Ah, non posso essere contrario alle armi solo se usate contro la Russia di Putin? Eh no, non puoi. - THE VISION

L’intervento in streaming del Presidente ucraino Volodymyr Zelensky al Parlamento italiano ha aperto una frattura all’interno di diversi partiti. Più di 300, tra senatori e deputati, erano assenti, prevalentemente ex grillini confluiti nel Gruppo Misto o nel partito di Gianluigi Paragone e diversi leghisti. Tra questi spicca il senatore Simone Pillon, che ha giustificato la sua assenza con un viaggio di lavoro a Londra, anche se molti osservatori hanno fatto notare che dal 2015 Pillon fa parte del direttivo della fondazione cattolica di destra Novae Terrae, oggetto, secondo quanto riportato dall’Espresso, di diverse indagini per uso improprio dei suoi fondi, in particolare dei 2,4 milioni di euro ricevuti nel 2012 da una serie di investitori russi e dell’Azerbaijian. 

La posizione che però ha destato più stupore è stata quella di Matteo Salvini, per cui “Quando si parla di armi non sono mai felice”. Si tratta dello stesso Salvini corteggiato dalle principali lobby armiere italiane, che ha posato più volte imbracciando armi da fuoco e che giustifica per prassi gli omicidi per legittima difesa sottolineando il diritto degli italiani a possedere un’arma da fuoco.

Dopo i casi ben noti dei rapporti con il partito di Putin Russia Unita, i viaggi a Mosca, le inchieste ancora in corso su presunti finanziamenti russi alla Lega e le fotografie all’Europarlamento con la maglia con la gigantografia di Putin stampata sopra, Salvini ha deciso di virare verso il pacifismo gandhiano e il sostegno al popolo ucraino. Ha persino tentato la via della passerella mediatica con un viaggio al confine tra Polonia e Ucraina con la motivazione di portare aiuti ai profughi ucraini, ma l’accoglienza del sindaco di Przemysl, Wojciech Bakun, non è stata delle migliori: il sindaco, di destra, durante la conferenza stampa al fianco di Salvini ha tirato fuori proprio una maglietta identica a quella indossata alcuni anni fa dal leader leghista all’Europarlamento, chiedendogli di rinnegare il suo sostegno a Putin. Fino a quel momento, Bakun ha fatto sapere ai cronisti lì riuniti che Salvini non sarà persona gradita nella città di cui è sindaco.

Vladimir Putin

Il leader leghista già da anni ha portato avanti una campagna contro le sanzioni alla Russia, mitigata in parte all’Europarlamento dopo la svolta atlantista scattata da quando la Lega si trova al governo, prima con Conte e ora con Mario Draghi. La sua presa di posizione contro l’invio delle armi in Ucraina non è un’improvvisa conversione al pacifismo, ma un tentativo disperato di seguire le posizioni atlantiste ed europee del governo di cui fa parte senza compromettere del tutto i suoi rapporti con i sostenitori e presunti finanziatori che la Lega ha a Mosca. Così sulle sue pagine social posta foto di bambini ucraini, di donne che fuggono dalla guerra, corredate da frasi a supporto della pace, ma non viene mai nominato il diretto responsabile dell’aggressione all’Ucraina, ossia Vladimir Putin. Ora tenta anche di apparire come il paladino per il disarmo, nonostante sue dichiarazioni e immagini in senso opposto riempiano gli archivi dei giornali e le pagine web.

Per esempio, il 9 febbraio del 2018, in piena campagna elettorale, si presentò all’Hit Show, la fiera delle armi di Vicenza, e firmò un documento con il Comitato Direttiva 477, chiamato oggi Unarmi (Unione degli Armigeri Italiani), impegnandosi a consultare il Comitato per ogni discussione in Parlamento sui provvedimenti riguardanti le armi da fuoco. Quando poi, pochi mesi dopo, Salvini è diventato Ministro dell’Interno nel governo Conte I, alcune richieste presenti nell’accordo con Unarmi sono finite nel decreto legislativo 104/2018 firmato proprio dal leader del Carroccio. In particolare, il decreto conteneva l’aumento da sei a dodici delle armi sportive detenibili nella propria abitazione, una maggiore capienza massima dei caricatori e l’abolizione della discrezionalità dei questori per la richiesta di limitazione sulle munizioni acquistabili durante il periodo di licenza. 

