Come il Movimento Cinque Stelle è diventato una scatoletta di tonno
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C’è una foto che racconta meglio di qualsiasi analisi cos’era e cosa voleva essere il M5S. È il settembre del 2018, i primi mesi del governo giallo-verde. In Consiglio dei ministri è appena stata approvata la manovra finanziaria con un deficit al 2,4%. Luigi Di Maio, insieme agli altri ministri pentastellati, esce dal balcone di Palazzo Chigi e, davanti a una sparuta folla composta dai parlamentari Cinque Stelle, annuncia “l’abolizione della povertà”. Nei suoi occhi c’è vittoria, ma anche arroganza: Di Maio guida il primo partito d’Italia e alcuni analisti prevedono che presto si affermerà un nuovo bipolarismo tra Lega e M5S, con la sinistra destinata a scomparire dai palazzi del potere, dalle urne e dalla Storia. Dietro di lui, l’intera compagine di governo grillina. Nei loro occhi c’è anche la certezza di poter cambiare le cose. Come se bastasse un colpo di spugna per debellare le disuguaglianze sociali, o come se si potessero risolvere i problemi del Paese con una formula magica, come se si potesse essere allo stesso momento maggioranza e opposizione, governo e movimento, tesi e antitesi. È l’apoteosi dell’incompetenza, della semplificazione della realtà, dell’autoconvincimento della propria stessa propaganda.

Di quella foto oggi rimane solo il ricordo. Tutto è cambiato, la vittoria si è trasformata in sconfitta, l’arroganza in disillusione, la certezza in rimpianto. Il Reddito di cittadinanza che doveva abolire la povertà si è rivelato un fallimento: il 98% di chi lo percepisce non ha trovato un lavoro. Quello che sembrava un Movimento compatto e coerente al suo interno si è frantumato in mille pezzi: Gianluigi Paragone, ex-giornalista esponente dell’area sovranista, è stato espulso dal Movimento. I senatori Urraro, Grassi e Lucidi sono passati al gruppo della Lega. I voti del Movimento si sono dimezzati, arrivando secondo gli ultimi sondaggi a circa il 15%. Gli attivisti lamentano la poca trasparenza della classe dirigente e l’impossibilità di un processo decisionale che vada dal basso verso l’alto. La piattaforma Rousseau, nata come meccanismo di democrazia diretta, si è rivelata per quello che è: un pericoloso specchietto per le allodole in mano a un’agenzia privata.

Davide Casaleggio

Ma è in questi giorni che il Movimento ha toccato il fondo. Luigi Di Maio si è infatti dimesso da capo politico ed è stato sostituito – come da regolamento – dal membro più anziano del comitato di garanzia interno, Vito Crimi. Questa scelta arriva alla vigilia delle elezioni regionali del 26 gennaio, la Caporetto dei Cinque Stelle. In Emilia-Romagna, regione in cui il movimento è nato, i grillini non superano il 3,5%. E anche in Calabria, dove alle politiche del 2018 aveva raggiunto il 43,4%, i Cinque Stelle affondano al 7,35%.  Ma il crollo del M5S non è dovuto a una contingenza del momento. La sua crisi è molto più radicale, perché ha a che fare con un progetto politico (o meglio, antipolitico) che già in origine conteneva contraddizioni irrisolvibili. Il Movimento fondato da Gianroberto Casaleggio credeva infatti di poter sovvertire la natura stessa della politica e poter al tempo stesso fare politica. E alla fine ha fallito.

Il consenso dei Cinque Stelle è derivato dalla retorica anti-establishment e dalla capacità di porsi come alternativa rispetto a tutto ciò che la politica aveva offerto in passato. L’ideologia fondante del M5S è sempre stata infatti un’anti-ideologia. Nasceva dalla profonda convinzione di vivere in un’epoca post-ideologica, dove le categorie di destra e sinistra erano ormai superate. Di conseguenza, il compito della politica non era più quello di allocare diversi valori e decidere la strada che il Paese doveva imboccare da un punto di vista culturale, sociale, economico e valoriale, ma perseguire un fantomatico “interesse generale”. Questa confessione di fede grillina è riassunta in una frase pronunciata da Di Maio alla conferenza stampa del 28 agosto 2019 durante le consultazioni con il capo dello Stato: “Non esistono destra e sinistra, solo soluzioni”.

Vito Crimi

L’idea che esista un unico e comune interesse per tutti gli individui della società ha origine nel pensiero di Jean Jacques Rousseau e nel concetto di “volontà generale”. Il filosofo francese, che infatti ha dato il nome alla piattaforma del movimento, riteneva che i membri di un corpo politico avessero un solo e vero interesse comune e che il loro compito fosse di sottomettersi a questo interesse. Maggioranza e minoranza, in questa visione, non devono esistere, e allo stesso modo non deve esserci confronto tra interessi e valori divergenti. Ma la teoria politica di Rousseau doveva applicarsi solo a piccole comunità omogenee del Diciottesimo secolo, come la città d’origine del filosofo, Ginevra. Il Movimento 5 Stelle ha avuto la pretesa di estenderla a uno stato da 60 milioni di abitanti.

