Abortiamo le idee di Lorenzo Fontana
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Venerdì 25 maggio era in programma a Verona un convegno universitario dedicato al diritto d’asilo per gay, lesbiche, bisex e transgender discriminati nel loro Paese d’origine. Pochi giorni prima però il Rettore – c’è un Don Abbondio in ogni provincia italiana – aveva deciso di sospenderlo a seguito delle proteste dell’estrema destra. I giovani della Lega avevano parlato di “mix tossico di propaganda filoimmigrazionista e propaganda gender,” poi Forza Nuova ha promesso di impedirne lo svolgimento “anche con la forza”. Ma non è stato necessario. Il rettore ha  preferito fermarsi prima con un comunicato imbarazzante in cui definisce i temi dell’immigrazione e dell’orientamento sessuale “temi eticamente controversi”.

D’altronde non aveva molte sponde in città, certamente non dal sindaco Federico Sboarina che, eletto con il sostegno di pezzi dell’estrema destra cittadina, ha preferito girarsi dall’altra parte. Ma il vero uomo forte dell’amministrazione e punto di collegamento con i movimenti estremisti è il suo vice: un signore che si chiama Lorenzo Fontana, che una settimana dopo ha giurato come ministro della Famiglia e della Disabilità del governo Conte.

Lorenzo Fontana

La sera prima del giuramento, mentre il futuro ministro degli Interni Matteo Salvini monopolizzava l’attenzione annunciando che avrebbe tagliato i fondi per l’accoglienza dei migranti, rimbalzava su diversi canali mediatici con inquietante frequenza il nome di Lorenzo Fontana, centrale per quanto riguarda almeno tre ambiti: chi si intende di politica estera e di rapporti internazionali sa bene che è l’uomo di collegamento della Lega con la Russia, quello che ha dettato la linea dello stop alle sanzioni “a tutela dell’economia nazionale”; chi si interessa dell’estrema destra in Italia lo conosce altrettanto bene come figura centrale; infine chi si occupa di diritti Lgbt sa che lui è uno dei riferimenti del movimento pro life prima e di quello “contro il gender” dopo. Quello che meno è stato esplorato è ciò che collega questi tre mondi.

Lorenzo Fontana è figlio d’arte: ad appassionarlo alla politica è stato suo padre, ai tempi della Lega di Bossi. Da subito il ragazzo si fa notare: giovanissimo consigliere comunale leghista, nel 2009 è già europarlamentare. Lo nota, tra gli altri, Flavio Tosi, che lo cresce sotto la sua ala. Sono gli anni precedenti al grande scontro con Salvini. Tosi è l’uomo che per la Lega cura le relazioni con la Russia, e lo fa da una città che è strategica nella rete dei rapporti economici: da dieci anni, qui si svolge il forum economico Eurasiatico, Verona. Fontana cresce in questo ambiente: la Lega di governo, la parrocchia, il tifo per l’Hellas Verona, una delle tifoserie più connotate a destra d’Italia. Lo fa nascendo sotto un astro – Tosi – e spostandosi presto sotto un altro – Salvini. Lontano dal pragmatismo maroniano, così come quello veneto di Tosi, a fianco del segretario Salvini, Fontana costruisce la Lega di oggi: non più federalista, ma sovranista – oltre a essere come sempre omofoba e populista.

Flavio Tosi

Non deve inventare nulla, Fontana, basta guardarsi intorno. A Bruxelles, dove al contrario di Salvini Fontana va veramente a seguire i lavori dell’Europarlamento, e costruisce i legami con il Front National di Marine Le Pen – una foto di lui, Salvini e la politica francese campeggia sul profilo Twitter – vero cavallo di Troia di Putin in Europa. Sono gli anni in cui lo zar russo inizia a creare la sua rete di influenza in Europa e capisce che per farlo può giocare di sponda con la destra estrema presentando la Russia come un faro contro “la deriva globalista” a favore dei valori tradizionali.

Nel 2011 Mosca promuove la legge che limita l’aborto, nel 2012 quella contro la propaganda Lgbt nel Paese. Nello stesso anno, in sede Onu, la Russia riesce a far approvare – nonostante l’opposizione di Usa e Stati europei – un documento in cui il rispetto dei diritti umani viene condizionato alla “migliore comprensione delle tradizioni nazionali,”cioè “addio valori universali”.

Per i movimenti pro-vita europei, per la destra “Dio, patria e famiglia”, Putin diventa così un faro. L’associazione internazionale che fa da raccordo tra le diverse realtà nazionali c’è e si chiama World Congress of families: è nata alla fine degli anni Novanta dalla collaborazione tra due sociologi russi – Anatoly Antonov e Vicotr Medkov – con l’americano Allan Carlson. Tutti e tre sono convinti che la crisi demografica dei rispettivi Paesi sia legata alla caduta della famiglia tradizionale e che, per invertire la rotta, sia necessario sconfiggere globalismo, liberazione sessuale e femminismo.