 

Salvini provò a spingersi oltre, presentando nel marzo 2019 una proposta di legge per facilitare l’acquisto di armi per la difesa personale, incrementando da 7,5 a 15 joule il discrimine tra le armi comuni da sparo e quelle per cui non serve il porto d’arma. Il testo non è mai arrivato a essere discusso in Parlamento.  Nel documento sottoscritto tra Lega e Unarmi a Vicenza c’è un punto legato alla tutela della legittima difesa, a cui la Lega ha dato seguito depositando nel luglio 2018 alla Commissione Giustizia del Senato una proposta di modifica dell’articolo 52 del Codice penale, introducendo la “presunzione di legittima difesa”. Una difesa che per Salvini è sempre legittima, soprattutto quando riguarda i suoi compagni di partito.

Il 20 luglio del 2021, infatti, l’assessore alla Sicurezza di Voghera, il leghista Massimo Adriatici, sparò per strada contro Youns El Boussettaoui, di origini marocchine, uccidendolo. L’uomo aveva avuto un diverbio verbale e poi fisico con Adriatici, che reagì tirando fuori l’arma che portava sempre con sé, tanto da essersi guadagnato in città la fama di “sceriffo”. Le indagini sono ancora in corso, mentre Adriatici si trova agli arresti domiciliari per “eccesso di legittima difesa”. Salvini, il pacifista che oggi non riesce a essere felice parlando di armi, all’epoca disse che “Se uno ha il porto d’armi come accade a 1,3 milioni di italiani certificati da questura e prefettura, è normale andare in giro con un’arma”. 

Lo scorso giugno il segretario del Pd Enrico Letta tentò di introdurre maggiori limitazioni sulle concessioni per il porto d’armi, cercando di aprire un dibattito su misure più severe in materia. Salvini protestò dichiarando che “L’Italia è uno dei Paesi con le regole più restrittive sulla concessione delle licenze per le armi”. Lo stesso Salvini che adesso si indigna per l’invio di armi in Ucraina, faceva parte del governo che nel 2018, dopo il suo insediamento, segnò un record italiano alla vendita di armi all’Egitto, appena due anni dopo l’omicidio di Giulio Regeni. Al governo c’era anche il M5S, con Di Maio che giusto due anni prima intimava al governo Renzi di “Sospendere immediatamente l’export se non vuole rendersi complice del regime di al-Sisi”. Sempre in relazione a quel periodo, vennero vendute armi anche all’Arabia Saudita – impegnata a bombardare civili e ospedali in Yemen – e ad altri Paesi che non fanno parte della Nato, per una cifra intorno ai 5,2 miliardi di euro che comprendeva anche “bombe, siluri, razzi, missili ed accessori”. 

Enrico Letta
Luigi Di Maio

Salvini non si è mai sottratto alle occasioni di farsi immortalare mentre imbraccia armi, anche ai congressi dei cacciatori. Tra sorrisi con un fucile in mano, si è vantato con le varie platee di cacciatori di essere uno dei pochi a parlare di caccia, aggiungendo: “Cacciatori e pescatori sono i primi che tutelano il territorio. Ogni anno vado alla fiera delle armi e la caccia dà milioni di posti di lavoro ed è una tradizione”. Nel 2018, dal palco di Pontida, si è schierato nuovamente a favore della caccia dichiarando: “Giù le mani dalle nostre tradizioni, dalla nostra storia, dalla nostra cultura”. Anche in quell’occasione Salvini non ha perso il vizio di parlare a nome di un Paese che non rappresenta affatto, anche se di sicuro la cultura e la tradizione di cui parla fanno parte dell’anima fondativa della Lega, e prima della Lega Nord.

I “Serenissimi” in Piazza San Marco il 9 maggio 1997

Dagli albori degli indipendentisti veneti, che nel 1997 inscenarono un golpe-farsa armati di mitra e autoblindo in piazza San Marco a Venezia, fino ad arrivare alle minacce di Umberto Bossi che parlava di centomila bergamaschi con i fucili pronti alla secessione, il celodurismo della Lega è sempre stato collegato alle armi e alla muscolarità a tratti ridicola di certe dimostrazioni di forza. Salvini non ha fatto altro che ereditare questa narrazione per convertirla in un nazionalismo da operetta in cui si recita a soggetto, adeguandosi in base agli umori dei leader e dei propri seguaci. Oggi prevale il dichiarato senso di repulsione per quelle stesse armi che hanno contraddistinto tutte le stagioni leghiste, compresa quella di Salvini. Nell’equilibrismo per non perdere la faccia di fronte all’opinione pubblica italiana ed europea, ma neanche il sostegno di Putin, per qualche settimana Salvini ha scoperto la sua indole da Nelson Mandela. Almeno fino alla prossima fiera delle armi e al prossimo “sceriffo padano” con il grilletto facile.

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