Non è chiaro quanti siano gli indipendentisti veneti; sappiamo che esiste la Liga Veneta, Veneto Stato, Progetto Nord-Est, Tea Party Veneto, Pro veneto, Serenissimi, oggi confluiti in Indipendenza veneta e che domani potrebbero scindersi di nuovo, secondo la regola del Fronte Popolare di Giudea dei Monty Python. Di certo, sappiamo che ogni volta che si sono presentati alle elezioni non hanno mai preso più del 3%. Per quanto l’opinione pubblica nazionale abbia da sempre prestato poca attenzione a questo fenomeno, nel 1997 gli indipendentisti fecero un gesto eclatante: dopo una serie di farneticanti intrusioni nella TV nazionale, l’8 maggio 1997 sequestrarono un ferry boat armati di un mitra della Seconda guerra mondiale, ci caricarono sopra un blindato “artigianale”, lo sbarcarono in piazza San Marco e occuparono il campanile dichiarando che avrebbero trattato solo con il presidente della Repubblica Serenissima. Per ricondurli alla ragione lo Stato scomodò addirittura 24 uomini del Gis, che risolsero la situazione con un paio di cazzotti. Fu un circo degno di Pietro Germi o di Monicelli, che raggiunse l’acme della comicità quando il comandante dei Gis ordinò agli indipendentisti di uscire, loro risposero in dialetto veneto e lui si incazzò rispondendo in siciliano. Più che un tentato golpe, fu una farsa riuscita. Sebbene quell’episodio sia rimasto nella memoria come un esilarante siparietto, gli indipendentisti sono certi che fu un momento che cambiò la Storia d’Italia. Così, dopo qualche anno passato nelle osterie a fare proseliti, nel 2012 decidono di replicare quel pic-nic in piazza San Marco.
Questa volta i veneti sono Luigi Faccia e Flavio Contin, due che avevano portato il primo blindato in piazza nel 1997, insieme a Franco Rocchetta, fondatore di Liga veneta, poi Lucio Chiavegato, leader veronese dei forconi con la sua compagna Patrizia Badii e Tiziano Lanza. Contattano tutti gli indipendentisti d’Italia di cui hanno conoscenza; quelli di Brescia patria, della Napolitania e due di Disubbidientzia sarda, tra cui Felice Pani, un fruttivendolo che nel 2008 si era autoproclamato ministro della Repubblica Indipendente di Malu Entru e aveva tentato di occupare l’isola di Mal di ventre al largo di Putzu Idu, prontamente arrestato. Si danno appuntamento in una trattoria della bassa bresciana, dove il 26 maggio 2012 costituiscono un nucleo eversivo intenzionato a minare l’unità d’Italia, chiamato L’Alleanza. C’è subito un problema: i due sardi di Disubbidientzia sono atterrati a Linate, ma uno s’è dimenticato la patente a casa, l’altro ce l’ha scaduta da anni e non possono ritirare un’automobile noleggiata. Devono andarli a prendere. Dopodiché il rito può avere luogo; vengono tesserati con nome, cognome, indirizzo e mansione, in una riunione che passerà alla storia per la frase: “Ragazzi, io sono stroncato dalla polenta… Allora, chi fa l’ambasciatore?”. Viene elaborato un piano, che anche se non è mai stato reso noto, si può dedurre dalle intercettazioni dei Carabinieri. Inizialmente pensano di far esplodere i tralicci dell’alta tensione come il martellatore della Val Passiria, ma l’idea viene subito scartata: “Non è che danneggi il Quirinale,” dice Luigi Faccia, “Danneggi il coglione che si sta guardando la partita e che si incazza come una iena”. Il piano quindi prende due direzioni: all’estero contatteranno i rappresentanti degli Stati europei affinché, a presa del potere avvenuta, riconoscano il Veneto come Stato sovrano tramite una conferenza stampa “in una capitale europea da individuare.” In Italia, invece, basterà far apparire un blindato in piazza San Marco perché coi social network milioni di italiani insorgano, naturalmente assecondati dalle forze armate. L’apparizione del Tanko farà mobilitare milioni di persone in tutta Italia, ma soprattutto nel veneto. Essi si armerebbero magicamente di dozzine di carri armati e andrebbero in giro a mitragliare e cannoneggiare ora la sede di Equitalia, ora la banca dove tengono i risparmi, ora la casa del vicino, ora la macchina della suocera.
“Allora, Adalberto, sta attento cosa dovrebbe succedere,” spiega tale Orini, “Ci sarà una piccola parte o dei carabinieri o della polizia che starà dalla parte degli insorti.”
“Dici?” domanda Adalberto.
