Qualcuno, una volta, chiese allo scrittore americano John Steinbeck perché non esistessero movimenti socialisti negli Stati Uniti. Lui rispose che il problema stava nel sogno americano stesso: “Il fatto,” disse, “è che i poveri non vedono se stessi come membri oppressi del proletariato, bensì come milionari temporaneamente in difficoltà”. Il progresso personale, l’idea di “farcela da sé”, erano un sogno ancor più grandioso dell’insurrezione collettiva delle masse affollate. Gli Stati Uniti non hanno mai avuto un partito socialdemocratico popolare, né un partito dei lavoratori. Eppure, oggi più che mai, il socialismo si sta facendo strada nella terra dei liberi. Oggi, a essere in difficoltà, sono i plutocrati a capo dei Democratici.
In un Paese dove una visita all’ospedale o un anno all’università possono costare decine di migliaia di dollari, è sempre stato curioso sentire quei palloni gonfiati della destra, come Bill O’Reilly o Anne Coulter, accusare un liberale come Barack Obama di aver creato il socialismo. Eppure, a partire dalla crisi del 2008, il fallimento delle promesse del liberismo è stato evidente, e gli appelli per una social-democrazia in stile europeo hanno cominciato a emergere. Per la prima volta nella storia, i sondaggi mostrano che oggi la maggioranza dei giovani americani è convinta che il socialismo, nella sua definizione astratta, sia una “cosa buona”.
Non è l’inizio di una rivoluzione, ma le campagne socialdemocratiche, a lungo escluse dal dibattito pubblico americano, stanno prendendo una forma organizzata. L’ultima svolta è arrivata il 26 giugno, quando la 28enne Alexandria Ocasio-Cortez ha vinto le primarie per la selezione del candidato dei democratici in rappresentanza del 14esimo distretto della città di New York. Avendo sconfitto Joseph Crowley, parlamentare in carica e rappresentante dell’establishment, in un distretto in cui i voti per i Democratici sono talmente tanti che se ne perde il conto, sembra quasi sicuro che la candidata socialista Ocasio-Cortez verrà eletta alla Camera questo novembre.
Il programma elettorale di Ocasio-Cortez è davvero radicale per gli standard statunitensi. C’è l’idea della casa come diritto umano e il reddito minimo di 15 dollari l’ora, con pensione e indennità di malattia garantite; la riforma della legge sul finanziamento delle campagne elettorali e la creazione di un percorso di ottenimento della cittadinanza per i migranti; l’assistenza sanitaria universale e la rimozione delle tasse universitarie, nonché la cancellazione del debito studentesco (che ammonta a 1400 miliardi di dollari); sono poi previsti investimenti sulla sostenibilità ambientale basati sul Piano Marshall. Un progetto allettante per i millennials, che guadagnano il 20% in meno dei loro genitori, fanno via via più fatica a permettersi una casa, dipendono sempre di più dai servizi pubblici e sono chiaramente meno propensi a sposare la mentalità del milionario-in-attesa-di-diventarlo.
Ocasio-Cortez è parte di un’ala da sempre marginale della sinistra americana, i Socialisti Democratici d’America. I DSA non sono un partito vero e proprio, ma tentano generalmente di far eleggere i propri candidati con i Democratici. Il che si è spesso rivelato un’impresa di Sisifo, uno sforzo vanificato dalla marea di finanziamenti che arrivano ai candidati più sponsorizzati, che hanno quindi la certezza di essere nominati, anche a livello locale. L’ultimo socialista che si definisse tale e che abbia raggiunto il Congresso, fu Ron Dellums nel 1971.
Ma i tempi stanno cambiando. L’allegato domenicale del New York Times di questa settimana titolava “Stanno arrivando I socialisti millennial”, e mostrava Ocasio-Cortez accanto ad altre donne emergenti della politica americana. Già alle primarie, precedenti alle elezioni del 2016, gli under-trenta avevano votato per Bernie Sanders, il candidato indipendente del Vermont, più di quanto non avessero fatto per Donald Trump e Hilary Clinton messi insieme. In quella tornata, il settuagenario Sanders, così come l’inglese Jeremy Corbyn, sono stati i simboli sopravvissuti di vecchie battaglie della sinistra, in cui i millennials hanno posto la loro fiducia. Ora i giovani socialisti si candidano in prima persona.
