La giunta dell’Umbria, guidata dalla leghista Donatella Tesei, la scorsa settimana ha abrogato una legge regionale dell’amministrazione precedente di centrosinistra che prevedeva la possibilità di interrompere la gravidanza con la pillola Ru486 in day hospital o al proprio domicilio, sotto stretta osservanza medica. Con il nuovo provvedimento, l’aborto farmacologico potrà quindi svolgersi solo con un ricovero di tre giorni. Sembrerebbe una decisione inspiegabile, se Tesei non fosse molto vicina alle associazioni antiabortiste, avendo firmato il “Manifesto Valoriale” di Family Day che impone alla giunta di “tutelare la vita nascente”. L’Italia è infatti uno dei pochi Paesi in Europa che richiede l’ospedalizzazione per l’Ivg chimica, contraddicendo tra l’altro le linee guida dell’Oms in materia, eppure da qualche anno alcune regioni come la Lombardia, l’Emilia Romagna, il Lazio e la Toscana, hanno introdotto la possibilità del day hospital per rendere più semplice la procedura, sia per chi vi si sottopone sia per la gestione dei posti letto in ospedale. Ed è stato proprio il problema della carenza dei posti letto durante la pandemia a rendere evidente quanto il nostro Paese necessiti di aggiornare le proprie raccomandazioni scientifiche per l’Ivg farmacologica.
Per come si svolge ora la procedura nella maggior parte delle regioni, infatti, una donna che sceglie di ricorrere alla Ru486 deve accedere almeno quattro volte in ospedale e restarci per un tempo superiore alle 48 ore, mentre paradossalmente per l’Ivg chirurgica, che prevede un intervento con anestesia, sono necessarie poche ore. Questa contraddizione si è palesata nel pieno dell’epidemia di COVID-19 quando molte strutture hanno deciso di sospendere il servizio di Ivg chimica, che in teoria dovrebbe essere meno gravoso, perché teneva occupati troppo a lungo posti letto e personale sanitario.
Evidentemente questa “lezione” non è servita alla giunta leghista, che ha preferito abrogare un provvedimento migliorativo per tutti – per le donne e per la sanità pubblica – per tornare indietro e assecondare il disegno di Family Day e altre associazioni anti-abortiste, che nel sodalizio con Tesei vedono proprio la prova di quanto siano “capaci di contaminare l’agenda dei partiti e dei leader nazionali”. Ovviamente la vicinanza della giunta con questi ambienti si spiega grazie all’influenza sulla regione di Simone Pillon, senatore leghista residente a Perugia e commissario della Lega in Umbria, che infatti ha subito commentato favorevolmente la decisione di Tesei: “D’ora in poi gli interventi dovranno essere fatti in regime di ricovero ospedaliero, evitando che la donna sia di fatto lasciata completamente sola anche davanti a eventuali rischi”. Quantomeno curioso se si pensa che Pillon è favorevole all’abrogazione della legge 194: anche se com’è noto, nei Paesi dove l’aborto è illegale, la pratica continua a svolgersi mettendo seriamente a rischio la vita di molte donne. Nell’agosto del 2018, nel pieno del governo giallo-verde, Pillon sperava in una “politica degli ‘aborti zero’ come in Argentina”, guidata dalla Lega che doveva “torna[re] a cavalcare il tema delle nascite e del controllo della maternità”. Il modello Pillon è quindi quello di un Paese dove l’80% degli aborti è illegale e dove le ginecologhe raccontano di ragazze che muoiono di setticemia in letti di ospedale mentre vengono interrogate da un ufficiale di polizia che vuole sapere dove hanno abortito clandestinamente.