In questo modo l’anti-ideologia grillina voleva negare una delle caratteristiche fondamentali della condizione umana e dell’agire politico: la pluralità. Ne parla Hannah Arendt nel suo Vita Activa. La condizione umana. La filosofa scrive che “La pluralità è il presupposto dell’azione umana perché noi siamo tutti uguali, cioè umani, ma in modo tale che nessuno è mai identico ad alcun altro che visse, vive o vivrà.” Da ciò deriva l’impossibilità di un unico “interesse generale”: gli individui hanno infatti obiettivi e opinioni differenti che possono entrare in conflitto tra di loro. Compito della politica è regolare questo conflitto, trasformandolo in confronto civile nel caso delle democrazie.

Hannah Arendt (1944)

L’essere antipolitici dei 5 Stelle quindi non deriva tanto dalla critica feroce che, nei primi anni della loro esistenza, hanno mosso alle classi dirigenti del Paese. Come sostiene la politologa Nadia Urbinati, quando si criticano i politici e si propone un’alternativa, in realtà si sta già facendo politica. L’antipolitica dei Cinque Stelle sta proprio nel non riconoscere l’intrinseca pluralità che abita la società. Non esistono opinioni oggettivamente giuste o oggettivamente sbagliate, ma ogni scelta deriva da valori che, più o meno consciamente, abbiamo interiorizzato. Ogni nostra scelta, anche la più piccola, è permeata dalla politica perché, come direbbe il filosofo francese Michel Foucault, il potere è ovunque.

Nelle democrazie occidentali questa pluralità di valori è stata rappresentata per secoli, nonostante le numerose sfumature, dalle ideologie della destra e della sinistra. Queste categorie valgono tuttora, perché tuttora permane il conflitto nella nostra società, seppure con forme nuove, nascoste e a volte difficilmente comprensibili. A dimostrazione di tutto ciò abbiamo il crollo del progetto grillino. Il Movimento 5 Stelle aveva ottenuto consensi proprio perché antipolitico, con la promessa di non essere né di destra né di sinistra: ma una volta arrivato al governo ha dovuto necessariamente prendere delle decisioni che non fossero soltanto “anti” e che rispondessero a un ben preciso complesso di valori e interessi.

Michel Foucault (1977)

Si sono trovati immediatamente a dover fare delle scelte di destra come nel caso dei Decreti Sicurezza, o di sinistra come con il Reddito di cittadinanza, la cui criticità sta più nell’implementazione che nell’idea alla base. Il M5S è diventato una scatola vuota pronta a essere riempita con l’ideologia del proprio partner di governo: se durante il governo giallo-verde la critica all’Europa e la retorica sovranista e identitaria erano più forti, con il governo appoggiato da Pd, LEU e Italia Viva, hanno ripreso vigore le battaglie ecologiste ed è stata indossata la casacca blu filoeuropea. Questa schizofrenia e il tradimento del proprio progetto originario sono stati duramente puniti dagli elettori. Ma non c’era modo che andasse diversamente, poiché la loro anti-ideologia era già in partenza incoerente con la natura stessa della politica.

Politica che ha sconfitto il M5S anche in un altro modo. La retorica grillina ha sempre negato, volente o nolente, un altro elemento fondamentale dell’agire politico, strettamente legato alla pluralità: la complessità. Una realtà plurale, dove ogni individuo è differente, è anche una realtà complessa, poiché difficile da leggere e non interpretabile attraverso demagogiche semplificazioni. Invece il motto grillino “Uno vale unoafferma che gestire lo Stato sia una cosa semplice: non servono particolari abilità, solo una parvenza di onestà e buona volontà. Così la rappresentanza viene ridotta da principio d’ordine a mera mimesi dei peggiori sentimenti del popolo e viene negata l’importanza della competenza. Non è un caso che sia stato il M5S infatti, prima ancora di Salvini, a scagliarsi contro gli esperti e i tecnici, contro i “professoroni” della politica. Il M5S ha aperto un vaso di Pandora che ha che ha posto le basi per il proliferare di no-vax e sostenitori di teorie complottiste.

Come ha ben spiegato il professor Massimiliano Panarari nel suo libro Uno non vale uno, la retorica grillina voleva abolire qualsiasi gerarchia di competenza, affermando un individualismo arrogante che vedeva nella quantità e non nella qualità l’unico vero valore. Ma, una volta al governo, i 5 Stelle hanno dovuto fare i conti con la realtà della politica, e sono stati strozzati dalle contraddizioni della propria anti-ideologia. Non si sono dimostrati all’altezza della situazione. La povertà non è stata abolita, i lavoratori sono rimasti precari, l’economia ha continuato a stagnare, la rivoluzione verde “oggi no, domani forse, dopodomani sicuramente” e le aspettative sono state deluse.

Il M5S ha tradito le promesse di cambiamento, e con esse milioni di elettori. Ha mistificato la realtà, negando la complessità e la pluralità della politica. Ha avvelenato i pozzi del nostro dibattito pubblico tessendo l’elogio dell’incompetenza. Ci ha fatto credere che le ideologie fossero superate, ma poi è diventato succube della Lega con il governo gialloverde. Ci ha detto che non esistevano più destra e sinistra, e ora ci troviamo con una delle destre più feroci ed estremiste che la storia della Repubblica ricordi. Il Movimento ora paga le conseguenze di tutto questo, insieme a tutto il Paese.

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