Dopo il collasso del Pd del 4 marzo, un sondaggio di SWG ha evidenziato la portata del disastro. I dati riportati da La Repubblica mostrano che, tra gli italiani che votarono Partito comunista (Pci) nel 1987, il 35% sostiene oggi il Movimento 5 stelle, mentre solo il 32% di loro appoggia il Partito democratico. Questo dato è superiore al consenso medio del M5S, nonostante l’ampia frattura generazionale. Secondo Tecnè, il Pd è il partito più votato solo tra gli over 64, mentre tra gli under 44 il M5S raccoglie più del 40% dei voti. Eppure anche gli elettori che votarono Pci nel 1987, i quali devono perciò avere almeno 48 anni, sono ormai delusi dal centrosinistra. La disoccupazione giovanile al 35%, l’emigrazione dei giovani e la crisi dell’eurozona spiegano le difficoltà del Pd nel raccogliere nuovi simpatizzanti. Ma ancora più impressionante è lo spostamento all’interno dell’elettorato più anziano, anche tra coloro che rigettano fermamente il centrodestra: il Pd non solo non è riuscito a rinnovare la propria base, ma sta anche perdendo i suoi elettori di lungo corso.
Per anni il popolo di sinistra è rimasto fedele al “Partito”, galvanizzato dall’opposizione a Silvio Berlusconi. Persino ora, meno del 5% degli italiani che nel 1987 votarono Pci sostengono Forza Italia, mentre il 9% la Lega. Tuttavia, solo il 15% di loro il 4 marzo ha votato le forze a sinistra del Pd. Molti sono delusi non solo da Matteo Renzi, ma da tutta la sinistra.
Lo spostamento dei consensi ha alimentato l’idea che il M5s abbia assunto oggi il ruolo del vecchio Pci. Il sociologo grillino Domenico De Masi ha affermato che “Di Maio è l’[Enrico] Berlinguer del Movimento 5 Stelle,” mentre, durante la campagna elettorale, Berlusconi ha dichiarato di essersi sentito obbligato a scendere in campo contro i grillini, proprio come fece nel 1994 per i comunisti. Il M5S non è un partito di sinistra. Di Maio ha parlato con ammirazione di Berlinguer, ma ha fatto lo stesso con i democristiani e persino con Giorgio Almirante. Il Movimento è poco interessato, se non ostile ai sindacati, non ha una strategia economica di larghe vedute, e si distanzia in maniera decisa dalla venerazione del Pci per la Repubblica nata dalla resistenza antifascista.
Al contrario, il M5S ha disperso la sinistra. Nonostante affermi di essere politicamente e sociologicamente trasversale, il suo supporto è molto alto tra i disoccupati (il 50% di loro sostiene M5S, secondo Tecnè) e tra i precari (39%). Non parla il linguaggio della lotta di classe, ma ha un profilo sociale opposto a quello del – sempre più borghese – Pd. Per quelli che considerano impossibile l’azione collettiva, il M5S fornisce la possibilità di scalciare via l’establishment. I sindacati e le cooperative, che erano la base elettorale originaria del Pci, sono oggi forze sempre meno visibili sul piano sociale e, soprattutto dopo che il Jobs Act le ha messe in contrapposizione diretta col Pd, persino la Cgl si è allontanata dal partito.
Non solo il Pd ha rinnegato le proprie origini, ma l’attaccamento identitario della sinistra è diminuito. Persino nel 1987, il Pci poteva crogiolarsi nella propria eredità, eleggendo luminari della Resistenza come Nilde Iotti e Pietro Ingrao. Tuttavia, con l’allontanarsi di quel periodo storico e l’appassimento della sinistra, si è aperta la strada a una forza che non punta più sugli ideali dell’antifascismo.
Il centrosinistra del post-1991 si è costruito sulle ceneri dell’era Berlinguer. Dopo aver cercato a lungo di distanziarsi da Mosca, il Pci poteva ora accogliere pienamente l’ideale di un’Europa unita. Avendo provato per molti anni a presentarsi come una forza di governo credibile, poteva ora rivendicare un ruolo di difensore della stabilità politica. Rifondazione, un partito fatto da coloro che rifiutavano lo scioglimento, ha cercato di invertire questa evoluzione. Ma il sistema elettorale maggioritario e la paura di Berlusconi l’hanno riportato nell’orbita del centrosinistra, così che non ha mai ripiegato su posizioni anti-sistema come quelle del M5S. Nel 2006-2008 ha partecipato al governo del democristiano Romano Prodi.
La strada era dunque spianata per il M5S. Fondato nel 2009, ha usato il governo di Mario Monti, sostenuto da Pd e Pdl, le larghe intese del 2013 e lo scandalo di Mafia Capitale, come scusa per sostenere che il miliardario debosciato e il “Pdmenoelle” fossero la stessa cosa. Il Movimento Cinque Stelle non si è definito sulla base di una sua politica alternativa, ma sulla presunzione di rappresentare gli ignorati.
Il Pd non è un caso isolato. Il francese Parti socialiste ha raccolto il 6% nel 2017, dopo cinque anni passati a gestire l’austerity; ha avuto un destino simile lo spagnolo PSOE, i cui voti si sono dimezzati, e il greco PASOK, precipitato dal 44 al 4.7%. La differenza, però, è che in questi casi la vecchia sinistra si è alleata con la nuova, generando a una spinta per il rinnovamento.
