nel settore delle cure mediche: le strategie di accesso ai farmaci, l’impegno nelle attività di ricerca e le modalità di distribuzione delle cure farmaceutiche. Il report dell’organizzazione no profit Access To Medicine Foundation è sicuramente uno degli strumenti migliori per valutare la sostenibilità degli investimenti nel settore farmaceutico. Secondo il rapporto del 2018, oltre due miliardi di persone nel mondo non hanno accesso ai farmaci di cui avrebbero bisogno. Si tratta di persone che vivono in Paesi a basso e medio reddito che ogni giorno vedono aumentare le diseguaglianze con i cittadini dei Paesi più industrializzati. Anche i dati contenuti nell’ultimo rapporto non sono incoraggianti. Le cosiddette società big pharma destinano meno del 50% dei loro prodotti ai Paesi in via di sviluppo, che continuano a essere costantemente ignorati dalle grandi multinazionali occidentali. Sono proprio queste le criticità di natura reputazionale che scoraggiano gli investitori attenti alla sostenibilità delle attività economiche.

L’ultimo anno potrebbe rappresentare il momento storico perfetto per il riscatto dei giganti del farmaco. La pandemia causata dalla diffusione del Covid-19 ha colpito l’intera popolazione mondiale, ma potrebbe essere un’occasione di riscatto per le big pharma. Dei piani equi ed efficaci di distribuzione del vaccino, per esempio, potrebbero essere lo strumento per evitare che i Paesi occidentali aumentino ancora di più il divario con le aree meno ricche del Pianeta. Questo accade però molto di rado. Infatti, mentre i nostri governi sono occupati a discutere in merito all’opportunità di somministrare una terza dose di vaccino ai cittadini, meno del 2% delle persone che vivono in Paesi a basso reddito ha ricevuto la prima iniezione. Questa disparità di trattamento è molto pericolosa, oltre a essere ingiusta. Consentire la circolazione del virus in alcune parti del mondo significa infatti favorire lo svilupparsi di nuove  varianti che potrebbero attenuare ulteriormente l’efficacia dei vaccini.

Consapevole della gravità della situazione, Medici Senza Frontiere ha lanciato un appello affinché la distribuzione dei vaccini sia improntata a criteri di equità. L’Ong, insieme a più di 100 Paesi, chiede la sospensione dei brevetti di proprietà delle aziende che producono i sieri vaccinali così da consentire la produzione su scala mondiale in deroga agli accordi internazionali in materia. La sospensione, tuttavia, è efficace soltanto se accompagnata dal trasferimento delle tecnologie dalle case farmaceutiche occidentali ai produttori dei Paesi a basso reddito, così da consentire un effettivo aumento della produzione su scala mondiale. Un’altra strada che potrebbe essere seguita dai governi in conformità agli commerciali internazionali è la cosiddetta licenza obbligatoria. In poche parole, i governi potrebbero ordinare alle aziende proprietarie dei brevetti di consentire la produzione anche a imprese diverse attraverso un’apposita licenza di utilizzo dei brevetti e delle tecnologie. Si tratta di strumenti grazie ai quali, in casi eccezionali come le pandemie, i governi possono obbligare i possessori di un brevetto a concederne l’uso allo Stato o ad altri soggetti. Non utilizzare adesso queste opzioni significa arrendersi ancora una volta a logiche di profitto a breve termine, mettendo in secondo piano le conseguenze prodotte dalla pandemia sul piano umano e sociale.

I precedenti purtroppo non sono confortanti. La storia ci insegna come l’industria farmaceutica sia tradizionalmente molto restia a gesti di carattere umanitario o solidale. Il caso più famoso è la battaglia condotta dal Sud Africa di Nelson Mandela durante gli anni Novanta. Nel 1997 lo Stato che aveva sconfitto l’apartheid contava circa tre milioni di persone che avevano contratto l’Hiv e almeno 100mila morti l’anno. Anche i Paesi occidentali avevano subito i tragici effetti derivanti dalla diffusione dell’Aids. L’entrata in commercio dei cosiddetti farmaci antiretrovirali aveva comunque contribuito a migliorare significativamente il quadro sanitario. Per la prima volta venivano prodotti farmaci molto efficaci che, purtroppo, avevano degli ostacoli difficili da superare per i bilanci dei Paesi a medio e basso reddito: erano infatti estremamente costosi e protetti da brevetti. Per risolvere il problema Nelson Mandela decise di promulgare una legge, il cosiddetto Medical Act, che autorizzava la produzione e/o l’importazione di farmaci in deroga agli accordi internazionali commerciali che regolano i diritti di proprietà intellettuale delle aziende. Dopo pochi mesi 39 case farmaceutiche intentarono un’azione legale contro il governo sudafricano contestando la violazione delle regole del commercio mondiale. La controversia si concluse con un sostanziale nulla di fatto. Il governo del Sudafrica ritirò la legge e le multinazionali del farmaco rinunciarono all’azione legale.

Nelson Mandela

È ormai evidente che la ripresa economica non sarà uguale per tutti. Alcuni Paesi reagiranno meglio di altri, ma non senza una crescita delle diseguaglianze tra cittadini. Anche gli effetti della pandemia sono stati avvertiti in modo diverso da persone appartenenti a specifiche classi sociali e da cittadini di diversi Paesi. In questo contesto il settore del pharma, fortemente regolamentato e legato a contributi pubblici, può giocare un ruolo fondamentale. I governi e le organizzazioni internazionali hanno iniziato a sensibilizzare i risparmiatori cercando di indirizzare le risorse verso realtà attente ai profili ambientali e sociali delle comunità di riferimento. Per questo sono sempre di più le persone e le organizzazioni che scelgono di affidare i propri risparmi e investimenti a realtà credibili e autentiche che fanno finanza etica: perché vogliono essere certe che il proprio denaro, oltre che a produrre un rendimento, sia usato per finanziare imprese corrette sul piano del rispetto dei diritti umani, incluso il diritto alla salute. Per questo il mondo del farmaco non può perdere un’occasione simile. È il momento di adottare strategie di distribuzione delle cure e dei vaccini ispirate a principi di giustizia sociale. La salute è un diritto fondamentale di ogni individuo e non può essere ancora condizionato da logiche puramente commerciali di corto respiro. L’abbiamo capito in molti, possono riuscirci anche le multinazionali del farmaco. 


Questo articolo nasce in collaborazione con Gruppo Banca Etica, banca popolare costituita in forma di società cooperativa per azioni che opera in Italia e in Spagna, nel rispetto delle finalità di cooperazione e solidarietà. Impegnata su temi come cambiamento climatico, mobilità sostenibile, accoglienza, inclusione e molti altri, il Gruppo Banca Etica si impegna a misurare in modo accurato e credibile gli impatti delle attività finanziarie sull’ambiente, la società e la vita delle persone con metodologie proprietarie innovative, per permettere a tutte le persone e organizzazioni socie e clienti, e a chi desidera diventarlo, di scegliere consapevolmente gli intermediari finanziari cui affidare i propri risparmi e investimenti.

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