“Poi una piccola parte sempre dei carabinieri o della polizia o della guardia di finanza che starà dalla parte dello Stato… la parte più forte potrebbe essere l’esercito e gli altri che se ne stanno a guardare, staranno a vedere e si metteranno dalla parte dei vincitori come è successo in altri Paesi.”
“In Libia.”
“In Libia, esatto.”
Delegano quindi il delicato compito di reclutare le truppe a Maria Luisa Violati, una barista di Arquà Polesine che prontamente coinvolge la figlia e il marito. Ha grande talento e le reclute non mancano. Quelli da lei selezionati vengono sottoposti all’insindacabile giudizio di Faccia e, se anche lui approva, la recluta riceve una scheda con la sua mansione ed è considerato arruolato. Le armi dovrebbero arrivare o grazie alla figlia della barista, che sostiene di conoscere un poliziotto, oppure contattando la mafia albanese. Perché tutto funzioni, però, il blindato dev’essere capace di sparare e di abbattere qualsiasi ostacolo. Partono con l’intenzione di costruire sei bestioni simili alla batmobile di Nolan. Tiziano Lanza dice di essere su un aereo che sta decollando per l’Albania. Dall’altro capo del telefono c’è Faccia, che gli domanda che cosa ci va a fare. Lanza spiega che sta andando non solo ad acquistare le armi, ma soprattutto a farsi ricevere dal Primo Ministro serbo.
Poi spiega a Faccia cosa gli serve: “[…] due telecamere che siano di grandi dimensioni, possibilmente, che abbiano un’eccezionale visibilità.”
“Sì, eh?”
“E portata.”
“Io le ho viste, quelle del drone. Il drone è uno strumento…”
“Sì, sì, lo so che cosa è un drone.”
“E magari quando noi sentiamo tic, che colpiscono là, allora… osti! Niente.”
“Però loro sai cosa fanno? Cercheranno, da furbi, prima di arrivare allo scontro fisico, di neutralizzare il pilota, il capo-TANKO, attraverso le cosiddette armi non letali. Hanno i famosi laser accecanti, hai capito?”
“Sì, sì, figa!” esclama Lanza, “Non potremmo mica avere anche noialtri della roba del genere?”
“In certe situazioni puoi accecare, oppure puoi… a seconda di come che… diciamo che sul Tanko ti possono rendere momentaneamente cieco. Ecco! Perché non riescono proprio a… mentre se hai la telecamera, quelle cose lì se le mettono nel culo, hai capito?”
La costruzione del Tanko inizia in un capannone a Casale di Scodosia, che è già monitorato dai Carabinieri. All’interno, gli indipendentisti impiegano poco a scoprire che i prezzi dei materiali militari sono improponibili, e dai sogni di batmobili con telecamere e visori infrarossi si accontentano di un tragico caterpillar Fiat Allis anno 1991, acquistato di seconda mano per una cifra irrisoria e ormai bandito da tutti i cantieri edili del mondo. Doveva anche avere il water che avrebbe funzionato da lavandino ma sarebbe servito un ingegnere, perciò desistono, lo ricoprono di lamiere e lo dipingono di nero per un costo totale di 100.000 euro.
“Questo tanko, combattendo… ci dà la possibilità di essere veramente credibili,” dice Luigi Faccia, “e soprattutto di aver il controllo del nostro territorio e da là fare il passo finale per la vittoria, per l’indipendenza di noi veneti. Perché se il tale giorno alle 10 succede qualcosa d’importante in Veneto e contemporaneamente in Piemonte, in Sardegna, Lombardia e probabilmente Sicilia, stesso giorno… voglio vedere se il popolo continua a pagare le tasse.”
Non è l’unico problema. Nei loro viaggi all’estero, gli indipendentisti incontrano solo porte chiuse, scoprendo che nessun parlamentare serio è intenzionato a perdere tempo con loro. Lanza però non dispera: si affida a una rappresentante di origini croate, residente a Milano, che millanta di poterlo introdurre al primo ministro serbo. In macchina con Daniela Giordano le confessa il piano nei dettagli: “Non puoi sapere tu che qui c’è un altro mega arsenale dove stiamo costruendo un altro carro armato gigantesco!”dice.
“Veramente?”
“Sì, sì, sì… è quello che stiamo facendo e tu adesso questa cosa la sai, tanto non…”
“Ma, Tizi…”
“Lo sai, l’avrai sospettato, ma insomma: ecco! Sarà in grado di sparare e di… di distruggere, ma che non lo farà, però serve per fare da deterrente. Non è che la usi, la bomba atomica, ce l’hai. E allora io vado in piazza San Marco, se riusciamo ad andarci con un mezzo così gigantesco, invece di otto forse saremo in ottocento, ben equipaggiati, con maschere antigas, qualcuno appostato con mitra e tutto… e ci sarà gente anche all’estero, come me, che convocherà la conferenza stampa… eh, sai.”
