È l’aprile del 2017 a San Foca di Melendugno, nel Salento, e migliaia di manifestanti si radunano a pochi passi dal cantiere del gasdotto Tap, progettato per trasportare gas naturale dalle zone del Mar Caspio all’Europa. Sono in attesa di una rassicurazione, non vogliono quest’opera e chiedono una presa di posizione ferrea da parte del mondo politico. Quel giorno, a parlare davanti al pubblico inferocito c’è Alessandro Di Battista. Sa che bastano poche parole per monopolizzare l’intero elettorato del Salento. E quelle parole le pronuncia: “Con il M5S al governo quest’opera la blocchiamo in due settimane.”
Quasi un anno dopo, il 4 marzo 2018, la Puglia non ha dimenticato quelle promesse: vota in massa il Movimento. A sette mesi dalle elezioni, però, mentre Di Battista è in Sud America a giocare al rivoluzionario, il governo M5S-Lega ha dichiarato di non poter fermare la realizzazione dell’opera. E il Salento è insorto.
In questi giorni, nella stessa San Foca che lo scorso anno osannava Di Battista, sono state bruciate bandiere del M5S, tessere elettorali e fotografie di politici grillini, compresa quella di Barbara Lezzi, ministro del Sud, e i cittadini e gli attivisti No Tap hanno chiesto a gran voce le dimissioni di tutti gli esponenti del Movimento eletti in Salento.
La litania di giustificazioni, che ricordano tanto precedenti arrampicate sugli specchi, non si è fatta attendere. La più imbarazzante è stata quella di Luigi Di Maio: “Non sapevo che c’erano delle penali da pagare, l’ho scoperto una volta diventato ministro.” Che poi è paradigma del M5S: gonfiarsi il petto all’opposizione facendo promesse irrealizzabili, per poi una volta al governo rimangiarsi tutto, con l’incompetenza di chi non sa le cose o la malizia di chi finge di non saperle.
Di Battista, l’ex eroe di San Foca, non si è ancora pronunciato sull’argomento, e nemmeno suo padre – di certo non uno che lesina dichiarazioni e che fino a qualche giorno fa mostrava fiero la maglietta No Tap. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, probabilmente l’unico personaggio nell’orbita grillina a non aver colpe in questa vicenda, ha scritto una lettera di scuse ai pugliesi, addossandosi le responsabilità. E qui è entrato in gioco il misero teatrino delle cifre flessibili. Conte parla di risarcimenti fino a 35 miliardi, Di Maio di penali da 20 miliardi, mentre la Lega si sfrega le mani in silenzio, gongolando per i prossimi sondaggi. Tra le macerie dell’opposizione, è stato Calenda a prendere la parola, dicendo: “Di Maio si sta comportando da imbroglione, come sull’Ilva. Non esiste una penale perché non c’è un contratto. Sta prendendo in giro gli elettori ai quali ha detto una cosa che non poteva mantenere.”
Per capire meglio le ragioni di entrambe le parti, è giusto capire cosa sia realmente il Tap. Il Trans Adriatic Pipeline è un gasdotto che verrà collegato al Tanap (Trans Anatolian Pipeline), al confine tra Grecia e Turchia e attraverserà Albania e mare Adriatico, per poi congiungersi alla rete nazionale italiana. Lo scopo è quello di costituire il “Corridoio Meridionale del Gas”, una catena lunga 4mila chilometri.
La provincia di Lecce rappresenta il fulcro della realizzazione del progetto, ed è qui che sono sorte le più feroci contestazioni da parte dei No Tap, con un’attenzione particolare al tema ambientale: ogni anno vengono infatti abbattuti o riposizionati circa 40mila ulivi e il tubo in questione passerà attraverso le falde acquifere. Sul fronte opposto, il Tap viene visto come un’opportunità per diversificare le fonti di energia e diventare più indipendenti, oltre che un modo per favorire la competitività tra le aziende del Paese e abbassare i costi dell’energia. Inoltre, il gas naturale rappresenterebbe una soluzione “pulita”, ben preferibile ad altre fonti di energia.
Una diatriba che interessa in modo profondo solamente i cittadini e non appartiene fino in fondo agli esponenti politici, considerando come questi ultimi si sono aggrappati alla vicenda con il solo intento, riuscito, di accaparrarsi una cospicua fetta di voti. La vicenda del Tap rappresenta in pieno il pressappochismo del M5S, smascherato nel momento della verità, come spesso è già accaduto nella sua breve storia. Basti pensare all’esperienza di Virginia Raggi a Roma, che dall’opposizione perculava Marino a ogni nubifragio, e ora vede la propria città sommersa dopo qualche giorno di pioggia. Oppure quando protestava con veemenza per i rifiuti, e adesso da sindaca assiste inerme alla trasformazione di Roma in una discarica a cielo aperto, tra immondizia, topi e degrado.
