Il M5S è la droga di passaggio verso la Lega

Esiste un ottimismo politico che si basa sulla speranza che le masse siano confuse o fuorviate, e che risorgeranno dal loro torpore quando gli verrà svelata la realtà dei fatti. Chi denuncia il fumo negli occhi dei malvagi media mainstream, o segue assiduamente ogni nuova rivelazione di Wikileaks, spera che prima o poi le pecore del gregge si accorgeranno di essere state ingannate. La speranza è che, una volta capito di essere stati illusi, cominceranno a difendere i propri interessi.

L’attenzione del Movimento 5 stelle alla democrazia “diretta” è stata per lungo tempo la risposta a molti di questi impulsi. Adesso che il partito è diventato l’establishment, alcuni dei suoi oppositori sperano che le bende cadranno dagli occhi degli elettori Cinque Stelle. Sarebbe una consolazione per tutti quelli che sono stati sconfitti dal “movimento né di destra né di sinistra.” Ma ora che il M5S è diventato il braccio destro della Lega, siamo sicuri che i suoi elettori capiranno finalmente che Luigi Di Maio non ha nulla a che fare con i valori progressisti?”

Ci sono senza dubbio divisioni alla base del M5S. Nonostante il tanto affermato “trasversalismo”, il movimento gode di un supporto maggiore tra gli elettori più poveri, più giovani e meridionali, tutti apparentemente in contrasto con l’elettore di vecchia data in Veneto o in Lombardia della Lega. Eppure, anche se è riuscito a conquistarsi categorie dell’elettorato che prima votavano a sinistra, la speranza che ora queste ultime gli si opporranno, per un istintivo rifiuto dell’accordo con l’estrema destra, sembra eccessiva. Il problema di questa lettura sta nella concezione statica della politica. In quest’ottica, è come se esistesse un numero fisso di italiani che rappresenta “il popolo di sinistra” che ha temporaneamente dato sostegno al M5S perché ignorava la sua vera natura, e che ora riconoscerà i suoi errori. Ma il problema sta molto più in profondità. Il Movimento 5 Stelle non deve la sua forza solo alla scarsa tattica dei partiti di sinistra (come se questi non avessero saputo vendersi), ma anche alla più ampia atomizzazione della base sociale di queste forze, e alle identità che la galvanizzano.

Certo, gran parte del successo del M5S si deve alla scomparsa della visione di progresso sociale a lungo associata alla sinistra. L’organizzazione collettiva basata sulle classi ha iniziato il suo declino negli anni Settanta, ma le identità politiche ereditate da quel periodo storico continuano a esistere ancora oggi, seppur in una forma più eterea. Anche dopo il crollo del Pci, l’anti-berlusconismo è servito come unico legame politico rimasto per gli operai abituati a schierarsi con il centrosinistra, nonostante questo si stesse trasformando in una forza sempre più centrista e neo-liberale.

Questo attaccamento ha continuato a essere indebolito dalle larghe intese e dai decenni di malessere economico. Sfruttando la diffusione della precarietà e del disagio sociale, il M5S è cresciuto dove la base del Pd si è svuotata. I Cinque Stelle hanno condannato questo partito arrogante, elitario e disinteressato (ai veri problemi della popolazione), affermando che non era più rappresentativo dei comuni cittadini e incapace di promettergli un futuro. I grillini hanno sottolineato come la vecchia sinistra fosse finita (vincendo il 40% del sostegno tra gli operai), ma non hanno creato di più coerente al suo posto.”

Sono tanti i segnali che indicano come il M5S stia agendo come una “droga di passaggio” verso la destra, non ultimo nelle zone in cui è stato già messo alla prova. A livello nazionale, molti elettori della vecchia sinistra, che non avrebbero mai votato Forza Italia e forse nemmeno la Dc, si sono avvicinati al M5S solo adesso, per poi finire per difendere le politiche di estrema destra di Matteo Salvini.

Mentre Luigi Di Maio e Danilo Toninelli sono d’accordo con il leader della Lega, i suoi critici dentro il Movimento 5 Stelle rimangono silenziosi o passivi. Alcuni Cinque Stelle in Parlamento hanno affermato che Roberto Fico è “l’unico argine a questo governo.” In effetti, il governo è felice di avere al suo interno un’“opposizione” così leale. Il presidente della Camera non rappresenta solo un rivale per Di Maio, ma gioca anche un ruolo funzionale ai tentativi del M5S di non sporcarsi le mani; per chi ci crede davvero, Fico non incarna la coalizione ma lo “spirito” platonico del Movimento, al di sopra delle sue azioni nel mondo reale.

