Marco Rizzo ha attraversato la morte di Berlinguer, la dissoluzione dell’Unione Sovietica, varie rifondazioni e rivisitazioni di quell’humus comunista che continua tutt’oggi a nutrirlo sfidando l’anacronismo, perché certi ideali trascendono il tempo; eppure, ultimamente, quando appare in collegamento tv per le interviste, se la libreria sullo sfondo non ospitasse in bella mostra il simbolo con la falce e il martello e se si ascoltassero solo le parole che pronuncia senza conoscere la sua storia, si rischierebbe quasi di confonderlo con Matteo Salvini.
Sembra evidente che il segretario generale del Partito Comunista stia cercando di trasmettere un altro tipo di messaggio, spiegando come il neoliberismo del PD non sia una linea percorribile dalla sinistra, cosa probabilmente vera. Rizzo, però, sta probabilmente sbagliando il metodo, ovvero sfidare un centrosinistra sbiadito usando le armi – e il linguaggio – della destra estrema. Rizzo per fortuna non è un reazionario, come può essere Diego Fusaro, e la sua non è un’operazione tendente al rossobrunismo: rifiuta infatti qualsiasi ombra nera che possa inficiare la sua idea di comunismo, le parole però sono importanti e quelle espresse da Rizzo di recente appaiono fortemente criticabili.
Intervistato il 10 maggio dal quotidiano La verità – di Maurizio Belpietro – Rizzo ha commentato i principali avvenimenti politici, sociali e di attualità dell’ultimo periodo. A una domanda molto precisa sul ddl Zan, ha risposto: “Io mi sono sempre impegnato a combattere l’utero in affitto, una pratica nazista, degna del dottor Mengele. Mi hanno massacrato per questo, ma continuerò a rivendicare questa battaglia, la voglia di avere un figlio è un desiderio, e i desideri non sono diritti”. Questa risposta però, al di là delle opinioni personali, è completamente distaccata dalla domanda – non essendoci alcun nesso tra il ddl Zan e l’utero in affitto. Rizzo ha deciso deliberatamente di porre l’accento su un tema molto diverso da quello – urgente e importante – che avrebbe avuto la possibilità di affrontare: il ddl Zan. E ha poi continuato dicendo che per aver pronunciato frasi del genere “Se passa il ddl Zan potrei essere punito”. Ovviamente non è vero, e fare questo passaggio purtroppo lo avvicina al tipo di distorsione retorica e disinformazione tipica della destra.
Rizzo poi insiste: “Se vogliamo dirla tutta, la mutazione genetica della sinistra italiana inizia negli anni Settanta, con l’avvento del femminismo e dell’ecologismo da salotto. La battaglia per i diritti civili è un’arma di distrazione di massa per coprire le nefandezze compiute sui diritti sociali”. Mettere in contrapposizione diritti civili e sociali, in questo particolare momento storico, rischia però di apparire fuori luogo, soprattutto se lo fa un politico che prende come modello la Corea del Nord perché “ha sconfitto il capitalismo”. Peccato che sia anche la patria contemporanea della violazione dei diritti umani. Rizzo dovrebbe probabilmente considerare in maniera diversa il peso delle condizioni che donne e omosessuali – ma non solo – sono costretti a subire in una dittatura come la Corea del Nord, prima di mettere in secondo piano i diritti civili. Evidentemente, però, questi sono temi che non lo riguardano. Ciononostante li tratta, e lo fa con una superficialità di fondo che stupisce, considerando la sua statura intellettuale.
Sempre parlando del ddl Zan, infatti, ha detto: “In quel disegno di legge ci sono altre follie, ad esempio la definizione del sesso. Mi sveglio una mattina e decido che sono una donna, e posso usufruire delle quote rosa? È il mondo al contrario, il mondo in cui sul palco della festa dei lavoratori ci sono rapper miliardari che vendono lo smalto per unghie agli uomini”. A parte che una simile dichiarazione sembra ignorare decenni di riflessione accademica sul genere, questa frase tradisce tutto l’anacronismo delle posizioni di Rizzo, che a tratti potrebbero ricordare quelle dei membri di CasaPound. Il fulcro di questi pensieri non è certo la sua visione idealista della politica, piuttosto una concezione del mondo ormai sorpassata.
“Io sono contro ogni discriminazione, ma non voglio essere indirizzato a darmi lo smalto sulle unghie”, continua, e ancora una volta sembra Giorgia Meloni, o qualsiasi altro membro di Fratelli d’Italia terrorizzato dalla falsa ideologia del gender. Come se esistesse un complotto in merito. L’errore di Rizzo allora sembra stare nella mancata comprensione dei confini che oggi separano la destra dalla sinistra, che non possono essere soltanto legati al lavoro e alle politiche sociali, ma riguardano un’idea di mondo ben più estesa. La sinistra, infatti, è intrinsecamente diversa dalla destra perché inclusiva, tollerante, progressista nelle modalità e negli intenti delle battaglie per i diritti. Altrimenti si può passare dall’altra parte, che ha anche un nome: destra sociale. Può sempre succedere nella vita di cambiare idea.
