L’inchiesta di Fanpage su Fratelli d’Italia ha messo in luce due aspetti sia del partito che della stampa italiana in relazione a esso: il primo riguarda una presunta storia di riciclaggio e corruzione che saranno i giudici a valutare, anche se le parole dei diretti interessati sembrano poco fraintendibili; il secondo tratta il risveglio dei media, che si sono accorti, con qualche annetto di ritardo, che all’interno di un partito neofascista ci sono personaggi neofascisti. Meglio tardi che mai.
L’inchiesta, mandata in onda anche da Corrado Formigli su Piazza pulita, è stata realizzata grazie a un giornalista insider che si è infiltrato negli ambienti milanesi di Fratelli d’Italia. Presentandosi come un facoltoso imprenditore disposto a finanziare il partito, il giornalista è entrato in contatto con un sottobosco nero che conferma in pieno gli stereotipi sui neofascisti. Abbiamo dunque assistito a cene piene di saluti romani e “Boia chi molla”, oltre a riferimenti agli ebrei e a Hitler: tutto quello che, effettivamente, ci saremmo aspettati all’interno di un covo di Fratelli d’Italia. Ci saremmo stupiti se avessero organizzato un reading sulla vita di Malcolm X, non di fronte a una massa di nostalgici del Duce. Il problema è che la nostra è una Repubblica antifascista con una Costituzione antifascista scritta da politici antifascisti, e nel 2021, secondo i sondaggi, Fratelli d’Italia è il primo partito italiano.
I principali personaggi di questa triste vicenda sono tre: Carlo Fidanza, Roberto Jonghi Lavarini, detto il Barone nero, e Chiara Valcepina. Fidanza è un eurodeputato, nonché tra i fondatori del partito. Un uomo di fiducia di Meloni. Un braccio destro. Braccio alzato che fa quel saluto lì, per l’esattezza. Oltre agli orrendi rituali da camerata, Fidanza propone al giornalista/imprenditore un finanziamento per la campagna elettorale di Valcepina. Parla di “black”, ovvero di soldi in nero. Già condannato a due anni per apologia di fascismo e con una lunga storia tra gruppi suprematisti e neonazisti, il Barone nero sembra inoltre aver fatto riferimento ad alcuni sistemi per riciclare i fondi in nero. Quando in questi giorni Meloni ha cercato di arrampicarsi sugli specchi e Salvini è rimasto in silenzio, lui ha postato su Instagram le foto in cui viene ritratto insieme ai due leader del centrodestra scrivendo: “Non fate finta di non conoscermi”. La reazione di Giorgia Meloni, appunto. Mentre Fidanza si è autosospeso, la leader di Fratelli d’Italia ha chiarito di voler vedere per intero il filmato di Fanpage, anche il girato che non è andato in onda. Può sempre darsi che abbiano realmente tagliato la parte in cui lodavano Malcolm X, non si sa mai. Ha poi scritto sui social che non sarà indulgente con chi non rispetta i valori di Fratelli d’Italia. E va bene allora: parliamo di questi valori.
Meloni si forma politicamente nel Fronte della Gioventù del Movimento Sociale Italiano e il suo riferimento politico, prima come adesso, è Giorgio Almirante. Il caso di Almirante è bizzarro: anche a sinistra c’è stato nei suoi confronti un revisionismo storico che l’ha portato a essere considerato un “degno avversario”, un gentiluomo, probabilmente per la sua presenza ai funerali di Berlinguer. Ma Almirante vanta una carriera nella quale ha firmato l’ordine di una strage di civili, ha avallato le leggi razziali e ha aiutato terroristi neri durante gli anni di piombo. È come se Trump venisse rivalutato dai messicani per aver dichiarato di essere un fan della guacamole.
Da una costola del MSI è nata poi Alleanza Nazionale, che ha raggruppato un’orda di fascisti più o meno nascosti, fino ad arrivare al governo. Fu lo stesso Berlusconi ad ammetterlo: “Siamo stati noi a portare al governo i fascisti”. Dopo lo strappo di Fini e il crollo di AN, c’è stata poi la nascita di Fratelli d’Italia, erede naturale di quella stessa ideologia politica. Le facce, d’altronde, erano e sono le stesse. C’è Ignazio La Russa, cresciuto tra busti del Duce e saluti romani; c’è Daniela Santanchè, che dice con gioia di avere “una bellissima testa del Duce in legno sul [suo] comodino” e che durante un comizio urlò: “Rivendico con orgoglio di essere fascista”. Meloni poi alza il carico candidando i nipoti di Mussolini, giusto per non destare ulteriori sospetti. Questi sono i volti noti, poi c’è tutta quella bambagia provinciale fatta da consiglieri con le croci celtiche, feste per commemorare la marcia su Roma, ritrovi a Predappio e altre belle azioni che rispettano la nostra Costituzione. Quindi sì, cara Meloni, i comportamenti dei camerati di Milano sono perfettamente coerenti con i vostri valori.