Alcuni hanno attribuito il successo di Ocasio-Cortez alla sua etnia, o al suo genere, piuttosto che alle politiche socialiste di cui si fa portavoce. Senza dubbio l’equità razziale è al centro del suo programma, come si vede dalla volontà di eliminare il sistema dell’uscita su cauzione e dall’opposizione alla guerra alla droga, che dal 1980 ha portato all’incarcerazione in massa degli afro-americani. “Non riesco a immaginare una sola questione etnica che non abbia anche implicazioni economiche, e non riesco a pensare a una sola questione economica che non abbia anche implicazioni etniche. L’idea che dobbiamo per forza distinguerle, scegliendone una soltanto, è una truffa”, dice la stessa Ocasio-Cortez.
Il tentativo di unire le problematiche razziali e quelle legate alla povertà è stato una costante di tutta la storia americana, ma difficilmente si è rivelato un solido fondamento per la sinistra. Nel dopoguerra, la sinistra ha rotto con l’anima suprematista bianca degli ex-Stati confederati, ma non ha virato verso una visione sociale alla Martin Luther King, quanto più verso l’idea di un capitalismo inclusivo, che integrasse un’élite di rappresentanti dei neri nella leadership democratica. Quelli come Jesse Jackson, che hanno effettivamente tentato di far convivere equità sociale e razziale, sono stati sfavoriti rispetto a figure come Bill Clinton, investito persino del titolo di “Primo presidente nero” dai suoi fautori più convinti.
Nel 2016 Bernie Sanders è stato oggetto di feroci attacchi da parte dell’establishment democratico. L’obiettivo era quello di dipingerlo come un sessista, sordo alle ingiustizie razziali e a capo di un esercito di BernieBros, suoi fedeli sostenitori, aggressivi e verbalmente violenti specialmente online. Il numero relativamente basso di elettori all’interno della comunità nera era in contrasto con il suo passato da attivista per i diritti civili dei lontani anni Sessanta, col sostegno dei neri alle sue posizioni politiche, e col supporto di un’attivista come Erica Garner: figlia di un afro-americano ucciso dalla polizia, è stata in prima persona protagonista di un bellissimo video per la campagna elettorale di Sanders. Gli stessi Stati della Rust Belt, la ex-regione manifatturiera del Paese, che hanno preferito Bernie a Hilary alle primarie, hanno poi votato per Trump alle elezioni generali. Questo è stato interpretato come una prova del fatto che Sanders stesse riuscendo a garantirsi, più che a perdere, il voto dei suprematisti bianchi.
Oggi, quegli stessi liberali di maggioranza che hanno dipinto Sanders come un fallito tra la comunità nera, che presentava questione sociale e razziale come in contrasto, sostengono che la sua alleata, l’ispanica Ocasio-Cortez, non possa avere alcun appeal al di fuori della cosmopolita New York. Farebbero qualsiasi cosa per alimentare il fuoco della guerra d’identità, sostenendo persino che un senatore ebreo del Vermont non possa rappresentare i neri, e che una donna ispanica non possa riscontrare consensi nel Midwest. Le élite democratiche, che sono riuscite a perdere contro Donald Trump, non possono che fondare la loro strategia su una presunta guerra tra poveri, impedendo per sempre la crescita di una socialdemocrazia americana.
La creazione negli Stati Uniti di un movimento socialista, multietnico e anti-razzista, è ancora un percorso in divenire. La vittoria di Ocasio-Cortez dimostra al massimo la nascita di piccoli germogli di sinistra in un Paese in cui questa è stata a lungo pressoché invisibile. I Socialisti Democratici d’America oggi vantano 42mila iscritti, 10mila in più dalla fine del 2017 e più del doppio di quanti ne avessero all’inizio della campagna di Sanders. Nuovi organi di informazione, come Jacobin (per cui lavoro) e Current Affairs, danno voce alle idee alla sinistra del liberalismo. In ogni caso, il fatto che la vittoria alle primarie di Ocasio-Cortez sia stata una tale sorpresa dimostra la scarsa rilevanza che i DSA ricoprono all’interno dei Democratici a livello nazionale.
Ci vorrebbe uno storico coraggioso per fare delle speculazioni sul futuro. Quando sono arrivato a Roma, sette anni fa, non avrei mai immaginato che avrei scritto un pezzo sul successo dei socialisti americani, specialmente per un pubblico italiano. A tutti quelli che lamentano il fatto che l’Italia sia un Paese di destra, direi che questo è cento volte più vero quando si parla degli Stati Uniti – che non hanno mai avuto un partito della classe operaia, o nemmeno uno che si chiamasse “socialdemocratico”. La breve fiamma del movimento Occupy, e poi la campagna di Sanders, hanno creato uno spazio in cui è stato possibile parlare di socialismo. Oggi però, una 28enne è riuscita a mettere in difficoltà i milionari dell’establishment democratico, e le vecchie certezze sembrano un po’ meno certe.