Rizzo è poi rimasto particolarmente colpito dalla figura di Fedez. Dice che non lo conosceva, ma ha analizzato il suo intervento durante il concertone del Primo maggio ed è subito partito con le sentenze: “Poteva dire che le multinazionali non pagano le tasse: non l’ha detto, forse perché è testimonial di Amazon”. La strategia del “poteva-dire-che” però è un vecchio tormentone. E il guaio è quando viene proprio dalla sinistra. Certo, ci sono e ci potevano essere svariati altri argomenti da trattare, ma Fedez ha scelto i suoi. Questo non vuol dire che sia un paladino della sinistra, eppure le posizioni che esprime, almeno su certi temi, appaiono molto più a sinistra di quelle di Rizzo. Allo stesso tempo è evitabile la banalizzazione della critica, attaccare seguendo gli stilemi di chi pretende di essere dalla parte giusta arroccandosi sull’ideologia e non sulla pratica. Perché altrimenti potremmo dire che in questi giorni Rizzo si è distinto per un dibattito con Er Faina su Twitch, luogo che ultimamente frequenta spesso. Forse anche lui si è dimenticato che Twitch è la piattaforma di Amazon.
Questo stile comunicativo di Rizzo è in atto da qualche anno, soprattutto da quando la narrazione sovranista ha preso il sopravvento a destra. C’è chi se n’è accorto e ha quindi deciso di defilarsi, come Il Fronte della Gioventù comunista, che lo scorso anno in polemica con i metodi di Rizzo si è allontanato dal PC denunciando “un linguaggio volutamente ambiguo che strizza apertamente l’occhio ai settori reazionari e di destra, facendone propri i richiami sulla sovranità”. È proprio sul concetto di sovranità, spesso associato impropriamente al sovranismo, che Rizzo fa il funambolo camminando sul filo che separa istanze comuniste e derive destrorse.
Così come i sovranisti, Rizzo, magari con ragioni diverse, ha il diritto insieme al suo partito di voler uscire dall’Unione Europea e dall’euro. È però sbagliato, e a tratti pericoloso, far passare il messaggio che l’internazionalismo sia una parolaccia vomitata da qualche antipatriota, quando lo stesso Gramsci nei Quaderni scriveva che “la prospettiva è internazionale e non può essere che tale”. La visione di Gramsci era infatti estremamente moderna e tesa all’apertura: “Esiste oggi una coscienza culturale europea ed esiste una serie di manifestazioni di intellettuali e uomini politici che sostengono la necessità di una unione europea: si può anche dire che il processo storico tende a questa unione e che esistono molte forze materiali che solo in questa unione potranno svilupparsi. Se tra x anni questa unione sarà realizzata, la parola nazionalismo avrà lo stesso valore archeologico che ha l’attuale municipalismo”. Suona quindi ancora più strana la posizione di Rizzo, la sua scelta di allinearsi a canoni che appartengono tradizionalmente alla destra e nemmeno alle peggiori derive comuniste. Andare contro il centrosinistra sui diritti civili, sulla politica internazionale e persino sull’immigrazione potrebbe anche essere una sua strategia elettorale; un modo per amplificare le differenze di veduta e spingere gli elettori verso un’altra idea di sinistra, quella a suo dire più pura. Il problema è che chi fa certi discorsi sullo smalto portato dagli uomini, sul ddl Zan o sul patriottismo difficilmente voterà il PC, perché se non lo era già nel frattempo si è spostato sotto l’ombrello di Salvini e Meloni.
Rizzo probabilmente non è in malafede, e non è certo uno sprovveduto. Le sue battaglie sui lavoratori sono sacrosante e molte idee che promuove mantengono una grande nobiltà di spirito. È proprio per questo che la delusione rispetto alle sue dichiarazioni su certi temi attuali è ancora più cocente: certe frasi, infatti, ce le aspetteremmo da Claudio Borghi o da Mario Adinolfi, non da un politico che si batte per gli ultimi, dimenticandosi però che questi ultimi non sono determinati esclusivamente da un ceto o da una condizione lavorativa.
Il mondo sta andando più veloce di Rizzo e lui sembra non essersene accorto. Nel 2021 la sinistra deve necessariamente ascoltare le voci che lui fatica a sentire, perché fuori dalla dicotomia proletario-padrone c’è un esercito di esclusi che meriterebbe altrettanto fervore ideologico. E se il loro unico megafono diventa Fedez, quest’ultimo non ha colpa, piuttosto ce l’hanno tutti i Marco Rizzo che continuano a voltarsi dall’altra parte, ignorando una larga parte delle ingiustizie sociali del presente.