Danilo Toninelli
Roberto Fico

Certe illusioni entusiasmano i sostenitori più fedeli del M5S, perché forniscono una possibile spiegazione alle contraddizioni. Tipo: com’è accaduto che nel gennaio 2017, a Bruxelles, il 78% degli iscritti al partito abbia votato per unirsi ai liberali eurofederalisti quando il mese scorso il 94% di loro ha sostenuto un accordo con la Lega? Ma se mettiamo da parte i suoi fanatici virtuali, per i quali il M5S non sbaglia mai, troviamo solo un vuoto di identità politica, pronto a essere riempito da qualcos’altro.

Possiamo già vedere elettori dei Cinque Stelle che si stanno spostando verso la Lega. Nelle elezioni del 10 e del 24 giugno, il M5S è stato una forza completamente secondaria – non si è nemmeno presentato a Vicenza e a Siena. A Imola almeno, gli elettori della Lega hanno restituito il favore. A Roma, il successo raggiunto dal M5S nel 2016 è arrivato al capolinea, e l’effetto Raggi sembra aprire spazio alla Lega (che è salita al 10.8% il 4 marzo, e a giugno è diventata il cuore del centrodestra) più che al risuscitato Pd.

Questa non è una peculiarità italiana. In Gran Bretagna, la vecchia classe operaia non sarebbe mai passata così facilmente dal partito laburista a quello conservatore. Il divario culturale era troppo grande, e la memoria degli antichi scontri con il partito tradizionale delle élite scottava ancora troppo nella coscienza collettiva. Il risultato? Una parte importante degli elettori delusi da Tony Blair sono passati all’ancor più estrema destra dell’Ukip. Se il Partito per l’indipendenza del Regno Unito è ora sceso al di sotto del 5% nei sondaggi, è perché ha imposto la Brexit a entrambi i partiti principali.

Altri a rappresentare una “droga di passaggio” in Gran Bretagna sono stati i liberal democratici, che negli anni Duemila si sono proposti opportunisticamente come forza di “protesta” né di sinistra né di destra. La loro coalizione con i conservatori nel 2010 ha fatto svanire l’immagine pacifista e pro-studentesca che avevano usato per ottenere i voti dei laburisti. Eppure, dopo cinque anni di difesa del programma di austerità della coalizione, nel 2015 la maggior parte dei loro elettori non è tornata al partito laburista, ma si è spostata verso il partito conservatore. Esempi più estremi arrivano dalle giovani democrazie dell’Est, dove le nuove forze hanno aperto un varco nei vecchi regimi socialisti solo per spianare la strada alla destra radicale. Il piano originario di Solidarnosc per un riformare il socialismo non ha niente a che fare con la Polonia di oggi. E che dire dei giovani idealisti liberali che fondarono Fidesz, un partito guidato oggi da un autoritario come Viktor Orbán? Hanno abbattuto un regime decrepito solo per creare un vuoto a beneficio dei reazionari identitari. In Scozia e in Catalogna, sono stati i partiti indipendentisti a sfruttare lo svuotamento del centrosinistra una volta dominante. Nelle elezioni del 2015, il Partito laburista scozzese è passato da 41 seggi a 1. La nuova forza dinamica del paese è il Partito conservatore (il partito pro-Unione più forte), e, in Catalogna, dai nazionalisti spagnoli liberali di Ciudadanos, che oggi raccolgono il sostegno degli ex elettori socialisti ostili all’indipendenza.

In tutti questi casi, alcuni gruppi sono emersi per evidenziare la debolezza della vecchia sinistra ed esprimere i loro reclami contro la globalizzazione liberale. C’erano i giovani elettori che non riuscivano a trovare lavoro, i vecchi e i non-qualificati resi per sempre superflui, e i sentimenti reazionari guidati dal senso del declino della cittadinanza e dal crescente multiculturalismo. Il neoliberalizzato centrosinistra ha fallito nell’obiettivo di rappresentare la sua base ormai atomizzata, e altre forze sono arrivate a riempire il vuoto.

Il M5S l’ha fatto inneggiando alla democrazia diretta, a restituire il controllo al cittadino fatto a pezzi dalle fluttuazioni dell’economia. È stato scelto per rimuovere le barriere tra l’individuo e la politica nazionale. Invece ha contribuito a distruggere ciò che restava delle strutture intermedie – le sezioni, gli incontri, i mezzi di comunicazione – che per decenni hanno consentito alle categorie popolari di esercitare un certo controllo dal basso. Nelle condizioni del nostro tempo, la politica dell’identità e della cittadinanza può rappresentare un forte collante per una popolazione atomizzata. È con leggerezza che il M5S permette che questo programma faccia progressi. I Cinque Stelle insistono sul fatto che non hanno creato una coalizione con Salvini, ma solo un contratto, poi però mettono a tacere tutte le critiche, per giustificare… il contratto. Il Movimento 5 Stelle ha fornito alla Lega una piattaforma permanente, difendendo l’importanza e la ragionevolezza della sua politica. Ma per gli elettori del M5S entusiasti delle acrobazie di Salvini, il passo per votare per la “cosa reale” è sempre più breve.

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