A livello nazionale, il fallimento più grande riguarda il reddito di cittadinanza. Più volte, durante la campagna elettorale, sono state promesse coperture, soldi da ricavare attraverso un ingente taglio di sprechi, tutto documentato per filo e per segno. Ovviamente quelle coperture non c’erano, e il governo ha fatto una manovra in deficit, rinnegando tutti gli accordi con l’Europa.
Basare un intero movimento sugli errori degli avversari e non su soluzioni reali ai più svariati problemi è l’emblema dell’antipolitica. È facile sbraitare, quando si sta all’opposizione: un conto, però, è farlo in un bar di provincia, tra un boccale di birra e l’altro; un altro è farlo nel momento in cui si gode di una cassa di risonanza particolarmente ampia, con il risultato di infestare opinione pubblica e istituzioni con la propria scia di incompetenza, dilettantismo e malafede.
La strategia è sempre la stessa: rigirare la frittata. Casalino e le altre menti del M5S ci stanno lavorando proprio in questi giorni, cercando di veicolare il messaggio: “Non possiamo bloccare la Tap, è colpa del Pd se dobbiamo pagare le penali.” La realtà, come detto, è che non esiste alcuna penale. Come hanno spiegato in molti, il Tap non è un’opera pubblica, non esiste nessun contratto tra il consorzio Tap e lo Stato italiano, piuttosto un contratto con le aziende che stanno materialmente costruendo il gasdotto. E si dà il caso che il Diritto voglia che, non essendoci un contratto con lo Stato, non possano esserci penali che lo Stato dovrebbe pagare in caso di interruzione dei lavori – lo vorrebbe anche la logica, ma dal 4 marzo in poi chi la conosce più. Lo Stato dovrebbe pagare esclusivamente i possibili risarcimenti per danno emergente e lucro cessante alle aziende coinvolte. Tutto questo era noto da tempo e nel percorso di approvazione della costruzione del gasdotto è stato coinvolto anche il Parlamento, quell’organo con due aule, dette Camere, dotate di poltroncine rosse su cui in teoria si siedono anche gli esponenti del M5S.
Eppure, anche se il bluff è stato svelato, la terapia d’urto non cambia: quando sorge un problema, il M5S deve difendersi attaccando l’avversario. Qualche giorno fa, a Roma, migliaia di persone si sono radunate in piazza per protestare contro la giunta Raggi. Lei, con un post sprezzante su Facebook, se n’è uscita attaccando i cittadini che hanno manifestato, definendoli “Orfani di Mafia Capitale” e parlando di “Signore con borse firmate da mille euro come fossero magliette di Che Guevara e – accessorio immancabile – i barboncini al guinzaglio.” Una protesta che ha scatenato moltissime critiche, poiché la manifestazione non aveva bandiere politiche, e a protestare c’erano anche tanti cittadini che Virginia Raggi l’avevano votata. Tralasciando l’inspiegabile nesso con i barboncini, appare evidente il piano del M5S di screditare chiunque non si allinei al loro pensiero. Eppure la Raggi dovrebbe essere il sindaco di tutti, non soltanto della sua fazione-setta.
Lo stesso Di Maio, quando non era ancora al governo, ha sbandierato urbi et orbi la sua visione su svariati argomenti spinosi. Ad esempio, nel 2017, ha dichiarato che: “Se faccio una legge per il condono a Ischia mi iscrivo al Pd.” Adesso il condono per Ischia è arrivato, insieme a quello con il nome camuffato “pace fiscale”, e il vicepresidente del Consiglio non si è ancora visto dalle parti del Nazareno. Potrebbe essere una soluzione in vista delle dimissioni del segretario Martina, qualora gli elettori di centrosinistra volessero provare il brivido del nemico in casa o del guilty pleasure.
Che sia Tap, Ilva, Ischia o un condono, il M5S arranca e si contorce su se stesso, alla ricerca di una posizione politica che non ha mai avuto. Quella all’opposizione era la proiezione di un mal di pancia comune, non un ideale.
Le incongruenze dei grillini, ormai alla luce del sole, non solo stanno causando una moria di preferenze, come dimostrano i sondaggi – e la Lega ringrazia; è il primo sintomo visibile di un’implosione già in atto. Il M5S verrà cannibalizzato dalla sua stessa base, e le promesse del passato gli si ritorceranno contro, dalla prima all’ultima. Perché la politica è una cosa seria, non si riduce al mantra “E allora gli altri?”, e soprattutto i cittadini non sono un branco di smidollati senza capacità di critica e autonomia di pensiero. Speriamo.