Quello che Meloni dovrebbe fare, e che non farà mai, è molto semplice: prendere un microfono e – parafrasando una vecchia frase di Peppino Impastato sulla mafia – dire che il fascismo è una montagna di merda. Perderebbe parecchi elettori, pazienza, ma uscirebbe da un’ambiguità che è intollerabile in uno Stato antifascista. Altrimenti, se decidesse di continuare a far finta di essere una democratica, figlia di una destra diversa, magari una liberale moderata erede di Einaudi, pur alimentando questa fiamma nera, dovrebbe essere cancellata mediaticamente da giornali e televisioni. Griderebbe magari alla dittatura – cosa che di questi tempi è paradossalmente l’hobby preferito dei neofascisti – ma senza scomodare Karl Popper e le teorie sull’intolleranza. L’Italia non può permettersi di ospitare in Parlamento un partito neofascista, figuriamoci con il rischio di vederlo vincere alle prossime elezioni.
Meloni probabilmente si riallaccia a quel maccartismo fuori tempo massimo per cui “antifascismo” è sinonimo di “comunismo”. Non è così. Nemmeno “partigiano” è sinonimo di “comunista”. Nemmeno “elettore di centrosinistra”. E anche se fossero parole affini non abbiamo mai avuto una dittatura comunista in Italia, mentre una dittatura fascista sì, ce la siamo beccata in pieno. Ma allora perché Giorgia Meloni non si dichiara antifascista? Perché non lo è, evidentemente. Forse il fascismo di Mussolini, dei balilla e del balcone a piazza Venezia è morto davvero a piazzale Loreto, come spesso si sente dire quasi per giustificarsi, ma il neofascismo invece è vivo e vegeto e sta trovando terreno fertile in tutto il mondo, e in Italia Meloni ne è la massima rappresentante.
Per la maggior parte dei media l’onda neofascista sembra limitata a CasaPound e a Forza Nuova, insignificanti però a livello elettorale. Con un maestoso atto di cecità si esclude il reale fortino neofascista, ovvero Fratelli d’Italia, che riesce a eludere certe nomee grazie a politici scafati, sulla scena da decenni. A differenza di CasaPound conoscono il limite da non superare in pubblico, ma di fatto la sostanza è la stessa, così come è evidente una somiglianza tra i programmi elettorali. D’altronde anche Almirante cercava di diluire l’anima nera con sfumature che gli permettessero di mantenere un’istituzionalità che in realtà non poteva avere. Meloni sta ricalcando lo stesso progetto del suo padrino politico: orbitare ai piani alti della politica restando in un polo all’apparenza moderato. E la cosa funziona: nessuno, infatti, definisce Fratelli d’Italia per quello che è, un partito di estrema destra.
Il risultato è l’aver attratto diversi elettori che nulla hanno a che fare con il neofascismo. Un congegno legale simile però all’accaparramento. Salvini ha sottratto gli elettori ai grillini, e Meloni li sta ora acquisendo dal suo collega di coalizione. Lo zoccolo duro neofascista è una percentuale bassa del partito, quel 5-6% da cui partiva qualche anno fa. Il resto è il frutto di anni di propaganda dell’odio, con gli elettori che fanno la spola da una sponda all’altra del populismo. Difficilmente poi l’immagine di Meloni viene associata al fascismo, perché come abbiamo detto lei stessa ha lavorato per far sì che ci fosse questa distanza: Meloni è una donna, è una cristiana, è una mamma. Pazienza se vuole bombardare i barconi degli immigrati, ha “un rapporto sereno con il fascismo” ed è la versione mainstream di CasaPound: le dedicano i remix e lei ci ride su; posta sui social le foto della figlia: quindi non può essere un’estremista. Inoltre è sempre invitata in televisione, e chi sta dentro quello schermo non può essere cattivo, ha la legittimazione dell’istituzione mediatica per eccellenza. Quelli di Forza Nuova non li invitano mai, se non per additarli come fascisti. Quelli di Fratelli d’Italia, invece, hanno ottenuto una rispettabilità mai conquistata sul campo e questo resterà probabilmente uno dei più grandi misteri del giornalismo televisivo italiano.
Noi aspettiamo che Meloni prenda chiaramente le distanze dal fascismo. Nel mentre continuiamo a ospitare in Parlamento camerati di ogni genere, e i più virtuosi, come Fidanza, li mandiamo anche a Bruxelles.