“No, no, certo, si vuole fare un’azione…”
“E quando l’azione sarà fatta, sarà coordinato mezza Italia perché lo faranno anche i piemontesi, lo faranno anche i sardi, ciascuno nel loro sistema sarà sincronizzato con la nostra, perfino la Napulitania, vogliono chiamarsi così.[…]Quello che stiamo facendo adesso non lo potranno tirar via, ha ha, immagina di vedere un panzer, te come fai?”
Montanelli, parlando degli indipendentisti del 1997, disse: “Volevano rovesciare lo Stato mangiando pane e salame in cima al campanile di San Marco. Bastava lo Stato aspettasse che finissero le vettovaglie e finiva anche la sovversione.” Lo sapeva anche Giulio Cesare nel 52 a.C. quando si trovò davanti all’arroccatissima Alesia. Perché fare qualcosa, se puoi stare a braccia conserte aspettando che dalla bat-ruspa esca un tizio sudato che supplica per un tramezzino? Tutto questo Lanza non lo considera, anzi, è ottimista: “Certo, siamo in un momento fragile, perché ti arriva una squadra dei Carabinieri, vabbè, ci arrestano tutti. Ma che arrivasse, perlomeno uno dice: ‘Bè, eh… finiremo sui giornali, cosa vuoi che ti dica.’ Scriverò un libro come le Brigate Rosse, in giro qualcosa guadagnerò.”
Un’altra intercettazione ambientale tra Tiziano Lanza e Andrea Meneghelli riassume le loro considerazioni sui problemi della società italiana paragonata a quella straniera, presumibilmente marocchina:
“Dai và, Dio bono… fanno le leggi… là sì che li possono uccidere in casa…”
“Sì, sì,” conferma Lanza, “ma là sono autorizzati a farlo. Là un figlio minorenne, maschio, primogenito è autorizzato a picchiare sua madre se secondo lui si comporta male e guarda male qualcuno per strada, hai capito? Cioè è come dire se io[…] picchia sua madre perché si comporta da troia.”
Meneghelli ride.
“Quindi paradossalmente, vedi, le nostre fanno le stronze, girano col cagnolino per strada, se la tirano, vanno a vedere se possono farsi la lampada…”
“Fa la puttana.”
“Eh sì, fa la puttana.”
Secondo quanto riporta Il Gazzettino, Lanza progetta anche di far uccidere qualcuno tramite un killer reclutato in Sicilia, purtroppo all’alba di mercoledì 2 aprile il blitz dei Carabinieri mette fine a questo sogno di libertà, indipendenza e bicchierate in osteria; il conto sono ventiquattro provvedimenti restrittivi, 22 incarcerati, due ai domiciliari, 51 indagati e 33 perquisiti. Gli indipendentisti vengono irrisi da pubblico e giornali, che si esibiscono in titoli tipo “Indipendentisti: un golpe de mona”. Alla fine, sotto l’ingenuità e il pressapochismo, quel che lascia allibiti è l’assoluta, abissale ignoranza dei protagonisti, a cui mancano le più basilari nozioni di storia, politica, economia, geografia e tecnologia degli ultimi 500 anni. Quel poco che pensavano di conoscere del mondo proveniva da leggende metropolitane, bufale di complotti o vere e proprie favole. Avevano progettato un’insurrezione armata senza avere la minima infarinatura di strategia, tattica, storia e tecnica militare. Erano anche convinti che un risicato 3% di voti nel buio dell’urna si sarebbe trasformato nel 100% di veneti armati non si sa come, da chi, o con quale piano. Di molti non si sa più nulla. Quattro anni fa Luigi Faccia, appena uscito dal carcere, ha dichiarato: “[…] tra non molto il veneto riprenderà il suo ruolo di Nazione storica d’Europa.” Roberto Bernardelli stava fondando un partito in amore di Bossi dallo slogan “Make Nord Great Again”, poi però ha aperto imprese a Caserta e allora ha cambiato idea. Lucio Chiavegato, leader veronese dei forconi, oggi fa qualche ospitata in TV e organizza sit-it. Stefano Guerra si è trasferito a Malta e ha raccontato che il movimento dei forconi “è finito perché tutti volevano essere il capo.” Tiziano Lanza ha pubblicato un libro, Alla riconquista della nostra indipendenza, edito da Il cerchio. Per chi è interessato alle intercettazioni di quel magico 2013, qui ce ne sono ben 150 pagine.