In Italia si avvicinano al World Congress of Families due associazioni: Generazione Famiglia, la Manif pour tous italiana, e Provita, i cui legami con Forza Nuova sono stati oggetto di un’inchiesta del Corriere della Sera.

Anatoly Antonov
Allan Carlson

Fontana è al centro di questo mondo. Applaude alla Russia di Putin, ma anche all’Ungheria di Viktor Orban che ha ospitato il congresso internazionale del World congress of families del 2017 e che del mix anti-globalizzazione, omofobia e discriminazione nei confronti degli immigrati ha fatto una strategia di governo. Nel 2016, a un convegno di Provita, saluta così il rappresentante russo del World Congress of families: “C’è una deriva nichilista e relativista della società occidentale, ma la Russia – rappresentata qui dall’amico Alexey Komov – è l’esempio che l’indirizzo ideologico e culturale in una società si può cambiare. Infatti se trent’anni fa la Russia, sotto il giogo comunista, materialista e internazionalista, era ciò che più lontano si possa immaginare dalle idee identitarie e di difesa della famiglia e della tradizione, oggi invece è il riferimento per chi crede in un modello identitario di società.” E poi: “La propaganda dominante mette in discussione e indebolisce la famiglia naturale, ecco che ci dicono che l’immigrazione serve per colmare il gap del decremento demografico. Ecco, dunque, da un lato l’indebolimento della famiglia e la lotta per i matrimoni gay e la teoria del gender nelle scuole, dall’altro l’immigrazione di massa che subiamo e la contestuale emigrazione dei nostri giovani all’estero. Sono tutte questioni legate e interdipendenti, perché questi fattori mirano a cancellare la nostra comunità e le nostre tradizioni. Il rischio è la cancellazione del nostro popolo.”

Parafrasate, e in parte stravolte, sono le stesse parole d’ordine della nuova destra francese di Alain de Benoist, ripetute a memoria in Italia da Forza Nuova e Casa Pound, e di cui uno degli esegeti italiani è il filosofo Diego Fusaro, recentemente passato a scrivere sul giornale di Casa Pound, Primato Nazionale.

Diego Fusaro

Fontana, d’altra parte, non si fa problemi a partecipare nella sua Verona alle riunioni di un’associazione culturale che si chiama Fortezza Europa, termine usato dal Terzo Reich e che vede attivi, tra gli altri, alcuni fuoriusciti di Forza Nuova. Ama parlare di “sostituzione etnica”, termine coniato dallo scrittore Renaud Camus contro l’islamizzazione europea – e in particolare modo francese – sostenitore di Marine Le Pen alle ultime elezioni in nome del “tutto tranne Macron”.

Di fronte all’ondata di polemiche che hanno investito le sue parole, Fontana si difende dicendo che lo attaccano in quanto cattolico, ma è in realtà la sua vicinanza agli ambienti più tradizionalisti e compromessi con la destra estrema a esporlo a critiche (fondate). Il 19 maggio partecipa a Roma alla Marcia per la vita e rilascia questa dichiarazione: “L’aborto lo si è fatto diventare ufficialmente un ‘diritto umano’: in realtà è uno strano caso di ‘diritto umano’ che prevede l’uccisione di un innocente […] Bisogna sostenere la Marcia per la Vita! Fino a quando ci sarà chi vuole eliminare la persona umana, scendere in piazza non solo è auspicabile, ma doveroso.”

In altre occasioni è lo stesso Fontana a usare toni da sovversione dello Stato, ad esempio quando commenta così una sentenza di Trento che riconosce due padri come genitori dei figli: “Pezzi di Stato continuano nel tentativo di minare la famiglia tradizionale rendendo il peggior servizio alle nostre comunità, nate e cresciute proprio grazie a un modello di famiglia basato su madri e padri (senza i quali, è opportuno ricordarlo, in natura non è possibile generare una nuova vita).”

Chi legge oggi le sue parole, allineate una dopo l’altra, pensa che Fontana viva in un mondo parallelo, ne viene stordito dalla carica ideologica e grottesca finendo per pensare, come suggerito dallo stesso Salvini, che le sue idee non contino, perché conta solo il contratto firmato con gli alleati a Cinque Stelle per il governo del cambiamento. E invece contano eccome: l’ideologia di Fontana si colloca esattamente all’incrocio tra la normalizzazione della destra parafascista – pochi chilometri separano Verona da Salò – la riscossa identitaria di un cattolicesimo pre-conciliare, lo smarrimento della borghesia impoverita di fronte alla globalizzazione. Mischia tutto, e non ne esce un populismo politico neutro, né una destra, viene qualcosa di molto più preoccupante che in città come Verona si sta già manifestando; un modo di governo che considera normale decidere di cosa si può discutere e di cosa no in un’università senza bisogno di vietare esplicitamente nulla, ma semplicemente lasciando briglia sciolta a chi promette di menare le mani. E che oggi si sente abbastanza protetto da poterlo fare.

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