Nel 2011 le manifestazioni di Madrid e Atene hanno denunciato il centrosinistra per essere sceso a compromessi con il centrodestra. Le richieste degli indignados di interrompere le misure di austerità si sono subito spostate nell’arena elettorale, portando all’ascesa di Podemos e Syriza. In modo analogo, la lotta contro la Loi Travail in Francia ha dato nuova vita alla campagna elettorale di Jean-Luc Mélenchon.
In Italia manifestazioni simili ma di portata inferiore hanno avuto un impatto politico meno decisivo. Qui la crisi non è stata uno shock, quanto piuttosto l’intensificazione di un antico e lento declino: ha prodotto rassegnazione – o emigrazione – più che resistenza organizzata. Uno dei soli due Paesi dell’eurozona a dover ancora raggiungere i livelli di PIL pre-crisi, l’Italia soffre una stagnazione che risale a più di un quarto di secolo fa. Nutrendosi del pessimismo che deriva da questa situazione, il M5S è più trasversale rispetto alle controparti estere, ma anche meno ambizioso. Il suo richiamo a una “pulizia” della politica ha però unito i giovani, che si sono visti negare l’accesso al lavoro, agli elettori con qualche anno in più, come i lavoratori autonomi, i tassisti e gli impiegati.
La colla per questa strana coalizione è la perdita di fiducia nella politica. Le zavorre del debito e delle regole europee limitano l’azione di governo; il M5S non ha risposte chiare, ma almeno dà voce alla rabbia di un elettorato atomizzato. Molti di coloro che sono rimasti disillusi dal collasso del Pci sembrano condividere lo stesso pensiero. Se per decenni l’obbiettivo del Pci è stato un riformismo socialista più che il comunismo, questo ha comunque unito un passato eroico, fatto da una lunga serie di conquiste, con la speranza di un futuro trionfo. L’esplosione del 1989-1991 ha distrutto questo ideale e gli ex leader del Pci si sono messi in coda per accogliere Clinton e Blair come loro nuovi idoli.
Non solo il trionfalismo capitalista degli anni ’90, ma anche Tangentopoli e il berlusconismo hanno portato gli uomini del Pci sempre più verso il centro. Spingendo persino Rifondazione in un fronte elettorale unico, il centrosinistra si è definito più per il suo decoro repubblicano che per la sua ambizione sociale. E i fedeli elettori che faticavano ad arrivare a fine mese sono stati lasciati indietro. Il tasso di crescita degli stipendi si è appiattito per poi crollare; il Pd ha cominciato a contrattare con Berlusconi e la speranza è evaporata. Nonostante un’agenda politica debole, il M5S ha quantomeno preso le difese dell’”uomo qualunque”, con la sua immagine fai-da-te in grande contrasto con il distaccato elitismo del Pd.
Persino le principali forze che hanno rotto con il Pd sono rimaste intrappolate in questo circolo vizioso. Liberi e uguali (LeU) ha riciclato politici ormai emarginati come l’ex premier Massimo D’Alema e l’ex segretario Pd Pierluigi Bersani, mentre gli architetti del nuovo Pd cercavano con poca decisione di bloccare un processo che loro stessi avevano innescato. Un popolo di sinistra esiste ancora. Secondo il sondaggio di SWG, il 10% degli elettori del Pci del 1987 hanno oggi sostenuto LeU (sul 3,4% di tutti i votanti), e il 5% Potere al Popolo (contro un 1,1% su scala nazionale). Ma sono comunque una minoranza. Più del doppio hanno votato per un M5S che rifiuta di netto il simbolismo e la pratica militante della tradizione comunista.
Nella sua ricostruzione del dibattito sullo scioglimento del Pci, Lucio Magri ha richiamato l’evocazione fatta da Pietro Ingrao de Il sarto d’Ulm di Brecht. Il poema parla di un sarto che cercò di provare che l’uomo era in grado di volare, saltando da un campanile con un particolare apparecchio. Quando l’uomo però precipitò a terra, il vescovo insistette che l’uomo non avrebbe mai volato. Solo secoli dopo sarebbe stato smentito. Magri ha risposto chiedendo che tipo di apporto abbia dato il sarto all’aeronautica – e, tra le righe, se il Pci abbia avuto un’eredità utile. Il suo passato, oggi, è visto come un fallimento; la sua rovina non solo ha reso palesi i suoi fallimenti, ma ha anche danneggiato il concetto stesso di sinistra. La maggior parte dei suoi ex-elettori hanno ridimensionato le proprie speranze, o è passata ad altri partiti. Per estendere l’analogia, possiamo dire che questi elettori non sognano più di volare. Frustrati dalla crisi e annegati in un generale pessimismo, hanno chiesto disperatamente un salvagente al M5S: una barca instabile e piena di buchi, ma comunque l’unica speranza alla quale potessero aggrapparsi. Mentre i loro ex-compagni del Pd lottano per la sopravvivenza, forse anch’essi si rivolgeranno al M5S, nella speranza di trovare sollievo.