La stessa argomentazione sulla salute delle donne Pillon l’aveva usata proprio durante l’emergenza sanitaria del COVID-19, quando il Pd aveva presentato una mozione alla IV Commissione del Consiglio comunale di Perugia per promuovere l’aborto farmacologico in telemedicina. In quel caso il senatore aveva detto che “Su ordine dei livelli nazionali del partito, anche a Perugia i dem hanno chiesto di lasciare le donne sole, chiuse in bagno ad abortire, a rischio della propria salute”, perpetrando la falsa narrazione sull’“aborto fai-da-te” tanto cara alla destra e ai cattolici. Anche Tesei ha ribadito che la decisione è motivata dalla “sicurezza” della pratica e che non si tratta di un tentativo di ostacolarla o renderla più difficile. Sarebbe bello capire su quali basi scientifiche abbiano stabilito che l’aborto in day hospital sia pericoloso: ci sono analisi comparative tra le regioni che prevedono il ricovero e quelle che lo hanno reso facoltativo? Ci sono nuovi studi che sconsigliano l’assenza di ospedalizzazione? Nuove evidenze che contraddicono le linee guida dell’Oms e le procedure standard adottate nel resto dell’Unione Europea? Nella deliberazione della giunta regionale non vi sono notizie a riguardo.
Viene il dubbio che si tratti di una decisione eminentemente politica, magari motivata proprio dalla firma di questo “Manifesto Valoriale” esplicitamente antiabortista. E che non sarà l’unica. Questa storia ricorda infatti il caso delle mozioni anti-aborto che si sono susseguite a mo’ di copia e incolla a cavallo tra il 2018 e il 2019 in molte città e regioni italiane. Le mozioni, tutte identiche nel testo con gravi errori nei dati riportati sul numero degli aborti, furono presentate a Verona, a Milano, a Ferrara, a Roma, a Sestri Levante e a Trieste. Si tratta di una strategia consolidata quella di cercare di smantellare la legge 194 a piccoli passi, magari passando per i consigli comunali e regionali, dove le probabilità di riuscita sono più alte. Chi studia la retorica dei gruppi antiabortisti da tempo ha registrato un cambio di rotta nella strategia adottata per fermare le interruzioni di gravidanza: non potendo colpire frontalmente la legge che, nonostante tutto, resta dov’è, si va a colpire laddove manca chiarezza e unità. Non solo, quindi, tramite l’obiezione di coscienza e la presenza di centri antiabortisti negli ospedali pubblici, ma anche attraverso la frammentarietà delle delibere regionali, provinciali e comunali. Ora l’Umbria a guida leghista ha dato il via.
La preminenza che le associazioni antiabortiste e pro-life hanno all’interno della pubblica amministrazione è ormai un fatto evidente. A ottobre 2019 Donatella Tesei aveva firmato il Manifesto Valoriale per la famiglia redatto da Family Day e dall’Associazione Famiglie Numerose e sottoposto ai candidati per la presidenza della Regione durante l’evento “L’Umbria mette al centro la famiglia”, tenutosi a Perugia il 17 ottobre scorso alla presenza di Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi. E infatti le due associazioni si sono congratulate con la giunta per aver firmato il nuovo provvedimento “in linea con il manifesto sottoscritto”. Il manifesto prevede la tutela del “valore sociale della vita nascente” tramite il riconoscimento del concepito come “soggetto membro del nucleo familiare”, il supporto alle associazioni che combattono la denatalità, la promozione di campagne per la fertilità e altre iniziative simili. Inoltre “esprime il fermo contrasto all’incivile e barbara pratica dell’utero in affitto” e si oppone a “progetti e iniziative ispirate alla teoria dell’indifferentismo sessuale (gender)”. Il prossimo passo per la giunta leghista potrebbe essere l’abrogazione della legge regionale contro l’omofobia, approvata nel 2017, come scritto esplicitamente nel manifesto.
Non un caso isolato, quindi, né una decisione che appaia autenticamente mossa dalla preoccupazione di tutelare maggiormente le donne: quella dell’Umbria sembra l’ennesima ingerenza della lobby antiabortista sulla politica locale, all’interno di una serie di interventi volti ad erodere, passo dopo passo, la legge 194 in nome della natalità – ovviamente bianca ed eucentrica – e della famiglia tradizionale. Un disegno che, come ci ha dimostrato il World Congress of Families di Verona promosso dalle stesse associazioni che hanno redatto questo “Manifesto Valoriale”, ha alle spalle un’ampia rete sovranista e reazionaria che vuole ripristinare un modello di società anacronistico e restringere i diritti LGBTQ+. Con il pericolo che, in nome della famiglia tradizionale, si finisca con il chiudere un occhio se le donne muoiono di aborto clandestino mentre vengono interrogate dalla polizia. Come in Argentina.